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Scritto tra il 1947 e il 1950, il romanzo fu pubblicato a Torino pochi mesi dopo la morte dell’autore. Dopo La Signora Ava ci troviamo di fronte a un nuovo grande affresco storico che riprende un altro momento di decisiva crisi politica: l’avvento del fascismo contemporaneamente alle lotte sociali fra padroni e contadini. Ambientata nelle campagne molisane, la narrazione è strutturata con un intreccio a più piani, intersecando le vicende di personaggi diversi che rappresentano le diverse classi sociali.
Le terre del Sacramento erano anticamente rendita ecclesiastica e vennero espropriate nel 1867 e tramite successivi e intricati passaggi sono, all’inizio del romanzo, di proprietà dell’avvocato Enrico Cannavale, soprannominato “Capra del Diavolo”; Cannavale non riesce però a far coltivare le terre che i contadini locali si ostinano e credere “maledette” a causa dell’antico esproprio ai danni della chiesa; si limitano quindi a far legna, abbattendo in maniera scriteriata gli alberi e a praticare il pascolo abusivo.
Cannavale è istintivamente progressista, vagamente socialista, frequenta la Società Operaia, ha svogliatamente tentato la strada della politica presentandosi candidato alle elezioni. Vive da barone ma deve farsi prestare i soldi dal fattore che lo ricatta, dilapida quel poco che ha e si dimostra apatico e disordinato, incapace a tutelare i propri interessi, incompetente e dedito al bere.
Tra viaggi a Napoli e ritorni a Calena – che Luigi Russo identifica con Isernia – dove è accudito dalla cugina orfana Clelia, incontra l’altra cugina Laura De Martiis, donna di carattere fermo e tenace; se ne innamora e la sposa. Laura prende quindi in mano l’intricata vicenda patrimoniale delle terre incolte del Sacramento, allo scopo di renderle produttive; trova le somme più urgenti e, coadiuvata da soci e corteggiatori convoglia verso le terre del Sacramento non solo le illusioni ma la mano d’opera dei contadini di Morutri.
Per raggiungere questo obiettivo coinvolge Luca Marano, giovane studente di legge ed ex seminarista, figlio di braccianti poverissimi. Il giovane ha notevoli qualità intellettuali, oltre che fisiche (in una trattoria di Napoli tiene testa praticamente da solo ad un intervento “punitivo” di una squadraccia in camicia nera di una ventina di giovani); lavora come scritturale e aiutante dello zio ufficiale giudiziario e del notaio del posto.
Accetta la proposta di Laura, affascinato dalla donna oltre che dalla possibilità di dar corpo alla latente ribellione per le sue condizioni personali e le ingiustizie sociali perpetrate contro i contadini poveri. Laura promette le terre ai contadini in enfiteusi, ma i fondi vengono da speculatori bancari napoletani che riscattano le ipoteche, costituiscono una società anonima e sfrattano i contadini che in sei mesi hanno dissodato le terre e quasi ricostituita l’appetibilità agraria della vasta proprietà del Sacramento, grazie soprattutto al prestigio di cui fra i contadini gode Luca Marano. Enrico Cannavale viene picchiato dai fascisti e insieme a Laura si trasferiscono a Sanremo senza più dare notizie.
Luca, che si trovava a Napoli per gli esami universitari, viene richiamato con urgenza da un laconico telegramma dello zio. Tornato al paese viene travolto dagli eventi e tenta di organizzare la resistenza dei contadini agli ordini di sfratto. I fascisti e i carabinieri compiono una spedizione punitiva reprimendo nel sangue il tentativo di rivolta. Anche Luca Marano rimane ucciso.
Secondo il canone neorealista, Luca Marano rimane sconfitto ma la sua sconfitta è esaltata e portata a modello; tramite la morte vengono idealizzati i valori per i quali ha lottato e pur non avendo assistito alla loro realizzazione rimane l’esempio e l’indicazione della strada da seguire.
In questo romanzo
“assistiamo al nascere del fascismo, […] come un movimento che non aveva ancora il suo nome e la sua fisionomia definita, senza propositi polemici contro di esso, ma come la storia naturale e dolorosa di una malattia nazionale che investiva perfino terre barbariche e socialmente ineducate con una fatalità ineluttabile” (Luigi Russo, in «Milano Sera» del 21 luglio 1950).
Non si tratta comunque della raffigurazione romanzesca di un grande episodio di lotta di classe. Non si scorge traccia di coscienza in nessuna delle due parti in conflitto. Si trova solo un incespicare di forze cieche e oscure su uno sfondo di immensa tristezza, di una miseria antica.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
A Calena, di marzo, incominciava il sole lungo. Per tutto l’inverno la cresta delle Mainarde, che era a ponente della città, faceva brevi i crepuscoli. I raggi, rotti dalle rocce, illuminavano breve tratto del cielo di luce folgorante, lasciando la città e le sue terre nell’ombra.
Di primavera il sole si poneva al centro d’una forca tra il Timbrone e il Sellao, e dava, morendo, quasi a pelo delle terre piú basse, fin l’ultima briciola di luce.
In una mattina serena di marzo l’avvocato Cannavale percorreva a cavallo le terre del Sacramento. Lo seguiva a distanza Felice Protto, suo fattore e affittuario d’una parte della tenuta. L’avvocato si era deciso a fare quella visita ai suoi poderi con il ritorno della buona stagione, non tanto per rendersi conto dei pascoli e delle coltivazioni, quanto per uscire dalla sua casa di città dopo giorni e giorni di pigrizia e di solitudine.
Il fattore, quando riusciva a raggiungere il suo padrone, tentava di parlargli; faceva precisi segni per indicare questa o quella parte della contrada, per mostrargli i limiti delle terre che egli stesso aveva in concessione, i prati che erano affittati ai pastori di Morutri e le distese di campi incolti nei quali il pascolo abusivo era piú largamente praticato.
L’avvocato Cannavale volgeva di tanto in tanto la testa verso il suo interlocutore e faceva un vago cenno di consenso; ma era chiaro che la sua mente era rivolta ad altri pensieri.
Scarica gratis: Le terre del Sacramento di Francesco Jovine.