La storia della Polonia del XIX secolo fu una storia di spartizioni del territorio polacco tra Austria Russia e Prussia e i polacchi resistettero alla perdita d’identità che gli occupanti avrebbero voluto imporre, con il mantenimento delle loro tradizioni e anche con la salvaguardia delle loro leggende. Tra queste ci fu quella che dà il titolo a questo romanzo:

«Centomila guerrieri e forse più, un intero esercito, giaceva addormentato nelle viscere del Lysa Gora. Non era ancora venuto il tempo? Non si desterebbero presto, non sorgerebbero per liberare la Polonia? Ahimè! Non si udiva ancora il clangore delle armi nel Lysa Gora! Non si udiva il comando dei capitani, il passo cadenzato dei soldati. Non era ancora venuto il tempo.»

Dopo la guerra franco-prussiana del 1870-71 la Posnania, entrata a far parte del nascente impero tedesco, percepiva ancor più lontano questo “tempo” della riscossa, ma i contadini polacchi non mancavano di tenere deste le loro tradizioni culturali. E l’autrice fa della sua opera un vero e proprio romanzo “culturale” nel quale i problemi della colonizzazione e dell’assimilazione sono posti con una forza e una lucidità che non può lasciare indifferenti. Dice la stessa Viebig in una sua testimonianza:

«Anche alla mia terza amante, la cuna degli avi miei, ho mantenuta la fede giurata. Le sterminate pianure di messi ondeggianti, i campi verdeggianti di barbabietole, i laghi melanconici, i contorni evanescenti dei boschi di pini in lontananza, mi sono sempre profondamente impressi nell’anima: L’esercito dormente ne fa testimonianza. Ho lottato spalla a spalla con i coloni tedeschi in difesa della zolla loro sì rudemente contrastata, dei polacchi, per ammonire i dominatori alla giustizia e alla pietà, non diversamente che se fossi stata in causa io stessa».

Quando, nel 1904, Clara Viebig scrisse Das schlafende Heer la Prussia si dava da fare a colpi contrastatissimi di decreti tribunalizi per cancellare persino la lingua della popolazione locale. Proprio nel primo decennio del ’900 si era adoperata per la revoca della, diremmo oggi, “patria potestà” dei genitori che non volevano che i figli imparassero il catechismo in tedesco. In questa direzione Clara Viebig dà anche dimostrazione di grande coraggio civico e di assoluta indipendenza culturale e artistica. Tutto il romanzo viene percepito da chi legge come un’eloquente e decisa protesta nei confronti degli spietati metodi tedeschi per troncare la resistenza, spesso eroica, di quella porzione di Polonia che le logiche di potere avevano assegnata al nascente impero tedesco. Oggi può apparire una sterile invocazione alla pietà e alla equanimità degli oppressori verso le loro vittime. Di certo c’è un auspicio a una riconciliazione che solo a posteriori e con la lezione di un ulteriore secolo di storia possiamo constatare impossibile. Per Clara Viebig questa invocazione era invece un atto ardito e audace. Già nel romanzo precedente Die Wacht am Rhein (traduzione italiana La guardia al Reno) il conflitto culturale veniva adombrato e, soprattutto, prendeva consistenza il metodo narrativo in base al quale i personaggi diventano semplicemente lo strumento per rappresentare una certa situazione culturale e i conflitti che da questa situazione vengono ingenerati. È questo allo stesso tempo motivo di grande interesse e limite pervasivo nella narrativa di Viebig e, in particolare, di questo romanzo. Lo scontro culturale e religioso finisce per relegare in uno sfondo angusto la personalità di coloro che da protagonisti emergono sulla massa e le situazioni psicologiche descritte appaiono spesso artificiose.

Come già con il già citato romanzo Die Wacht am Rhein l’autrice sembra avere come obiettivo l’amalgama di elementi dissimili. In questo caso persegue questo fine trasferendo una famiglia di coloni renani nella terra, che fu dei suoi avi, cioè la parte della Polonia che era stata assegnata ai tedeschi. Il romanzo narra, nello spazio temporale di tre anni, questo tentativo della famiglia Bräuer, al termine dei quali gli stessi si decidono a far ritorno alla terra natale tra sconforti, lutti e debiti. La forza della narrazione di Clara Viebig consiste soprattutto nel mettere in condizione chi legge di avere una visione complessiva ed esauriente di errori ed orrori di proporzioni inaudite; nessuno degli elementi di questo scontro politico e culturale può più essere ignoto e certamente resta impresso nella memoria più e meglio che non attraverso lo studio di un manuale scolastico. “Si pecca tanto fra le mura d’Ilio quanto fuori” disse Orazio, e sembra che l’autrice avesse ben presente questo aforisma nel mettere in evidenza tanto la bruttura e le contraddizioni dei tentativi coloniali della Germania verso la provincia soggetta, quanto una resistenza sterile improntata soprattutto a una forma di integralismo cattolico che già all’epoca appariva anacronistico. Certo è che l’immagine dei paladini assopiti nelle caverne tenebrose del Lysa Gora – il monte sacro ai discendenti di Jan Sobieski – in attesa di una resurrezione finalizzata al combattimento decisivo per la redenzione di un popolo intero è di quelle difficili da dimenticare.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Come nel forno i pani, così si abbronzavano i contadini nell’ardente atmosfera estiva.
Sulle capanne dei Komornik, addossate ad un rustico muro di pietra, piombava il sole. Già alle quattro del mattino faceva caldo, un caldo insopportabile, poichè nella notte non era caduta la rugiada che avrebbe rinfrescata la terra.
Il disco del sole si specchiava arditamente nelle falci luccicanti; innondava con i suoi cocenti raggi il paesaggio piano ed immensamente monotono, gli sterminati campi di grano, sui quali si chinavano le pesanti spighe mature, e quelli dal terreno grasso dove cresce la barbabietola. E dardeggiava sulle case signorili, sparse qua e là nella pianura, che emergevano soltanto dal mare dei campi perchè circondate da gruppi d’alberi e sui sentieri, simili a vene sottili, che attraversavano la campagna.

Scarica gratis: L’esercito dormente di Clara Viebig.