L’impronta del pollice.
Le avventure di Kutt-Hardy
Il Rivale di Sherlock-Holmes
di
Giovanni Bertinetti [Herbert Bennet]
tempo di lettura: 11 minuti
Voi ricorderete – disse Cutt-Hardy accendendo una sigaretta – che non molti anni fa vi fu un momento in cui parve scoppiare una guerra tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra.
E ciò perchè quest’ultima, in causa d’una delle solite ostilità di confine colla Republica del Venezuela, mostrava di non aver troppi riguardi per la nostra celebre ed intangibile dottrina di Monroë…
Voi non siete qui per sentirmi parlar di politica, quindi lasciam correre al suo destino la dottrina di Monroë per venir alla curiosissima avventura che mi accingo a raccontarvi.
Ma per la necessaria intelligenza di questa avventura che mi procurò non poca gloria presso il Governo, è necessario ricordare che allora gli animi americani erano oltremodo eccitati e che una guerra coll’Inghilterra ci sarebbe riuscita tutt’altro che spiacevole. Da parte loro gli Inglesi non facevano punto mistero che una buona lezione ce l’avrebbero data volentieri.
Io stavo appunto una mattina leggendo i telegrammi di Londra annunzianti questa pericolosa tensione di nervi, quando mi fu annunziata la visita di Arthur Jaxon.
Benchè allora io non avessi mai servito la così detta polizia diplomatica, sapevo benissimo che questo nome apparteneva ad un distinto giovane, addetto al Ministero degli esteri, nel Gabinetto di sir Rood.
Arthur Jaxon si presentò a me in un aspetto così abbattuto e direi quasi spaventato, che non mi volle grande abilità d’osservazione per comprendere che qualche grave disgrazia gli era successa e che veniva a richiedermi per districare forse le fila di un imbrogliato mistero.
Il giovane si abbandonò su una poltrona e disse:
— Signor Cutt-Hardy, mi è nota la vostra perspicacia….
— Grazie – interruppi – non perdiamoci in complimenti perchè voi avete bisogno di me, e subito.
— Voi sapete di già…?
— No, non so nulla. Ma prevedo che vi è successo qualche cosa di grave non solo per voi, ma per tutta la nazione.
— È proprio così. Mi spiegherò con poche parole. Il ministro degli Esteri, sir Rood, mi onora della sua più completa fiducia e mi fa disimpegnare le pratiche più delicate. Or bene, mi è stato rubato questa notte un documento importantissimo, dal quale può dipendere un esito fatale alla nostra nazione. Questo documento mi è stato sottratto in circostanze così misteriose che ancora io non posso credere ai miei occhi. Il documento, una nota di cui non posso (e sarebbe d’altronde inutile per voi il saperlo) dirvi il contenuto, si trovava nella tasca di quest’abito.
Come potete osservare, una doppia fila di bottoni chiude la tasca, in modo che è addirittura impossibile perdere qualsiasi carta in essa contenuta. Or bene, ecco brevemente i dati: ieri sera alle 12, entrando in casa io avevo il documento perchè, dovendo consegnarlo domani ad un diplomatico, avevo voluto rileggerlo. Mi sono coricato alle 12 e mezza, chiudendomi, come è mia abitudine, in camera… Mi accorgo dal vostro viso che voi volete sapere dov’è e com’è il mio appartamento. Io vivo solo, essendo i miei parenti a Chicago, ed ho un appartamento di sei camere…
— E avete dei servi?
— Due: vecchi affezionati fin da quando ero bambino, un uomo ed una donna.
— E costoro dormono nell’appartamento?
— Dormono in una cameretta vicino all’anticamera… Orbene, alla mattina, appena alzato, io mi accorgo che era sparita la preziosa busta, che la tasca era ermeticamente abbottonata, che altre carte ed il portafogli erano intatti. Naturalmente io ebbi un brivido per tutto il corpo. Con voce strozzata interrogai i due vecchi vanamente. Essi al pari di me non avevano sentito nè udito nulla. Nessuna serratura era stata toccata, nessuna traccia era visibile. Ed ora signor Cutt-Hardy, io sono nelle vostre mani. In due giorni se quel documento non è consegnato ad una certa persona io sono rovinato e forse con me anche la nazione. Vi ripeto, nello stato attuale di tensione coll’Inghilterra quel documento è di una estrema importanza…
— Procediamo per ordine, con matematica esattezza. Stando le cose come voi dite, il problema è di una ardua soluzione. Anzitutto quali sono le persone che conoscevano l’esistenza di quel documento?
— Due sole: io ed il ministro degli Esteri.
— È necessario che voi mi diciate tutto. Non vi siete lasciato sfuggire con nessuno qualche parola relativa al documento?
— Con nessuno, di questo sono ben certo.
— Nemmeno lontanamente?
— Nemmeno.
Vi fu un lungo silenzio, durante il quale io pensai profondamente. Alfine sollevai il capo e dissi:
— Signor Jaxon, poichè il ricupero di questo documento è della più grande importanza per tutti, voi dovete rispondermi sinceramente. Voi siete giovane, elegante, ricco, e scusatemi il complimento, simpaticissimo. Nulla quindi di straordinario che voi abbiate un’amante.
— Mi sembra che noi entriamo in un altro ordine di idee – rispose Arthur Jaxon.
Il tono col quale il giovane diplomatico aveva pronunziato quelle parole mi convinse che la mia osservazione non gli garbava e che non era disposto a confessarsi su questo argomento. Ma io avevo le mie buone ragioni per credere di dover insistere.
— Scusate, caro Jaxon, voi potete parlare a me come ad un fratello. Invano voi tentate negare: avete un’amante… Oh! non è una vana curiosità che mi spinge a dirvi questo, ma perchè forse…
A queste parole il giovane impallidì. Egli si alzò.
— Signor Cutt-Hardy, io son venuto da voi perchè mi aiutiate a ricuperare un documento importante, non perchè lanciate dei dubbi…
— Questa è una confessione bella e buona. Voi avete un’amante. Ammiro la vostra discrezione, ma questa discrezione, eccessiva nel caso straordinario e pericoloso che ci occupa, mi convince che voi non potete pronunciare il nome della vostra amante. Nè io ve lo chiedo.
— Tanto più che perdereste il vostro tempo.
— Soltanto, è estremamente necessario che voi mi lasciate coordinare le fila del mistero. Voi dunque siete rientrato alle 12; prima di quest’ora voi siete stato certamente dalla vostra amante.
— Che cosa ve lo fa supporre? – domandò Jaxon.
— Un indizio molto semplice che non falla… Ma non divaghiamo: voi siete stato dalla vostra amante. Notate bene che io non voglio sapere il suo nome. Cercate soltanto di rammentarvi quale fu il vostro contegno durante la serata. Voi eravate, non è vero? molto preoccupato.
Arthur Jaxon mi guardava fissamente, un po’ spaventato dalle conclusioni che io potevo trarre da questa specie di interrogatorio.
Tuttavia egli rispose:
— Sì, infatti, ero preoccupato.
— Ed è naturale. La missione importantissima che vi aveva dato il ministro degli Esteri era tale da scusare questa vostra preoccupazione. Ed è naturale anche che la vostra amica vi abbia detto durante la serata: «Che cosa hai Arturo, questa sera?».
— Sono le precise parole! – esclamò Jaxon alzandosi. – Voi dunque siete veramente quel prodigio di penetrazione che tutti dicono.
— Non facciamoci complimenti, ve lo ripeto: non abbiamo tempo da perdere. D’altronde è questione della più superficiale psicologia. La vostra amica doveva farvi questa domanda e voi avete risposto, come si risponde sempre: «Non ho nulla contro di voi». È vero?
— È verissimo: sono le precise parole.
— Allora essa vi avrà chiesto ancora: «Ma mi sembrate strano… Ah! forse qualche affare politico?».
— No, qui sbagliate. Essa non insistette più oltre… Ma perchè tutto questo? Voi non vorrete mica per caso fare l’assurda supposizione che la mia amica…
— Oh! Per chi mi prendete? Io sono un matematico che cerco di risolvere le incognite di un’equazione…
— Del resto, il fatto più misterioso, che voi sembrate dimenticare e perdere di vista, è la sparizione del documento avvenuto in circostanze così strane.
— Ecco appunto l’errore che si commette generalmente. Voi vi preoccupate solo di sapere come vi fu rubato il documento, invece io voglio solo sapere chi ve lo ha rubato… Intanto possiamo asserire con certezza che il ladro non ebbe di mira il vostro portafoglio nè le altre carte… Voi le avete bene ancora, mi sembra?
— Sì, eccole.
E Arthur Jaxon trasse di tasca il portafoglio e due o tre carte di nessuna importanza.
Io le presi, e mi balenò intanto un’idea.
Senza dubbio il ladro del documento aveva operato allo scuro e perciò era possibile che prima di prendere la busta famosa avesse tastato le altre carte.
Trassi la mia lente ed esaminai minuziosamente l’esterno delle carte.
L’esame durò dieci minuti durante i quali il signor Jaxon cominciava a perdere la pazienza e a pensare che io fingevo di esaminare le carte per non saper far altro.
Alfine mi alzai e dissi:
— Conservate queste carte e fatemi subito un piacere.
— Quale?
— Sentite: tutta la mia abilità consiste nel dedurre gravi fatti da fatti impercettibili. Ora abbiate la gentilezza di esaminare attraverso la lente questo piccolo segno. Che vedete?
— Non vedo che sette od otto righe concentriche; l’impronta forse d’un polpastrello di dita.
— Precisamente. Orbene, questo è il nostro filo d’Arianna. Voi sapete che la scienza modernissima ha constatato che non vi sono due polpastrelli di dita eguali in tutto l’universo. Anzi un francese, il Bertillon, ha poi su questi segni fondato un vero sistema di riconoscimento. Per esempio fatemi vedere le vostre.
Arthur Jaxon, meravigliato, ubbidì.
— Come vedete, questa impronta è molto differente dalla vostra. Ciò vuol dire che qualcuno, e forse il ladro stesso, l’ha lasciata su queste carte. E vi dirò di più: questa è l’impronta di un dito pollice maschile. Cerchiamo adunque a chi appartiene questo dito pollice.
— Ciò è molto semplice, a parole…
— Ed anche nei fatti… vedrete. La persona che rubò il vostro documento era così agitata che aveva una traspirazione sudorifica abbondante, come succede spesso nelle grandi emozioni.
— Ciò non mi dice a chi appartiene il famoso pollice….
— Voi stesso lo troverete, se avete il coraggio di tentare un’esperienza che a voi può sembrare assurda. Cercate di procurarvi l’impronta del pollice della mano destra del marito della vostra amica.
Arthur Jaxon impallidì di nuovo terribilmente. Egli mi guardò con occhi stupefatti e minacciosi.
— Chi vi dà il diritto…
— Signor Jaxon, non vi adirate… Pensate che il documento può compromettere ben altro che la vostra personalità… Sappiate che io non pronuncio mai una parola che non abbia uno scopo.
— Ma chi vi dice che la mia amica sia maritata?
— Per un diplomatico questa domanda è molto ingenua: la vostra ostinazione a tenere con me un sì strano riserbo. Procuratevi dunque con qualche facile astuzia la detta impronta e ritornate.
Il signor Jaxon uscì, convinto che io volessi spinger un po’ oltre il mio sistema di induzioni.
Il dopo pranzo stesso ritornò, mi consegnò un foglio e mi disse:
— Ecco quanto desiderate, ma vi prevengo che con questo sistema non approderemo a nulla, signor Cutt-Hardy.
Io non risposi. Esaminai l’impronta e dissi semplicemente:
— Ebbene, signor Jaxon, ho il profondo dispiacere di dirvi che il marito della vostra amica è matematicamente il ladro del documento e che la vostra amica è la sua complice.
Io non vidi mai un uomo così colpito da stupore, di meraviglia e di sdegno.
Jaxon fece per slanciarsi contro di me. Io afferrai una sua mano e gli dissi dolcemente:
— Vi domando scusa di avervi procurato questo immenso dolore. Voi siete innamorato ed avete ragione di credere che le mie parole siano un insulto, ma io vi scongiuro in nome di tutti gli Americani di correre dalla vostra amica e farvi restituire, colla violenza magari, il documento. In caso contrario…
— In caso contrario? – disse Jaxon sfidandomi cogli occhi.
— In caso contrario sono costretto a recarmi io stesso da lei.
— Voi non la conoscete…
— In due ore saprò il suo nome.
— Ma voi siete pazzo! La vostra supposizione è semplicemente assurda! Voi mi avete insultato. Ho voluto procurarmi l’impronta del pollice tanto per farvi piacere, ma non credo al vostro sistema di induzioni.
E Jaxon uscì sdegnosamente da casa mia.
*
* *
Che faceva egli? Si sarebbe recato a casa della sua amante? La mia ansia era legittima. L’interesse di tutti i miei connazionali era in giuoco. Non perdetti un minuto. Uscii e pedinai il giovane diplomatico. Lo vidi entrare in un palazzo di Wall Street. Lo seguii. Seppi subito che ivi dimorava la contessa polacca Slowsky, da due anni stabilita a New-York con suo marito. Domandai di parlare al signor Slowsky per un affare di premura.
Fui introdotto in un salotto ove trovai già il mio giovane Jaxon.
Appena mi vide egli si alzò, mi venne incontro e mi disse bruscamente:
— Che volete qui?
— Calma, signore, vedrete in che mani siete caduto.
Non avevo finito di pronunziare queste parole che vidi entrare il signor Slowsky. Egli ci guardò alquanto stupefatto.
Senza fare preamboli, io dissi:
— Il signor Jaxon, che mi onora della sua amicizia, vi prega di restituirgli il documento che gli avete rubato questa notte.
Il pallore mortale che si diffuse sul volto del polacco fu una rivelazione anche per Jaxon.
Slowsky si lasciò cadere sopra una poltrona, non opponendo nessuna resistenza. La scena era precipitata così improvvisa che egli non aveva trovato in sè nessun mezzo di difesa.
Dopo pochi secondi di accasciamento egli si alzò e uscì precipitosamente dal salotto. Si udì un colpo di rivoltella: il ladro di documenti politici si era ucciso!
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Voi avete compreso, miei amici, in che modo fu perpetrato il furto.
La contessa polacca, bellissima avventuriera, era una spia internazionale; aveva sedotto il giovane Jaxon per il bon motif: era riuscita colla sua astuzia a comprendere che il suo amico teneva un documento importantissimo per gli Inglesi ed aveva preparato il colpo col suo degno marito…
Ma, mi domanderete voi, come ed in che modo riuscì egli a penetrare in casa di Jaxon in quella notte? Era semplicissimo. Sua moglie ne aveva le chiavi, perchè nell’appartamento appunto avevano luogo i convegni amorosi col giovane diplomatico.
È inutile dire che Arthur Jaxon non fece scandali, e che pregò semplicemente la sua amica di imbarcarsi pel suo paese, dopo aversi fatto consegnare il documento…
Ed ecco come un povero poliziotto potè forse con un po’ di logica e di abilità evitare una guerra fratricida tra l’America e l’Inghilterra.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: L’impronta del pollice
AUTORE: Bertinetti, Giovanni [Herbert Bennet]
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Il rivale di Sherlock-Holmes / di Herbert Bennet. - Torino : S. Lattes e C., 1907. - 163 p. ; 19 cm.
SOGGETTO: FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti