Die Naturkräfte, scritto nel 1903, è un interessante compendio della conoscenza scientifica così come si presentava alla fine del XIX secolo. Pur tra molte semplificazioni e imprecisioni, il testo del naturalista e astronomo Meyer ha il pregio di sforzarsi di presentare lo stato dell’evoluzione del pensiero scientifico sotto il suo aspetto evolutivo. Alla fine dell’ottocento, ad esempio, presero campo in maniera dirompente gli studi sulla radiazione catodica e il corpo nero. Spesso, leggendo varie storie della scienza, si ha l’impressione di un emergere improvviso di quei temi, ma così non è e Meyer è abile a mettere in evidenza che lo studio fenomenologico della scarica elettrica nella materia rarefatta e il comportamento di oggetti che sono in grado di assorbire porzioni rilevanti della radiazione incidente era attivo e vivace fin dal Settecento. E mette anche in rilievo come gli studi di Gustav Robert Kirchhoff poterono usufruire non solo dell’avanzamento del sapere teorico ma anche dello sviluppo delle tecniche di misurazione in laboratorio, imprimendo così un’accelerazione importante nello sviluppo della conoscenza nel settore.

L’interpretazione della corrispondenza tra spettri di emissione e spettri di assorbimento, che Kirchhoff potè formulare confrontando lo spettro solare con quello ottenibile in laboratorio per il sodio, presupponeva l’accettazione dell’idea che tutti i corpi naturali fossero caratterizzati da rapporti specifici tra potere di emissione e potere di assorbimento e questo spalancava la porta alla possibilità di eseguire analisi chimiche a distanza sui corpi celesti.

L’ultimo ventennio dell’Ottocento portava quindi due grandi risultati: quello di Boltzmann, abbinando deduzioni provenienti dalla termodinamica alla teoria di Maxwell del campo elettromagnetico; e quello sulla forma delle curve sperimentali delle funzioni di Kirchhoff. Gli effetti della sempre più evidente convergenza di questi due aspetti dovette attendere ancora perché i programmi di ricerca teorica ponessero nella prospettiva migliore la questione della distribuzione dell’energia nello spettro di corpo nero, ma nell’esposizione di Meyer troviamo tutti gli elementi che la ricerca dall’inizio del XX secolo aveva a disposizione per proseguire su quella strada.

In campo biochimico avevano in quegli anni iniziato a fronteggiarsi la tradizione morfologica e la nuova strada sperimentale. Ovviamente queste due diverse impostazioni porteranno presto a una differenziazione disciplinare. La forma è infatti un oggetto di studio e un principio esplicativo mentre la biologia sperimentale insiste su un metodo che ha applicazioni in contesti esplicativi anche molto diversi tra loro. Fra naturalisti e sperimentalisti si viene quindi a creare una distinzione disciplinare oltre che una distinzione di metodo. I punti di vista sull’organismo si differenziano e si discute su come affrontarne lo studio, su quali interrogativi sia maggiormente proficuo porsi e sui criteri per i quali le risposte che arriviamo a darci possono essere considerate congrue e accettabili.

Questo processo si svolse principalmente nel periodo che va dal 1880 al 1930 e Meyer è testimone attento, anche se talvolta un poco disorientato, della sua prima fase. Nel 1901 E.B. Wilson, fondatore della moderna citologia, sottolinea la mancanza di mutua comprensione tra i naturalisti sul campo e i ricercatori di laboratorio, tra i quali si riscontrano pittoresche e reciproche definizioni: cacciatori di cimici vengono definiti i primi e affettatori di vermi i secondi. In termini più precisi quello che si va delineando alla fine dell’800 è la distinzione tra morfologia comparata (dominio dei naturalisti sul campo); lo studio della struttura cellulare (morfologia da laboratorio); ricerca di tipo fisiologico, chimico fisico in senso stretto. Ovviamente Meyer non può che far intuire la fase iniziale di questo dibattito.

Ho quindi sinteticamente esposto la chiave di lettura della prima e dell’ultima parte del ponderoso excursus di Meyer, ma con la stessa ottica il lettore potrà filtrare quello che l’autore ci dice in materia di fisica e chimica. In sintesi siamo di fronte certamente a un testo divulgativo di oltre un secolo fa, ma che presenta caratteristiche che possono risultare interessanti per un lettore che voglia porre un tassello non irrilevante tra le sue cognizioni di storia della scienza.

Traduzione attenta e meticolosa dei due fratelli Carlo e Alberto Del Lungo pubblicata nel 1912.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Tutti i movimenti, tutti i cambiamenti di stato, che avvengono intorno a noi, così nei corpi viventi come in quelli privi di vita, dobbiamo rappresentarceli siccome l’effetto di forze che agiscono sopra di essi o dall’interno o dall’esterno. E poichè nessun corpo, neppure per un solo istante, rimane invariato, così lo stato attuale dell’universo, il suo passato e il futuro, insomma il campo intero del nostro sapere dovrebbe essere considerato come un prodotto delle forze naturali, e quindi esser trattato in questo libro.
Ma la limitata potenza della nostra mente ci mette nell’impossibilità di considerare e descrivere come un tutto tanti fenomeni così complessi e fra loro intrecciati. È necessario dividerli in diverse categorie e studiarli separatamente; e solo dopo tale lavoro di analisi, potremo tentare di ricomporre l’organismo dell’Universo, per comprenderlo nella sua unità così come ci apparisce.

Scarica gratis: Le forze della natura di Max Wilhelm Meyer.