(voce di SopraPensiero)
Da un lato la retorica dei fatti nudi e puri, propagandata dai tanti realismi, vecchi e nuovi, di cui abbondano libri, convegni, giornali e TV; dall’altro la realtà di eventi che vengono sistematicamente manipolati tramite un uso sapiente (e infido) del linguaggio. La consapevolezza di questa scissione non giova solo alla filosofia (che può dire, una volta di più, che l’oggettività non esiste e che il realismo è una bufala). È anzi necessario che tutti i cittadini ne prendano coscienza, perché questa manipolazione non è fine a se stessa, ma foriera di un danno ben più esteso e pernicioso che la mera disinformazione: quello che è in gioco è la stessa vita democratica delle nazioni occidentali. Tramite le parole si può infatti rendere più o meno accettabile ciò che a norma di legge (e anche del più epidermico buon senso) sarebbe vietato e deprecabile; facendo in modo che lo «stile democratico» possa tollerare abusi e scempi, fino ad integrarne la consuetudine. Un lavoro sotterraneo e di lunga durata, ma che non cessa di scavare, goccio dopo goccia…
Né un thriller complottistico né un pamphlet anti-qualcosa: Patrizia Cecconi offre un saggio fondato e attento, il cui interesse non è sminuito né dalle proporzioni modeste né dal tono a volte acceso della trattazione. Esempio dopo esempio, l’autrice spiega in che modo la propaganda (come caso di studio prende in esame quella filoisraeliana, che conosce in profondità grazie al proprio impegno nell’associazionismo umanitario) può incidere effettivamente sulla vita democratica dei popoli (il caso in esame è quello della democrazia italiana e del suo baluardo ultimo, la Costituzione). Si dice ad esempio con una certa faciltà che Israele colpisce i propri obiettivi in maniera «mirata» (e ciò finisce per sembrare quasi lecito e «intelligente»); o che le navi di soccorso ai palestinesi vengono «scortate» (mentre in realtà vengono «sequestrate») e gli occupanti «rimpatriati» (come se gli facessero il favore di riaccompagnarli a casa: in realtà vengono «espulsi»). Come mai, si domanda ancora, tutto questo agitarsi per i due marò detenuti in India (al momento accusati di omicidio, consumatosi in acque internazionali) e nessuno invece si sdegna per tutti gli italiani impegnati – in acque altrettanto internazionali – in operazioni di soccorso (che dunque vanno a salvare, non a uccidere) e che vengono, appunto, trattati come criminali? Il linguaggio condiziona le cose eccome, e la nostra vita – sociale e democratica – ne subisce l’influenza più di quanto si pensi. Qualcosa su cui riflettere bene.
P. Cecconi, Lessico deviante, ed. Città del sole, 2014, pp. 64, euro 5.