Le due principesse.

Racconto fantastico

di
Cordelia

tempo di lettura: 27 minuti


Per molto tempo il re e la regina della Valle degli Aranci erano vissuti tranquilli e contenti; nessuna nube era sorta a turbare la loro pace serena. Fu soltanto quando la regina mise al mondo due gemelle, belle come in quel regno non se n’erano mai vedute, che il re e la regina incominciarono a bisticciarsi per l‘educazione delle due principesse.
Il re voleva renderle sapienti, perchè potessero un giorno governare il regno, e pensava di affidare la loro istruzione ai saggi più rinomati della Valle degli aranci.
La regina, desiderava che divenissero le più belle principesse del mondo, e a questo scopo pensava rivolgere ogni cura al loro corpo e trovava inutile ingombrarne la mente con troppi studii.
Dopo la nascita delle due bambine a corte non c‘era più pace. Il re aveva sempre la faccia rabbuiata, la regina non mangiava più e diventava magra a vista d‘occhio; spesso quando si trovavano a tavola,e una quantità di cibi squisiti mandava dei profumi deliziosi che stuzzicavano l‘appetito, il discorso cadeva sulle due principesse e incominciavano come al solito a disputare. La regina diceva, che le avea messe al mondo, avea sofferto per loro e spettava a lei il compito di educarle; il re rispondeva ch‘era lui il padrone, ed in tutto il regno tutti dovevano piegarsi alla sua volontà. La regina s‘irritava, alzava la voce, il re dava dei pugni sulla tavola, la regina indispettita gettava via il tovagliuolo e andava a chiudersi nelle sue stanze; il re saliva a cavallo, usciva dal palazzo e per molti giorni nessuno ne avea notizie. Era una vita insopportabile; così non potevano tirare innanzi, tanto che un giorno pensarono di chiamare tutti i saggi del regno affinchè giudicassero a qual partito appigliarsi.
— Perchè non ci sono più fate come nei tempi passati! – esclamava il re: – metterei le principesse sotto la loro protezione e noi si vivrebbe in pace.
— Ora sono le mamme che devono pensare alle figliuole; – diceva la regina, – le fate non c‘entrano.
— Le principesse devono imparare a regnare, perciò è il padre che deve educarle.
Ed erano sempre da capo col medesimo ritornello.
Intanto molti messi erano andati per ordine del re a radunare i saggi del regno.
Cerca a destra, cerca a sinistra, a stento riuscirono a raccoglierne undici e a condurli al palazzo reale.
Quando venne un messo ad annunziare che i saggi erano radunati nella gran sala dei consiglio, il re porse la mano alla regina ed entrarono con aria solenne nella gran sala dove i saggi stavano tutti concentrati in loro stessi e pensierosi per sciogliere la grande questione per la quale erano stati radunati.
Il re e la regina, prima di sedere sul trono, giurarono di sottomettersi a quello che gli undici saggi avrebbero decretato e stettero in silenzio ad attenderne il responso.
I saggi incominciarono a discutere con voce calma, ma poi la discussione si fece più animata e quasi nel calore della disputa dimenticarono il luogo dove si trovavano e d‘essere alla presenza dei sovrani.
I cinque più vecchi davano ragione al re, egli era il padrone e dovea educare a suo piacere le principesse.
I cinque più giovani, forse per galanteria, tenevano invece per la regina, si trattava di bambine e la loro educazione spettava alla madre.
Soltanto il saggio Abimelecco era stato tutto quel tempo silenzioso in un angolo, accarezzandosi la barba fluente che gli copriva il petto.
Quando il re s‘accorse che la seduta minacciava di farsi burrascosa s‘alzò; e disse:
— Vedo che i giudizii dei miei saggi sono divisi; il solo che non si è ancora pronunziato è Abimelecco, conosciuto in tutto il regno col nome di arca di tutte le scienze. Egli solo sarà quello che risolverà la questione, la sua sarà la voce della giustizia.
Poi rivoltosi al saggio soggiunse:
— Parla, Abimelecco, te lo comando.
Abimelecco s‘alzò dal seggiolone; ringraziò il re con un inchino e incominciò:
— Dopo aver molto studiato ho concluso che le bestie nella loro vita semplice e primitiva sono più contente degli uomini, che hanno l‘orgoglio di chiamarsi animali ragionevoli. Le bestie si procurano da mangiare, e vivono tranquille senza arrovellarsi il cervello; l‘uomo invece non fa che studiare il modo per complicare la sua esistenza già per sè stessa abbastanza difficile,si crea una quantità di bisogni, tiene in gran pregio la bellezza, le ricchezze e il sapere senza pensare alla vanità delle cose umane. Ora il nostro valoroso re e la nostra bella regina desiderano la felicità delle loro figlie; ma in che cosa consiste la felicità? dove si trova? Mistero. Nessun sapiente potrebbe con certezza affermarlo. Onde io penso che le principesse essendo due, giustizia vuole che una sia affidata al re, l‘altra alla regina; e se avremo lunga vita,ci sarà dato vedere quale delle due sarà più lieta, più buona e più felice.
Alle saggie parole di Abimelecco tutti rimasero sorpresi di non aver pensato ad una soluzione tanto semplice e giusta, e approvarono il giudizio dell‘arca di tutte le scienze.
Il re e la regina si sottomisero al decreto dei saggi, ognuno contento di poter esercitare la propria influenza almeno sopra una delle due principesse; anzi il re volendo mostrarsi cortese disse alla moglie di scegliere quella che desiderava le venisse affidata.
La regina diede la preferenza a Gliceria, una bella fanciulla che avea i capelli biondi come raggi di sole e gli occhi di un azzurro violetto come i fiori della pervinca, la fece venire a sè, l‘abbracciò e la condusse nei suoi appartamenti dicendo alle sue damigelle:
— Vedete questa bambina? Essa sarà un giorno per opera mia la più bella principessa dell’universo, e voi dovete aiutarmi in quest‘opera.
Al re rimase Melitta, l‘altra bimba che avea i capelli neri come le ali del corvo e gli occhi intelligenti ma scuri come carboni sui quali fosse caduta una scintilla di fuoco, perchè spesso si accendevano e mandavano lampi.
— La farò saggia, – pensò il re conducendola nei suoi appartamenti, – così a lei toccherà in avvenire il governo del regno.
Egli fece venire da tutte le parti del mondo degli uomini sapienti affinchè versassero nella, sua mente giovanile tutta la loro scienza, e anch‘egli nei momenti di riposo prese l‘abitudine di conversare colla figliuola di affari importanti e di argomenti gravi, che s‘aggiravano spesso sopra il governo del regno.
Melitta era molto intelligente, capiva le cose prima ancora che le venissero spiegate, si compiaceva molto nello studio, aveva tanta sete di sapere che appena fu più grandicella volle essere informata di tutte le nuove scoperte della scienza, volle leggere tutti i libri che si potevano trovare nel regno, e chiese al padre il permesso di poter abitare un‘ala del palazzo circondata da un vasto giardino, lontana dai rumori della città per non essere disturbata nei suoi studii e nel suo raccoglimento.
Il re si compiaceva di secondare i desiderii della figlia prediletta, e gli appartamenti da lei preferiti si potevamo chiamare il regno della scienza.
Una lunga fila di stanze era occupata da immense biblioteche ricche di migliaia di volumi; da un lato c‘era un laboratorio per gli esperimenti scientifici,poi una galleria di quadri, un museo di storia naturale, sale dedicate alla musica, e finalmente un‘altissima torre con potenti telescopi per lo studio dell’astronomia. Appunto su quella torre la principessa Melitta passava gran parte della giornata e della notte per contemplare il mare e gli astri.
Nei suoi appartamenti riceveva spesso la visita delle persone più illustri, fra quelle che si distinguevano nelle scienze e nelle arti, e quando aveva bisogno di moto faceva sellare il suo cavallo e galoppava per i boschi più deserti collo sguardo acceso, coi capelli al vento, certa di non incontrare anima viva, in quelle immense solitudini.
Col padre andava ogni anno a fare un viaggio d‘istruzione in paesi sconosciuti. Per non aver noie, viaggiavano incogniti, imparavano molte cose nuove e si divertivano immensamente.
Colla madre e colla sorella Melitta non si trovava quasi mai, eccetto nelle occasioni solenni, che la saggia fanciulla vedeva avvicinarsi ogni anno con orrore,come quelle che la distoglievano dagli studii prediletti, e la mettevano in contatto colla sorella, tanto diversamente educata, colla quale non poteva andare d‘accordo.
Infatti gli appartamenti di Gliceria non rassomigliavano a quelli di Melitta.
La regina non apprezzava che la bellezza delle forme, e la parte del palazzo dove viveva con Gliceria si sarebbe potuta chiamare il regno della vanità.
Non si vedevano che specchi immensi su tutte le pareti, e sparsi per le stanze gemme, fiori e adornamenti femminili di tutte le specie.
Ogni giorno la regina assisteva al bagno di Gliceria; era un bagno profumato in una vasca di rubino che dava, alla carne una tinta rosea indimenticabile. Poi la regina osservava se la pelle della principessa fosse bianca e levigata come un marmo, quando vi scorgeva una piccola macchia di rossore apriva uno stipo d’oro dove teneva rinchiusi olii ed unguenti preziosi e ungeva la macchia finchè fosse scomparsa; poi, mentre le ancelle pettinavano la principessa, essa ne dirigeva l‘acconciatura, studiando le fogge che la facevano comparire più bella.
Tutte le parti del corpo della giovane principessa erano oggetto di cure speciali, alcune ancelle avevano cura delle mani e dei piedi,altre versavano profumi delicati sulla bionda capellatura, la ginnastica e il massaggio, usati opportunamente, davano alle membra una flessuosa elasticità; e continuavano così delle ore finché la regina non dicesse d‘essere contenta.
Allora la prendeva per mano, la conduceva davanti allo specchio dove si potesse mirare intera e le diceva:
— Trovami in tutto il regno una fanciulla più bella di te; sono io che ti ho fatta così e che così ti mantengo.
— Grazie, mamma, – rispondeva la principessa, – la bellezza è il migliore dei doni, essa può tutto.
E stava a contemplarsi con compiacenza infinita davanti allo specchio, innamorata di se stessa,oppure si riposava sdraiata sopra soffici divani, senza mai far nulla, perché non doveva sciupare con lavori inutili le belle mani, come non le era permesso di affaticare la testa collo studio, né i begli occhi sui libri.
Aveva invece maestri incaricati d‘insegnarle la grazia nei movimenti, il ballo, il bel portamento, a volger gli occhi in modo espressivo e a sorridere in modo da innamorare le persone più insensibili.
Con tante cure dedicate alla persona, Gliceria diventava ogni giorno più bella, ed era peccato che la madre non le permettesse di passeggiare che nei boschetti ombrosi, oppure di sera per timore che il sole guastasse una carnagione tanto bianca e delicata.
La famiglia reale dovea mostrarsi al popolo in piena luce del sole una volta all‘anno, e in quell’occasione tutti stavano in ammirazione della principessa Gliceria che passava in mezzo alla folla superba della sua bellezza come una dea, e la sua figura ridente e luminosa pareva un raggio di sole rischiarante la via dove passava il corteggio reale.
Anche Melitta doveva, sebbene malvolentieri, prender parte a quella festa; era troppo intelligente per non comprendere, che, per quanto bella, rimaneva eclissata dalla bellezza della sorella. Perciò prese l‘abitudine di non mostrarsi in pubblico che avvolta in un velo bianco e lucente, il quale lasciava indovinare, ma non rivelava le bellissime forme. Teneva quel velo misterioso sul viso a guisa delle donne orientali; e i suoi occhi fiammeggianti, soli scoperti,mandavano lampi sulla folla che non sapeva se ammirare più la sfolgorante bellezza di Gliceria o arrestarsi curiosa innanzi alla misteriosa Melitta.
Gliceria era indispettita dalla curiosità, che eccitava la sorella e a tutti diceva che era tanto brutta da non aver coraggio dl mostrarsi a viso scoperto; ma nessuno le dava retta ed essa in cuor suo ne fremeva..
Però se nel mondo era corsa la fama della bellezza di Gliceria, era pur nota la sapienza di Melitta, e fin dai più lontani paesi arrivavano dei principi per ammirare l‘una e per avere i saggi consigli dell‘altra.
Anche il re, prima di accingersi ad un‘impresa incerta, si consigliava colla figlia prediletta, ed a lei ricorrevano gli ammalati di corpo e di spirito, tanto che era amata e stimata più di Gliceria che viveva soltanto per sè stessa e per la propria bellezza.
Le principesse erano giunte all‘età di diciott‘anni, e i genitori pensavano che era tempo di maritarle; ma c‘erano delle difficoltà. Gliceria non trovava nessun mortale degno della sua bellezza, e Melitta amava troppo la scienza e la libertà per decidersi a fare una scelta.
Molti principi erano già stati accolti alla corte della Valle degli Aranci, ma Melitta non si mostrava e Gliceria si divertiva nel vederli languire d‘amore ai suoi piedi e li mandava poi nei loro regni disperati ed infelici.
Quando la regina le diceva che doveva pure decidersi a fare una scelta, rispondeva:
— C‘è tempo! Ci penserò prima che spuntino i capelli bianchi e che si scopra la prima ruga.
Ed intanto passava le giornate sempre in ammirazione di sè e della propria bellezza.
In un regno lontano dalla Valle degli aranci c‘era il regno Azzurro, uno dei più belli e ricchi del mondo, dove gli alberi erano carichi di frutti meravigliosi, e nascevano dei fiori così belli e grandi che profumavano l‘aria per molte miglia intorno a loro.
Vi regnava un re possente e valoroso che aveva un unico figlio bello e intelligente, sul quale avea riposte tutte le speranze.
Il principe Azzurro, che così era chiamato, divenne tutto ad un tratto malinconico, tanto che non era più riconoscibile; egli non parlava, mangiava pochissimo, era indifferente a tutto, e quando gli chiedevano la ragione di quel cambiamento rispondeva che era stanco di vivere e che si annoiava.
Il re non si poteva dar pace nel veder triste il figlio che avrebbe dovuto esser lieto e contento. Credendolo ammalato, chiamò i migliori medici del regno, i quali gli diedero tante droghe che gli rovinarono lo stomaco e lo resero ancora più malinconico.
Allora si risolse di farlo viaggiare sperando che la distrazione potesse giovargli meglio della medicina.
Aveva udito parlare delle principesse della Valle degli aranci e pensò di mandarlo in quel paese, colla speranza che la società delle belle principesse potesse giovargli.
Il principe non avrebbe avuto volontà di muoversi, ma per ubbidire al padre s‘imbarcò con un seguito numeroso sopra un bastimento dalle vele azzurre, e s‘avviò verso il regno della Valle degli aranci, mandando avanti un messaggero per annunciare il suo arrivo.
Appena nel regno degli Aranci si sparse la notizia, dell‘arrivo del principe Azzurro, tutti si prepararono ad accoglierlo con grandi feste e come si conveniva ad un principe tanto potente, e il re e la regina raccomandarono alle principesse di mostrarsi graziose e gentili col loro ospite.
Gliceria stette intere settimane davanti allo specchio per vedere quali adornamenti facessero meglio risaltare la sua bellezza, ed era sicura di fare una grande impressione nell‘animo del principe; in quanto a Melitta, ell‘era troppo immersa nella scienza e non pensava a cose frivole e vane.
Mentre una schiera di alti personaggi furono mandati ad incontrare il principe ai confini del regno, il re, la regina, le principesse ed i loro seguiti stavano ad aspettarlo nella sala del trono.
Era una bellissima sala rischiarata da cento finestre.
Il re e la regina avevano i manti tutti sparsi di gemme preziose, che scintillavano mandando mille riflessi.
Il vestito di Gliceria era color dell‘aria d‘un tessuto leggero trasparente che adombrava il bel corpo con riflessi azzurri; i capelli d‘oro le formavano come un aureola di raggi solari intorno alla fronte e per solo ornamento, avea una grossa perla sui capelli, e sul petto un gruppo di rose bianche le quali impallidivano accanto alla delicata carnagione di lei. Essa era superba nella sua semplicità e stava seduta accanto alla madre sorridendo modestamente, con una posa che parea, semplice e naturale, ma che avea studiata per parecchie ore davanti allo specchio.
Melitta stava invece accanto al padre, avvolta nei suoi veli misteriosi, immobile e silenziosa come una sfinge; soltanto i di lei occhi mandavano lampi che pareva dovessero incendiare gli oggetti sui quali si posavano.
Tutto ad un tratto un movimento serpeggiò fra la folla, si udì un fragor di trombe, un suono di campane; le porte del palazzo si apersero come per incanto ed il principe Azzurro entrò col suo seguito nella sala del trono.
Il re si mosse per incontrarlo, lo abbracciò e lo presentò alla regina e alle principesse. Il principe s’inchinò con atto ossequioso, ma rimase muto e impenetrabile come una tomba.
Era alto, ben fatto, avea la faccia pallida, illuminata da due occhi espressivi e intelligenti, e portava con fierezza la cupa armatura come un guerriero antico, ma le sue labbra non potevano sorridere.
Gliceria per scuoterlo fece cadere una delle rose che teneva sul petto, ma egli non si mosse e lasciò che uno del seguito si chinasse a raccoglierla.
Gliceria uscì dalla sala indispettita, e non prese parte nemmeno al pranzo di gala dicendo d‘essere ammalata, ma in realtà perchè si sentiva avvilita che il principe non si fosse degnato nemmeno di rivolgerle un‘occhiata.
Essa aveva un gran cane danese, col pelo liscio come il raso, lucente come l‘argento che amava più d‘ogni cosa al mondo, perchè la guardava sempre con occhi pieni d‘ammirazione; quando non voleva essere disturbata, faceva sdraiare il suo fido cane attraverso l‘uscio ed era ben certa che Lampo avrebbe strozzato chiunque avesse voluto penetrare nella sua camera.
Così fece quel giorno, si chiuse in camera e non volle vedere nessuno; se il re o la regina mandavano qualche messaggero, questi veniva accolto dal cane in modo che doveva tornarsene senza risposta, se aveva cara la vita.
Dopo le liete accoglienze del primo giorno il re disse al principe Azzurro che lo lasciava libero di fare ciò che più gli piacesse, metteva a sua disposizione tutto il suo regno, e da quel giorno lo calcolava come figlio.
Quando il principe si fu ritirato coi gentiluomini del seguito nelle sue stanze udì da tutti i suoi seguaci lodare la bellezza di Gliceria, che s‘era mostrata solo per pochi istanti come una fugace apparizione.
Il principe come di solito non prese parte a quei discorsi, ma poi disse tutto ad un tratto:
— Mi piacerebbe vedere la principessa Melitta.
I suoi seguaci si guardarono in faccia sorpresi. Era la prima volta che dopo tre anni il principe apriva la bocca per esprimere un desiderio.
— Ci pare una curiosità che potrete facilmente appagare, – gli risposero.
— Non lo credo; in ogni modo voglio fare una visita alla principessa misteriosa.
Con questo pensiero andò a coricarsi e si addormentò tranquillamente, mentre i suoi compagni scrissero subito al re del regno Azzurro, che avevano buone speranze per la guarigione del principe.
Melitta non era abituata a vedersi preferita alla sorella, sicchè rimase molto sorpresa quando seppe che il principe Azzurro le chiedeva il permesso di vederla.
Essa lo fece entrare nella sua stanza preferita. Era un gabinetto colle pareti coperte di preziosissimi arazzi, con un terrazzo dal quale si dominava tutta la Valle degli Aranci, e lontano in fondo si vedeva il mare azzurro sparso di vele bianche. Melitta, seduta sopra un seggiolone di velluto, volgeva le spalle alla luce, in modo che la sua persona, oltre che avvolta nei veli restava nell’ombra, e quando entrò il principe se lo fece sedere di fronte affinchè il volto di lui rimanesse tanto illuminato, che non le potesse sfuggire il più impercettibile movimento.
Il principe, che non era abituato a fare discorsi inutili, le disse subito:
— Vi assicuro che se venni a voi così presto, fu perché mi punge la curiosità di sapere per qual ragione voi nascondete il vostro volto sotto a fitti veli.
— Se si volesse sapere la ragione di tutte le cose si diverrebbe pazzi, – rispose Melitta. – Domandate al sole perchè riscalda, alla rosa perché è profumata, al mare perché è profondo; oppure, per parlare di cose meno astratte, perché una donna si copre il seno, un‘altra i piedi e le mani, perché una si carica d‘ornamenti ed un‘altra si vela il volto. Forse è per capriccio o per moda, ma la vera ragione nessuno la sa.
— E non scoprite mai il vostro volto?
— Mai, quando qualche occhio umano mi può vedere.
— E non vi lascierete mai vedere da nessuno?
— Soltanto da quello che sarà il mio sposo, – disse Melitta.
— E a me non vi scoprireste?
— Perchè? a quale scopo?
— Per appagare la mia curiosità, – disse il principe.
— La vostra curiosità è malsana, dovete guarirvi.
— Sì, guarirò quando vi avrò veduta.
— Allora starete peggio.
— Perchè? – chiese il principe.
— Perché ora avete qualche cosa che v‘interessa, e quando mi avrete veduta ritornerete indifferente come prima.
— No, sarei felice, – disse il principe con un sospiro.
— Povero illuso! – esclamò Melitta fissandolo negli occhi. – Vedete, io leggo nel vostro pensiero; voi siete triste perché avete un vuoto nel cuore e nel cervello, fatevi entrare l‘ansia, il dolore, qualche cosa insomma, e guarirete; ora nel vostro è già penetrata la curiosità, e volete che io vi aiuti ad appagarla? che contribuisca, a peggiorare il vostro male? No, non sarà mai.
Il principe stava. immobile osservandola, nessuno gli aveva mai parlato in quel modo e nessuna voce gli era, come quella, penetrata nel più profondo dell‘anima.
— Ma chi siete mai? – esclamò il giovane. – Una fata? un essere soprannaturale?
— Nulla di straordinario, ho vissuto sola ed ho studiato il cuore umano, copro il volto, ma rivelo il mio spirito; se il viso è coperto da un velo, parlo volentieri a chi desidera ascoltarmi.
— E potrò venire tutti i giorni a ricevere il balsamo che sapete versare nel cuore colle vostre parole?
— Venite pure, anzi ve ne prego, – rispose Melitta; – così potessi infondervi il desiderio di vivere.
— Grazie, – disse il principe inchinandosi, – domani ritornerò ed intanto penserò alle vostre sagge parole.
— Una parola ancora, – soggiunse Melitta, – non dimenticate di visitare mia madre e mia sorella, tenetevele amiche; temo per voi la loro collera se mi usate delle preferenze.
— Vi ubbidirò, – disse, e se n‘andò dopo aver dato un‘ultima occhiata alla misteriosa principessa.
Gliceria aveva saputo della visita del principe Azzurro alla sorella e ne era furiosa. Di tutti i principi che avevano spasimato d‘amore per lei, il principe Azzurro era quello che l‘aveva colpita più di tutti, ed egli non si era neppure degnato di guardarla.
Quando poi seppe che era stato da Melitta si sentì spuntare le lagrime agli occhi, che però ebbe fretta di asciugare, sapendo che il pianto offusca la bellezza.
Ma il suo sdegno era immenso, si sentiva soffocare dall‘ira, girava su e giù per la stanza, giurando che si sarebbe vendicata di un simile affronto, quando venne una damigella ad annunciarle la visita del principe Azzurro.
Fu sul punto di non riceverlo, poi pensò di vendicarsi di lui e della sorella rendendolo innamorato della sua bellezza.
Si ricompose in fretta davanti allo specchio, s‘accomodò i ricci dell‘acconciatura e accolse il principe col più seducente sorriso.
Il principe ammirava la bellezza di Gliceria, ma si sentiva freddo al suo cospetto e non sapeva che cosa dirle. Tanto per non stare immobile accarezzava Lampo e rispondeva a monosillabi. Gliceria invece chiacchierava incessantemente, dicendo cose vuote e insignificanti, parlava del tempo, delle feste che si preparavano nel regno e procurava di rendersi amabile. Si aspettava sempre che il principe le facesse degli elogi o sulla sua bellezza o sulla sua grazia ed eleganza, gli chiedeva notizie delle fanciulle del regno Azzurro; ma egli cambiava discorso e pensava che Gliceria, con tutta la sua bellezza, era una bambola, e che Melitta era più attraente.
Più il principe si mostrava freddo, più Gliceria s‘infiammava, e si sentiva per la prima volta innamorata, al punto che per sposare il principe avrebbe anche rinunciato alla sua bellezza.
Il principe non si lasciò commuovere dalle moine della bella principessa, e fedele a Melitta andava tutti i giorni a passar parecchie ore con lei. Spesso la supplicò di togliersi il fitto velo che la nascondeva ai suoi occhi, ma essa non si piegava a quelle incessanti preghiere.
— Sarebbe tutto finito, – diceva – quel giorno che il mio viso vi fosse noto dovreste partire per non rivedermi mai più.
— E se vi facessi mia sposa?
— Allora si partirebbe insieme.
Il principe parlava seriamente di chieder la mano della principessa, la quale nella sua sapienza gli consigliava d‘aspettare, perchè sentiva avvicinarsi una bufera.
— Quale bufera? – chiese il principe.
— Gliceria vi ama.
— Lo so, me ne stano accorto, ma lei non c‘entra in questa faccenda.
— Quel giorno che dichiarerete il vostro amore per me, ella si vendicherà.
— Il nostro amore sarai più forte del suo odio.
Dopo qualche giorno Melitta lo fece chiamare e gli disse:
— Fuggite se mi amate e se avete cara la vita.
— Perchè?
— Ecco un dono che vi era destinato, – e gli mostrò una focaccia.
Sì dicendo chiamò Lampo che per caso era entrato nei suoi appartamenti e gli diede la focaccia. Appena Lampo l‘ebbe mangiata cadde in terra in preda a convulsioni terribili e spirò.
Il principe rimase sorpreso.
Melitta disse:
— Per questa volta sono riuscita a salvarvi, ma dovete partire, e senza indugio.
— Come potrò vivere senza di voi? – chiese il principe.
— Non abbiate timore, ci rivedremo. Qui ci sono tre messaggeri che mi porteranno le vostre notizie, – e sì dicendo gli diede in una gabbia d‘oro tre colombe bianche come la neve; – quando poi vorrete ascoltare le mie parole, aprite questo libro, qui è racchiusa tutta la mia anima.
E assieme alla gabbia gli porse un libriccino coi fermagli d‘oro.
— Bella e misteriosa principessa, – disse il principe inginocchiandosi e baciandole le mani. – Io ero una statua, voi mi avete dato la vita, vegetavo ed ora vivo. Guai se mi abbandonate!
— Per lo spirito non vi sono distanze, – disse Melitta, – pensate a me e il mio pensiero verrà incontro al vostro.
— Partiamo insieme, – supplicava il principe.
— Non ora, vi raggiungerò, – disse la principessa, – addio, andate, la vostra nave dalle vele azzurre vi aspetta, non c‘è tempo da perdere.
Il principe uscì, e Melitta quando udì richiudersi l‘uscio dietro di lui cadde a terra priva di sensi.
Ma fu un attimo, si alzò subito dopo e dall‘alto della torre seguì collo sguardo il bastimento che si preparava alla partenza. Lo vide staccarsi dalla riva e colle vele azzurre spiegate al vento scomparire sul mare infinito.
Non era ancora del tutto scomparso dal suo sguardo, quando entrò Gliceria.
— Lampo! Lampo! dov‘è il mio cane? – disse.
— Eccolo, – rispose Melitta conducendola presso al cane morto.
— Infame, tu l‘hai ucciso.
— No, fu il Pasticcio che mi hai mandato.
— Non era per te.
— Ma per l‘uomo che amo, – disse Melitta, – e che sarà il mio sposo.
— Come lo impedirai?
— L‘ucciderò.
Sì dicendo uscì dalla stanza di Melitta e andò dalla regina a chieder giustizia.
Il principe Azzurro avea ucciso il suo cane e doveva essere condannato a morte. La regina glielo promise, ma quando si cercò il principe Azzurro, si seppe che era andato lontano lontano, e nel regno della Valle degli aranci non v‘erano navi tanto veloci per raggiungerlo.
Gliceria avea giurato di vendicarsi e dimenticava la sua vanità pur di riuscire.
Fra i giovani innamorati pazzamente della sua bellezza c‘era un principe forte e valoroso, che per lei avrebbe sfidato qualunque pericolo; era il principe di Roccabruna, al quale promise d‘esser sua sposa se riuscisse ad uccidere il principe Azzurro.
— Dovessi andare fino in capo al mondo, vi ubbidirò, – disse il principe di Roccabruna.
— Ebbene, – disse Gliceria, – partite questa notte sopra una nave che troverete pronta nel porto, ma vi raccomando il segreto; se Melitta scopre la nostra congiura, è capace di salvare il suo principe.
— Che cosa potrà fare una debole fanciulla?
— È forte perchè è sapiente, – disse Gliceria, – vi raccomando la massima prudenza; eccovi il mio ritratto, miratelo nei momenti difficili, egli vi darà coraggio. – E gli diede un medaglione colla sua effigie in miniatura, che egli mise sul cuore giurando la morte del principe Azzurro e partì.
Il principe Azzurro veleggiava sul mare immenso; pensando a Melitta si sentiva meno infelice d‘esserle lontano perchè aveva l‘impressione che lo spirito di lei gli aleggiasse intorno. Guardava il cielo in silenzio, ma aveva una speranza che gli rendeva cara la vita e non era più il principe indifferente e cupo di altri tempi.
Dopo aver navigato per tre mesi e tre giorni quando gli pareva d‘esser vicino a terra s’accorse d‘essere inseguito da una nave sconosciuta. Ordinò di dar forza alle vele e di andare colla massima velocità temendo qualche pericolo, ma la nave che lo inseguiva gli era sempre più vicina, e stava per raggiungerlo. Egli si vide perduto e scrisse un saluto a Melitta che attaccò all‘ala d‘una colomba poi aperse la gabbia e il candido uccello partì fendendo colle ali lo spazio.
Intanto egli arrivava all‘isola della Mala Ventura sempre inseguito dall‘altra nave molto più grande e piena di gente armata dalle facce sinistre.
Ormai non c‘era più scampo; bisognava venire a patti con quei corsari che lo inseguivano e che infestavano quei paraggi.
Egli offerse al capo tutta la sua nave e le ricchezze che conteneva a patto d‘aver coi compagni salva la vita.
Il capo acconsentì purchè il principe rimanesse coi seguaci nell‘isola, non dicesse nulla a nessuno e non si ribellasse.
Il Principe, chiese che gli lasciassero la gabbia colle colombe e il libriccino di Melitta.
Il capo dei corsari gli fece anche questa grazia, ma lo spogliò della ricca armatura; furono spogliati anche i compagni e li lasciarono nudi e abbandonati mentre essi indossarono le ricche vesti, e s‘imbarcarono sulla nave azzurra mandando l‘altra carica di bottino ai loro paesi.
— Su questa nave e con queste vesti non saremo riconosciuti, – dissero, – e faremo ben altre imprese. – E se ne andarono lasciando il principe Azzurro coi compagni nell‘isola della Mala Ventura.
Primo loro pensiero fu di procurarsi qualche frutto per mangiare, e mentre tutti pensavano di fabbricare una capanna colle foglie degli alberi, il principe scrisse una lunga lettera a Melitta raccontandole le sue avventure e chiedendole soccorso. Egli l‘affidò ad un‘altra colomba; poi si mise a leggere il libro della principessa, dove in ogni pagina trovava un nuovo conforto.
Così si accomodarono alla meglio, dormendo sulle foglie secche degli alberi e mangiando le frutta che maturavano sugli alberi. Guardavano continuamente il mare, sperando di veder spuntare una nave che potesse raccoglierli, ma passavano i giorni e i mesi e nessuna nave si vedeva spuntare all‘orizzonte.
Il principe incominciava ad essere scoraggiato, i suoi compagni imprecavano al rio destino e sentivano che presto avrebbero perduta la pazienza e si sarebbero dati alla disperazione.
Il principe Azzurro leggeva loro qualche brano del libro di Melitta per confortarli, e quella lettura faceva loro sempre del bene.
Un giorno che tutti erano affranti e scoraggiati, aperse a caso il libro e vi trovò queste parole:

Non temete la sventura
Se a voi pensa un cuor fedele:
Nell‘abisso più profondo
Scende pur di sole un raggio:
Chi ha speranza, chi ha coraggio
Nel periglio non morrà.

E ricominciarono a sperare che qualche anima buona pensasse a loro.
Dopo la partenza del principe la principessa Melitta guardava continuamente il mare dall‘alto della sua torre.
Un giorno vide arrivare la colomba, la prese fra le braccia, trovò la lettera del principe e impallidì sentendo che i corsari stavano per raggiungerlo. Non si perdette però di coraggio e supplicò il re, che non sapeva negarle nulla, di far armare una nave da guerra per andar a combattere i corsari e salvare o vendicare il principe.
Ma in ogni modo sapendo che non bisognava mai prendere delle risoluzioni precipitose, ritornò al suo posto d‘osservazione ad aspettare un nuovo messaggio.
Verso l‘imbrunire vide volare a lei l‘altra colomba colla lettera del principe che le narrava, le sue tristi avventure.
Era vivo e ciò bastava a Melitta; ma volendo anche salvarlo chiese al padre il permesso d‘andarlo a prendere ella stessa nell’isola della Mala Ventura.
Il re glielo concesse a patto che aspettasse la stagione favorevole, perché quella in cui si trovavano era la stagione delle burrasche.
Mentre Melitta si preparava alla partenza, Gliceria aspettava notizie del principe di Roccabruna e pregustava il piacere della vendetta.
Essa era sempre bella e sorridente, e quando incontrava la sorella crollava la testa e le diceva, con un‘occhiata: Se aspetti il tuo principe aspetterai per un bel pezzo.
Un giorno andò da Melitta trionfante portandole la veste insanguinata del principe Azzurro, che il principe di Roccabruna le avea mandata dicendole d‘averlo ucciso in alto mare e che fra breve sarebbe venuto a sposarla come le aveva promesso.
Melitta alla vista dell’abito insanguinato non si commosse, aveva saputo col mezzo della colomba che il principe Azzurro era stato spogliato dai corsari ed era certa che tratto in inganno dalle vesti, il principe di Roccabruna aveva ucciso solo il capo dei corsari.
Non disse però nulla alla sorella, ma soltanto rispose: riderà bene chi riderà l’ultimo.
— Io intanto sposerò colui che m’ha vendicata uccidendo il tuo principe.
— Buona fortuna – rispose Melita. – Ma ti avverto che parto per non assistere alle tue nozze con un assassino.
Dopo pochi giorni essendosi alzato un vento favorevole, s‘imbarcò senza far chiasso per andare in cerca del principe Azzurro.
Il mare era tranquillo, il cielo sereno e la nave correva lontano lontano come se avesse le ali.
Il principe Azzurro continuava a guardare il mare e quasi perdeva ogni speranza di salvezza, quando un giorno vide da lungi una vela. Si sentì battere forte il cuore perché ebbe il presentimento che fosse Melitta.
Poi pensando che in quei mesi era divenuto come un selvaggio, si vergognava di presentarsi in quell’arnese alla principessa e sperava che gli avesse mandato solo qualche messaggero.
Ma comprese la sapienza e la previdenza di Melitta quando vide staccarsi dalla nave ed arrivare all’isola una barca con dei messi che gli recavano vesti, cibi e profumi,dicendo che Melitta aspettava sulla, nave il suo principe.
Egli ringraziò i messi ed indossò l’armatura d‘oro che gli avevano portata, la quale mandava lampi ai raggi del sole, e un elmo dal bianco cimiero tutto cosparso di gemme.
Quando si presentò a Melitta, essa ne rimase abbagliata; non aveva mai veduto un principe così bello.
— Mi siete sempre fedele? – chiese la principessa.
— Ora più che mai, – rispose il principe.
— E se fossi brutta? Voi non mi avete mai veduta.
— Che importa? sono innamorato della vostra anima. Voi avete fatto svanire la mia tristezza e mi siete più necessaria dell‘aria che respiro.
— Ebbene, appena giunti nella Valle degli Aranci ci sposeremo, poi vi ricondurrò nel vostro regno, perchè vostro padre abbia la consolazione di vedervi guarito.
Intanto nella Valle degli Aranci si preparavano le feste per il matrimonio di Gliceria col principe di Roccabruna. Veramente Gliceria non lo trovava degno della sua grande bellezza, ma avea promesso e dovea mantenere la sua parola, lieta in cuor suo della sconfitta di Melitta, che supponeva fosse andata a cercare il principe.
— Se non va fuor di questo mondo non lo troverò, – diceva; poi domandava al suo fidanzato se l‘avesse ucciso davvero.
— L‘ho passato col ferro da parte a parte, – le disse, – e poi non c‘era da ingannarsi: non c‘è che lui che abbia una nave colle vele azzurre,e un vestito così scuro, così fatale.
— E del corpo che cosa ne hai fatto?
— L‘ho gettato in mare.
Gliceria intanto era andata ad indossare la veste da sposa tutta ricamata di argento e stava ad ammirarsi davanti allo specchio, pensando che nessuna donna era stata mai così bella.
Il popolo aspettava il corteo nuziale, ma mentre da un lato Gliceria assieme allo sposo scendeva dal palazzo reale, dal porto saliva Melitta col principe Azzurro.
Il popolo non sapeva da che parte voltarsi. Quando Melitta fu dinanzi al padre, disse:
— Vedo che tutto è pronto pel nostro matrimonio, te ne ringrazio; ecco il principe mio sposo.
Il re, che era stato avvertito dalla terza colomba del loro arrivo, li abbracciò e volle che subito si celebrasse il loro matrimonio.
Gliceria, attonita, guardò in faccia il principe di Roccabruna e gli disse:
— È così che hai ucciso il mio nemico? Prendi, traditore!
E fece per ferirlo con un pugnale che teneva alla cintura, ma il principe fu in tempo di sgusciare in mezzo alla folla e fuggire verso il mare.
Gliceria era pallida dalla rabbia; ma quando Melitta si tolse il velo che l‘avea celata agli occhi del pubblico e si mostrò bella come non era stata mai, perchè l‘amore, il trionfo, la felicità le avevano dato al volto un nuovo splendore, Gliceria non potendo sopportare il dolore di veder la sorella anche sua rivale in bellezza, e ammirata da tutti, si sentì al cuore come una ferita, vacillò e cadde a terra morta.
Melitta, che avrebbe voluto vedere la sorella, umiliata, ma non morta, la pianse sinceramente e volle che le sue belle forme non fossero dimenticate; perciò le fece innalzare una statua che potesse mostrarla ai posteri in tutto lo splendore della sua bellezza, e la fece collocare nel punto più frequentato della città.
Essa visse molti anni felice col principe Azzurro, ebbe una bella figliuola alla quale diede nome Gliceria, perchè nemmeno il nome fosse dimenticato.

Fine.


Liber Liber

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.

Fai una donazione

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.


QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Le due principesse. Racconto fantastico
AUTORE: Cordelia

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Nel regno delle chimere : novelle fantastiche / di Cordelia - Milano: Fratelli Treves edit, 1898 - 283 p. ; 19 cm.

SOGGETTO:
FIC004000 FICTION / Classici
FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)