Le avventure di Sherlock Holmes
di
Arthur Conan Doyle
tempo di lettura: 27 minuti
I.
Per Sherlock Holmes essa fu sempre la donna, e ben di rado egli la nominava diversamente. Agli occhi suoi essa eclissava, dominava tutto il suo sesso. Non già che avesse provato per Irene Adler alcun sentimento d’amore.
Tutte le emozioni – questa particolarmente – erano estranee al suo animo freddo e compassato, ma sorprendentemente ponderato.
Holmes era una specie di macchina di meraviglioso congegno, fatta per ragionare e per osservar tutto; ma non saprei figurarmelo sotto le spoglie di un innamorato. Ostentava perfino per le cose appassionanti un profondo sdegno, e non le considerava che secondo il punto di vista delle sue osservazioni – trovando molto comodo il servirsene per svelare i motivi delle umane azioni. Ma quanto al permettere a distrazioni di questa specie di disorganizzare le sottili sue ricerche, era per lui cosa inammissibile. In un temperamento quale il suo nulla avrebbe prodotto maggior turbamento quanto una forte emozione di questo genere: sarebbe stata come una corda spezzata in uno di que’ suoi istrumenti sensibili.
E però non esisteva per lui che una donna sola, e questa donna era la defunta Irene Adler di dubbia fama.
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Dopo il mio matrimonio avevo perduto di vista il mio vecchio amico Sherlock Holmes.
Egli aveva conservato in Baker Street, nel centro di Londra, l’appartamentino en garcon, che per tanto tempo vi avevamo condiviso, e vi rimaneva talvolta delle settimane intere senza uscirne. Indi, di repente, scompariva e qualche giorno dopo la sua partenza i giornali annunciavano ch’egli aveva trovato la soluzione di un nuovo avvenimento misterioso che aveva messo in eboluzione i più sottili agenti della questura d’Inghilterra.
Una sera – era credo, il 20 marzo 1888 – io passava ritornando a casa dinanzi l’abitazione di Holmes. Le sue finestre erano brillantemente illuminate. Alzando il capo vidi, dietro i cortinaggi l’ombra dell’amico mio; egli camminava a capo curvo, colle mani dietro il dorso. Evidentemente si era lanciato ancora nella decifrazione di qualche nuovo problema. E tosto mi assalse il desiderio di rivederlo.
Come sempre, mi accolse amabilmente, senza entusiasmo però, il carattere suo concentrato gli interdiceva ogni effusione. M’invitò a sedermi, mi offrì uno di quei zigari verdi che sapeva mi piacevano, e mi versò un bicchierino di cognac.
Poi prese posto vicino al caminetto, incrociò le gambe e guardandomi curiosamente:
— Caro mio, disse, davvero il matrimonio vi conferisce. Ingrassate a vista d’occhio. Perchè non mi comunicaste le vostre velleità matrimoniali?
— Come mai potete sapere che io presi moglie?
— Lo indovino, mio caro Watson, come indovino che siete uscito in questi ultimi giorni con un pessimo tempo e come pure indovino che avete una domestica di una grande negligenza.
— Oh! questo è troppo! esclamai. Sì, è vero, fui sorpreso sabato da un temporale, ma mutai d’abiti: e in quanto a Mary Jane, la mia cameriera, sventuratamente è proprio vero, è di una trascuratezza fenomenale! Ma voi mi direte come…
— È cosa molto semplice, riprese Holmes addossandosi al caminetto; è il vostro stivale sinistro che tutto mi rivelò. Esaminatelo; ha nelle suole sei tagliuzzi paralelli e voi non li avete neppur osservati! Quei segni furono fatti dalla domestica che negligentemente levò con un coltello il fango disseccato aderente alla suola. E da ciò la mia duplice deduzione, che siete stato esposto alla pioggia, e che la vostra serva è negligente. E credete mi sarebbe forse difficile – se non vi conoscessi – il capire, alla prima occhiata, quale fosse la vostra professione? Emanate un odore d’iodoformo, l’indice della vostra mano destra è macchiato di nitrato di argento e una ammaccatura sul vostro cappello mi rivela che vi introducete il vostro stetoscopio: come a tali indizii non riconoscere in voi un figlio di Esculapio?
Accese una sigaretta e proseguì:
— Voi vedete come un altro ciò che vi circonda, ma non osservate. Tutto sta in questo. Voi certo avete contemplato più di mille volte la scala che conduce a questa stanza – vostra un tempo. Scommettiamo che non sapreste indicarmi il numero dei suoi gradini.
— Difatti…
— Però, voi li avete veduti quei gradini? Io ho osservato; vi sono dieciasette gradini. A proposito, poichè sembrate seguire con piacere le mie piccole ricerche e che in due o tre casi già voleste servirmi da confidente – come nella tragedia classica – forse questo v’interesserà.
E mi porse una lettera.
La carta era alquanto consistente, leggermente colorita in rosa.
— La ricevetti questa sera dalla posta, soggiunse. Prendete, leggetela.
La lettera non portava nè data nè indirizzo; non era firmata:
«Questa sera, alle otto meno un quarto voi riceverete la visita di una persona che desidera consultarvi sopra un soggetto della più alta importanza. I servigi da voi resi recentemente a una famiglia regnante di Europa, dimostrano che siete capace di adempiere le missioni le più delicate. Una simile missione io tengo ad affidarvi. Adunque, vogliate trovarvi in casa vostra questa sera nell’ora sunnominata, e non offendetevi se il vostro visitatore si presenterà mascherato.»
— Oh! si tratta di un grande mistero! esclamai. Che può mai significare tale missione?
— Non potrei ancora nulla dedurre, sarebbe pazzia il pronosticare da questa semplice lettera. Attendiamo; allorchè saremo informati erigeremo le nostre batterie! E voi, che concludete da questa epistola?
Di nuovo esaminai attentamente le scrittura e la carta.
— L’individuo che scrisse ciò, dissi, volendo imitare il modo di procedere del mio amico, l’individuo che qui scrisse, è evidentemente ricco. È questa una carta bellissima… Ma guardate come la sua composizione è bizzarra.
— Bizzarra, diffatti, è la vera parola, interruppe Holmes. Però non è carta inglese. Guardatela presso la luce.
Avendola avvicinata alla lucerna, vi lessi impresse a filagrana, queste lettere enigmatiche: P. G T. E G R.
— Che ne concludete? mi disse il mio camerata.
— È questo il nome, senza dubbio del fabbricante; forse pure un monogramma.
— No. Il G seguito dal T è l’abbreviazione della parola tedesca «Gesellschaft» vale a dire Compagnia; qualche cosa come la nostra abbreviazione «Cia»; P naturalmente vuol dire papir «carta». Quanto alle lettere E G R, un dizionario geografico ci informerà. Eglow, Eglowitz, proseguì egli sfogliando rapidamente un enorme volume che aveva preso sulla sua etagère… Egra… Eccoci… è un piccolo cantuccio della Boemia, una città tedesca, a qualche lega da Carlsbad. È là che morì Wallenstein. Vi sono importanti vetrerie e cartiere… Ebbene, mio caro, è proprio così, ci siamo.
— Questa carta fu fabbricata in Boemia? – chiesi.
— Per l’appunto. E l’autore di questa lettera è un tedesco. Osservate un po’ la costruzione bizzarra di questa frase: «Una simile missione io tengo ad affidarvi»; un Francese o un Russo, non avrebbero mai scritto così. Sono i tedeschi soltanto che in tal modo adoperano i verbi! Più non ci rimane ora a scoprire che ciò che vuole questo tedesco il quale scrive con carta di Boemia e porta una maschera. Eccolo!… se non m’inganno.
Difatti, una vettura si arrestava allora dinanzi la porta; una forte scampanellata echeggiò. Holmes si era avvicinato alla finestra. E zufolando, guardava l’equipaggio del suo visitatore.
— Perdinci! – disse – un bel coupé e dei superbi cavalli a diecimila lire il paio, lo scommetterei!… Watson, caro mio, il nostro incognito è ricco; eccone una nuova prova!…
— Vi lascio – dissi alzandomi.
— No, dottore; restate ove siete. Desidero avervi qui. La cosa promette essere piccante, e sarebbe peccato perdere così bella occasione.
— Ma, il vostro cliente…
— Ah! ciò poco m’importa! Posso del resto, aver bisogno di voi… ed egli pure… Sentite? egli sale. Rimanete, e osservate…
Lo straniero, saliva la scala con passo grave, si era arrestato sulla soglia; picchiò due volte imperiosamente.
— Entrate! – gridò Holmes.
E la porta, girando sopra sè stessa, lasciò passare un uomo mascherato, di portamento altero. Alto sei piedi, indossava un’ampia pelliccia di panno marron, e ornata di astrakan alle maniche e al collo.
Dalle spalle gli scendeva un mantello, bleu cupo, foderato di seta rossa e trattenuto soltanto da un enorme agrafe di turchesi. Teneva in mano un feltro molle. Alti stivali guerniti di pelliccia completavano quel sontuoso abbigliamento un po’ bizzarro.
— Riceveste la mia lettera? – disse con accento tedesco molto pronunciato. – Vi avevo annunciato la mia visita….
— Difatti, signore. Vi prego di sedere – disse Holmes avvicinando un seggiolone. – Vi presento l’amico mio e collega Watson che suole assistermi nei miei studii. Ma…. a chi ho l’onore di parlare?
— Al conte Von Kramm, gentiluomo boemo. Questo signore, voi dite, è vostro amico… posso quindi calcolare sull’assoluta sua segretezza. La cosa che qui mi conduce è della più alta importanza e preferirei intrattenervene solo, se…
Come mi alzavo per uscire, Holmes mi trattenne per la mano e mi costrinse a risedermi.
— Non temete – disse – potete dire dinanzi al mio amico tutto quanto vorrete.
— Bene – rispose il conte stringendosi nelle spalle. – Signori, debbo anzitutto chiedervi la vostra parola di nulla rivelare prima di due anni su quanto sono per dirvi.
Dietro un cenno affermativo da parte nostra, il conte proseguì:
— L’augusto personaggio che per mezzo mio a voi si rivolge desidera vedermi conservare l’incognito, e vi confesserò che il titolo sotto il quale mi sono presentato a voi non è il mio.
— Lo sapevo – interruppe Holmes semplicemente.
— La situazione è delicata; l’onore d’una delle più antiche case reali d’Europa è in giuoco, e la menoma imprudenza potrebbe provocare uno scandalo disgustoso. Qui si tratta del nome della famiglia d’Ormstein, erede legittima del trono di Boemia.
— Io pure lo sapevo – mormorò l’amico mio, sprofondandosi nel suo seggiolone cogli occhi socchiusi, tutto a’ suoi pensieri.
Lo sconosciuto pareva considerare con alquanta sorpresa il volto impassibile di colui che gli era stato descritto come uno degli nomini più energici e più chiaroveggenti d’Europa. Holmes, ora lo scrutava alla sua volta.
— Se Vostra Maestà – disse a un tratto – degnasse espormi lo scopo della sua visita….
A tali parole, lo sconosciuto si alzò bruscamente, a gran passi, in preda a viva agitazione, percorse la stanza. Poi, violentemente si strappò la maschera e la gettò ai piedi di Holmes.
— Ebbene, sì, avete ragione – esclamò – perchè dissimulare più a lungo?
— Difatti, perchè? – riprese Holmes. – Appena apriste la bocca, riconobbi in voi Sua Maestà Guglielmo Gottreich Sigismondo von Ormstein, granduca di Cassel-Felstein, re di Boemia…
— Comprenderete – rispose il principe risedendosi – comprenderete, dico, che non avrei tentato io stesso questa impresa presso di voi, se la gravità stessa della situazione non mi vi avesse costretto. Eccovi brevemente i fatti. Or son circa cinque anni, durante un viaggio a Varsavia, feci conoscenza con una avventuriera di vaglia, Irene Adler. Questo nome non vi è però forse sconosciuto…
— Dottore – mormorò Holmes – abbiate la bontà di consultare le mie annotazioni.
Da molti anni, l’amico mio aveva l’abitudine di raccogliere giorno per giorno tutti i documenti, che concernevano uomini e avvenimenti importanti, che egli accuratamente classificava. Possedeva di ogni personalità, di ogni questione, plichi completi.
In pochi minuti io aveva trovato la biografia di Irene Adler, schizzata tra quella di un rabbino e quella di un ufficiale di marina celebre per un lavoro sulla fauna dell’Oceano Pacifico.
— Leggiamo – disse Holmes. – Irene Adler nata a New-York nel 1858; voce di contralto, hum! alla Scala…. prima donna all’Opera di Varsavia…. Sì, è questa… Abbandona la scena e si ritira a Londra… Ci siamo! Vostra Maestà a quanto posso vedere, si lasciò avvincere dai vezzi dell’ammagliatrice e scrisse senza dubbio talune lettere compromettenti che S. M. desidera farsi restituire… Pardon se sono indiscreto: esisterebbe un matrimonio segreto, o semplicemente una promessa scritta?…
— No, nulla.
— Allora, più non comprendo. Se questa persona, per scopo di vendetta vuol pubblicare quelle lettere, in qual modo ne dimostrerà l’autenticità?
— Ma… dallo scritto! dallo stemma della carta! E dal mio sigillo stoltamente apposto sotto ogni viglietto? E le mie fotografie?
— Questo nulla conta. La scrittura potreste dire, fu abilmente imitata, la carta mi fu portata via, il sigillo copiato, le fotografie comperate! Nulla di più semplice!
— Sì, ma…. su talune fotografie siamo uniti, ella ed io….
— Oh! la cosa si complica! L’imprudenza fu grande.
— Sì, era pazzo quel giorno; non era ancora che Kron-prinz, e tanto giovane!
— Bisogna riaverlo ad ogni costo, quel ritratto, comperarlo, carpirlo se occorre.
— Oh! tutto fu tentato! invano! Ella non vuol cederlo per nulla al mondo; le feci offrire delle somme considerevoli; per tre volte si tentò rapirglielo; due volte dei malfattori pagati le hanno spogliata la casa; un giorno perfino le feci rubare i suoi bauli mentre essa viaggiava; nulla abbiamo trovato, neppure il menomo indizio… nessun ritratto… nulla!…
— Il problema diventa interessante, disse Holmes, con un sorriso.
— Interessante per voi, forse, interruppe aspramente il principe; ma per me la cosa è seria, perchè Irene Adler vuole semplicemente disonorarmi, spezzare il mio avvenire.
— Disonorarvi?
— Sì, sono in procinto di ammogliarmi. Sono fidanzato a Clotilde Lothma di Saxe-Dalsbourg, seconda figlia del re di Scandinavia. Vi son noti i principii di quella famiglia!… La principessa stessa è di un’austerità estrema, e il menomo dubbio, il menomo sospetto sul mio passato trascinerebbe a una rottura immediata…
— Che vuole dunque fare Irene?
— Mi minaccia di mandar loro quella fotografia. E lo farà, potete esserne certo. Voi non la conoscete. È la più bella delle donne con una volontà degna dell’uomo più risoluto. Piuttosto che vedermi sposare un’altra donna, non retrocederà dinanzi a nessun tentativo… a nessuno!
— Siete sicuro che ancora ella non l’abbia inviato?
— Ne sono sicuro. Mi scrisse che lo farebbe il giorno in cui verrebbe proclamato pubblicamente il fidanzamento; ora questo avverrà lunedì…
— Lunedì? Tutto va bene allora; noi abbiamo tre giorni interi innanzi a noi, esclamò Holmes alzandosi. A proposito, Vostra Maestà conta rimanere a Londra qualche tempo ancora?
— Sì. Sono disceso si Langham Hôtel, sotto il nome di conte Von Kramm.
— Va bene, vi scriverò. Ora in quanto si riferisce alle spese?…
— Vi lascio carta bianca. Darei volontieri la più bella delle mie provincie per riavere quel maledetto ritratto.
Il re si tolse dalla cintura una pesante borsa di cuoio, e gettandola sul tavolo:
— Ecco 500 lire sterline in oro, disse, e il doppio in banknotes. Serviranno per le prime spese.
Holmes strappò un foglietto del suo carnet, vi fece la ricevuta e la porse al principe.
— L’indirizzo della signorina? chiese.
— Briony Lodge, Viale Serpentine Saint John’s Wood.
— Una parola ancora. Che formato ha la fotografia?
— Formato album.
— Benissimo, disse Holmes scarabocchiando in fretta sul margine del suo carnet alcune indicazioni mentre il re lasciava l’appartamento. Watson, egli soggiunse, appena udimmo che la vettura reale scompariva fra la notte: Buona sera, a domani, venite a trovarmi qui alle 3: avrò piacere d’intrattenermi con voi su quest’affare.
II.
L’indomani all’ora fissata, io era in casa di Holmes. «Il signore non è ritornato ancora, mi disse il suo domestico; è uscito da questa mattina.»
Mi sedetti vicino al caminetto, ben deciso ad aspettarlo per quanto lunga dovesse essere la di lui assenza. M’interessavo vivamente a quell’affare. Quel diavolo d’uomo aveva una così straordinaria potenza di deduzione, di facoltà meravigliose, che mio malgrado, mi appassionavo nelle sue ricerche, in cui spiegava astuzie, tanto ingegnose, tanto audaci.
Erano quasi le quattro quando la porta della stanza si aprì bruscamente. E vidi comparire un palafreniere, che colle mani in saccoccia, una corta pipa in bocca, entrò zufolando. I suoi abiti erano alquanto sucidi, e il cappello non brillava per freschezza. Quantunque da molto tempo abituato a quei travestimenti, dovetti guardare per tre volte il nuovo arrivato prima di riconoscere il mio amico Holmes, in quel groom poco accurato.
Egli mi fe’ un cenno col capo e sparve nel suo gabinetto.
Cinque minuti dopo ne usciva, ritornato nel suo stato normale, corretto d’irreprensibile gentleman.
— Davvero la cosa si fà interessantissima! disse gettandosi in un seggiolone e scoppiando in grandi risate; no, in vita mia non mi sono mai tanto divertito…
E siccome non comprendendo quella ilarità io lo interrogavo:
— Vengo dall’aver fatta una piccola inchiesta sulla nostra avventuriera, e in fede mia, non ne sono malcontento. Questa mattina prima delle otto sono uscito travestito, come vedeste, da «palafreniere senza lavoro».
Non v’è di meglio per apprendere ciò che si vuol sapere, che il frammischiarsi alla gente di scuderia; esiste fra loro come una lega framassonica, e per un fratello nell’impiccio, hanno tesori d’indiscretezza. Mi fu facile trovare Briony Lodge. La villa è stupenda, due piani, con facciata sulla via e un gran giardino dietro. A destra della porta, una gran sala riccamente ammobigliata, con alte finestre che arrivano fino al suolo, ma che si chiudono male però come tutte le finestre inglesi. Tolto questo nulla di saliente, se non che si può entrare nella casa dalla finestra che dà sulla rimessa. Ne conosco tutti i ripostigli già, perchè la esaminai davvicino. Poi gironzai nella via. Come m’attendevo scoprii una scuderia in un vicolo che fiancheggia il giardino. Legai conversazione coi cocchieri, gli aiutai a strigliare i cavalli e ricevetti pel mio disturbo quattro soldi, un bicchiere di cognac e due pipe di cattivo tabacco. In cambio appresi un’infinità di cose curiose sulla nostra Irene! È vero che dovetti assorbirmi la biografia di cinque o sei imbecilli del vicinato dei quali conosco ora tutti i difetti.
— E Irene Adler?
— Oh! ella ha fatto girare tutte le teste della parrocchia. È realmente la più bella creatura che si possa immaginare; almeno lo si dice là in quelle vicinanze. Vive molto ritirata, canta nei concerti, e fa ogni giorno una passeggiata in vettura, dalle cinque alle sette. Esce raramente di sera. Non le si conosce che un amico, ma le è fedele pare, e si mostra molto assiduo. È bruno, grande e molto generoso; viene ogni giorno una volta almeno, raramente due. Lo si chiama Goffredo Norton, e lo si dice avvocato. Vedete che vantaggi ci sono nel frequentare i cocchieri!
L’avvocato si è fatto condurre dalla bella signora dieci o dodici volte forse, e diggià si conosce tutta la sua istoria!
Munito di queste indicazioni, sono partito, e camminando, ruminai il mio piano di campagna.
Quel Goffredo Norton, dicevo fra me, deve rappresentare una parte importante. È un avvocato; la cosa è di cattivo augurio. Quali possono essere le sue relazioni con Irene? Se non le è che amico può benissimo avere ricevuto in deposito il famoso ritratto; se le è più che amico, quel deposito non gli fu certo fatto.
L’orizzonte si allargava singolarmente. Ma tutti questi dettagli necessarii per comprendere ciò che deve seguire, vi annoiano forse, Watson, e..
— No, assolutamente! esclamai, vi ascolto.
— Era dunque a questo punto delle mie riflessioni, sempre indeciso, quando di repente una vettura mi passò vicino, e si fermò dinanzi alla villa. Un uomo in fretta discese. Era molto bruno, di bellissimo aspetto; doveva essere quello il mio personaggio. Gridò al cocchiere di aspettarlo, e rapidamente salì i gradini della scalinata; la porta parve aprirsi spontaneamente innanzi a lui.
Dalla strada io lo vedevo passare e ripassare dietro le finestre del salotto camminando a gran passi, gesticolando, molto eccitato.
Quanto a lei, non potei neppure intravederla. Dopo una mezz’ora egli uscì come un lampo, saltò nella vettura, consultò l’orologio e gridò al cocchiere:
— A briglia sciolta da Grosse Hankey, Regent Street, poi alla chiesa S.te Monique Edgware Road! Non abbiamo che 25 minuti. Una mezza sovrana per voi se giungete a tempo!
Il cocchiere sferzò vigorosamente la sua bestia che partì a gran trotto.
Mi domandavo ciò che mi rimaneva allora da fare quando vidi un landau, lo stesso che avevo aiutato a pulire qualche istante prima, sbucare da una stradicciuola vicina, e venire esso pure ad arrestarsi dinanzi alla villa. Irene Adler, alla sua volta, scese frettolosamente i gradini della scalinata e, saltando in vettura, gettò queste parole al cocchiere:
— John! alla chiesa Sainte Monique. Una buona mancia se correte.
L’occasione era bella.
Un «cab» passava in quel momento stesso. Chiamai l’automedonte, e io pure gli promisi una mezza sovrana se in venti minuti mi conduceva alla chiesa indicata. L’uomo sulle prime esitò: il mio aspetto forse, non lo persuadeva troppo. Indi partì come una freccia.
Però quando giunsi alla chiesa, il landau e la vettura del visitatore d’Irene, già stazionavano sul portone del tempio.
Pagai la mia corsa ed entrai nel sacro luogo. Soli, a’ piè dell’altare maggiore, i miei due personaggi discutevano con un chierico vestito di un camice bianco.
Compresi; erano le 11 e 55 e si trattava di concludere il matrimonio prima che mezzodì fosse suonato.
Mentre, fiancheggiando il muro, mi avanzavo noncurante nella chiesa, da persona indifferente, mi vidi a un tratto venire incontro Godfrey Norton.
— Oh! Grazie al Cielo – mi disse prendendomi pel braccio. – Siamo salvi! Venite presto…
— Che c’è? – chiesi.
— Venite presto, o non sarà legale.
E tirato per la mano, spinto a’ piè dell’altare, mi trovai in breve mormorando le risposte matrimoniali che mi venivano suggerite, in qualità di testimonio, alle nozze reali d’Irene Adler, figlia maggiorenne, e di Godfrey Norton, celibe. Questo durò dieci minuti appena. Lo sposo mi ringraziò, Irene mi sorrise, il prete m’impartì la sua benedizione. V’era di certo in tutto quell’affare, qualche vizio di forma, e il prete aveva rifiutato di unire i due fidanzati, se un testimonio legale non veniva presentato. Io aveva salvato la situazione. Pel mio disturbo riceventi una sovrana dai novelli sposi.
Farò montare quella moneta in uno spillo da cravatta.
— E poi?… – chiesi.
— In fede mia, il mio piano di campagna si trovava molto compromesso. Temevo vedere gli sposi partirsene insieme. Che fare allora? Fortunatamente alla porta della chiesa, si separarono. Godfrey se ne ritornò a casa sua e Irene a Briony Lodge. Ella lasciandolo gli aveva detto:
«A Hyde Park, questa sera dalle cinque alle sette.»
— E voi contate?…
— Mangiar prima un pezzo di manzo e prendere un bicchiere di birra, disse premendo il campanello. Fui talmente occupato che non potei trovare il tempo di ristorarmi. A proposito dottore, se vi chiedessi di accompagnarmi questa sera? Temete i subbugli?
— No affatto.
— E al bisogno acconsentireste di passare una notte in polizia?…
— Sono vostro, ma che debbo fare?
— Ecco, egli riprese divorando i cibi che gli erano stati portati. Miss Irene o meglio madama Irene, ritorna questa sera in casa sua alle sette; noi la precederemo a Briony Lodge. Ho tutto preparato per un colpo decisivo. Tutto quanto vi raccomando è di non immischiarvi in nulla, qualunque cosa avvenga. Dovete rimanere assolutamente neutro. Se sentite delle grida o delle bastonate non curatevi. Cercherò entrare nella villa, e vedrete in qual modo. Dopo cinque o sei minuti verranno aperte le finestre del salotto; voi mi vedrete e vi avvicinerete. Poi quando alzerò la mano, lancierete questo fuoco artificiale nella stanza gridando: «Al fuoco! al fuoco!» Mi capite bene non è vero? Del resto nessun pericolo. Quel fuoco artificiale cadendo sul tappeto, s’infiammerà e produrrà più fumo che male. Quando voi griderete, tutti attorno a voi grideranno egualmente, voi vi allontanerete subito dal luogo del sinistro, e dieci minuti dopo io vi raggiungerò. Mi comprendete?
— Ora, egli disse alzandosi, vado a vestirmi.
Sparve nella sua stanza da letto e ne uscì poco dopo sotto gli abiti d’un venerabile clergyman. Portava un cappello a larghi bordi dei calzoni larghi e una cravatta bianca. Aveva dato al suo viso un espressione beata e caritatevole, e le labbra avevano assunto il sorriso benigno del prete.
Che commediante era quell’uomo.
Qualche minuto prima delle 7, noi sboccavamo nella Serpentine Avenue. Annottava già, e si stava accendendo i fanali dinanzi alla villa. Degli nomini cenciosi ciarlavano e fumavano in un angolo; un arrotino appostato non lungi dalla villa, arruotava assiduamente coltelli e forbici, mentre alcuni soldati ed altri passeggeri, collo zigaro in bocca, aspiravano tranquillamente l’aria della sera.
— Vedete, mi disse Holmes, quel matrimonio semplifica singolarmente le cose. Il ritratto diviene ora un’arma a doppio taglio. Dobbiamo figurarci che Irene tema tanto di vederlo cadere fra le mani del marito quanto il re teme di vederlo inviare alla di lui fidanzata. Tutto sta ora nel sapere ove ella lo nasconda. C’è a scommettere molto che non lo porti con sè; è troppo grande e difficile a celarsi.
— Ma ove può allora rinchiuderlo?
— Dal suo banchiere o dal suo avvocato forse…. Però questo mi stupirebbe. Le donne amano troppo il mistero; serbano volentieri un segreto, almeno quando questo è il loro.
— Ma come lo scoprirete? Due volte già dei malfattori pagati hanno perquisita la casa e l’hanno invano cercato.
— Non lo cercherò! costringerò ella stessa a mostrarmi ove lo nascose…
— Zitto, eccola che ritorna.
Un landeau sbucava all’angolo della via. Mentre si arrestava dinanzi alla villa, un mendicante si avvicinò frettolosamente alla vettura, nell’intenzione di voler aprire la portiera.
Ma un altro aveva avuto la medesima idea, e ambidue si spingevano uno coll’altro per raggiungere ciascuno il loro intento. Le imprecazioni e le busse piovevano come grandine. I soldati, l’arrotino, presero parte anch’essi alla mischia, e in un istante, Irene, che scendeva dalla vettura, si trovò attorniata da dodici o quattordici individui molto eccitati e schiamazzanti con tutta la forza dei loro polmoni. In quel momento Holmes si slanciò, aprì la folla per offrire il suo braccio alla giovane signora.
Ma di repente egli mandò un grido e cadde gravemente al suolo, col volto grondante di sangue.
Soldati e mendicanti vedendo cadere l’amico mio, sparvero in fretta, mentre taluni curiosi indifferenti meglio vestiti questi, si accostavano al pseudo-clergyman. Quanto ad Irene, liberatasi da quella confusione, in fretta aveva salita la gradinata.
La graziosa sua personcina si staccava ora sulla viva luce del hall.
— Quel povero clergyman si fece molto male? chiese.
— È morto, gridò una voce.
— No, no, vive ancora, dissero altre voci, ma se non si fa presto è al cimitero e non all’ospitale che si dovrà condurlo.
— È un buon uomo, esclamò una comare. Voleva proteggere la signora contro una compagnia di ladri, essi fuggirono intanto i miserabili…
— Ma non può rimanere così in mezzo alla strada quel povero vecchio! Signora possiamo trasportarlo in casa vostra?
— Certo, disse vivamente Irene; adagiatelo sul sofà del salotto, venite da questa parte, vi prego.
E con mille precauzioni, Holmes fu trasportato nella stanza e adagiato sul canapè.
Io mi avvicinai alla finestra, e togliendomi di saccoccia il fuoco artificiale attesi il segnale convenuto.
Vidi Holmes sul sofà, che si agitava penosamente come un uomo oppresso che ha bisogno d’aria. Una domestica corse alla finestra e la spalancò. Nel momento stesso Holmes alzò le braccia; io gettai il fuoco artificiale nel salotto gridando «al fuoco». Altre persone fecero coro: curiosi e gente di servizio. Un denso fumo colmò tutto ad un tratto l’ambiente. Vidi degli uomini fuggire poi udii Holmes gridar loro che era un falso allarme e che non vi era pericolo alcuno. Dal canto mio m’ero eclissato; allo svolto della strada, Holmes m’aveva raggiunto.
— Bravo dottore! disse dopo qualche istante, bravo! non si poteva agir meglio! Riuscita completa.
— Avete il ritratto?
— No, ma sò dove si trova.
— Come lo sapete?
— Ella stessa m’indicò il luogo ove lo nasconde. Inutile di prolungare il mistero, non è vero? Tutti formavano parte del complotto, lo avrete indovinato, quei mendicanti erano pagati da me come quei soldati abilmente travestiti. Quando la disputa scoppiò, io mi sono sporcato il viso con un po’ di vermiglio che avevo in mano, sono caduto e fui creduto morto. È una vecchia astuzia.
— Mio caro; quando una donna crede che la sua casa sia in fiamme, il suo primo impulso è di correre verso ciò che ha di più caro. È cosa più forte di lei, e in più di un caso usai di questa gherminella. Una donna maritata correrà alla culla del figlio, una vedova sui suoi gioielli o sulle sue lettere. Come lo immaginavo, Irene nulla ha al mondo di più prezioso di quel ritratto che noi tanto aneliamo di possedere. Ella doveva forzatamente correre a salvarlo!
Lo stratagemma del fuoco è riuscito a meraviglia. Il fumo, il rumore, tutto ciò la spaventò… Il ritratto è in un piccolo ripostiglio dietro un quadro a destra del caminetto. La vidi frugare là.
Allorchè le appresi che tutto ciò non era che un falso allarme, ella lo ripose al suo posto, guardò quella fiamma artificiale, poi bruscamente abbandonò la stanza. Non l’ho più riveduta poi. Alla mia volta sono uscito non senza aver pensato un istante a impadronirmi del ritratto prima di andarmene ma il cocchiere era entrato e mi sorvegliava attentamente.
— Ed ora che contate di fare?
— Il nostro compito è per così dire compiuto.
Andremo domani per tempo da questa bella, in compagnia del re e di voi stesso se lo volete. Saremo introdotti nel salotto, e quando Irene scenderà per accogliere i suoi visitatori, c’è a scommettere che non vi troverà nessuno; una volta in potere del ritratto noi ce ne andremo in fretta. Dunque a domattina, alle otto. Ella non sarà ancora alzata; avremo il tempo di agire. Vo a telegrafare al re.
Eravamo giunti dinanzi alla porta di Holmes. Mentre cercava le chiavi, qualcuno ci passò vicino e gridò:
— Buona sera signor Sherlock Holmes!
V’era molta gente nella strada, e ci fa impossibile riconoscere l’interlocutore.
— Strano! – esclamò Holmes volgendosi. – Parmi aver udito quella voce in qualche luogo! È partita da quel giovanotto che corre laggiù in Ulster!…. io però non lo conosco.
III.
Avevo dormito quella notte a Becker Street, e facevamo appunto la nostra prima colazione, quando il re di Boemia entrò a precipizio nella nostra stanza.
— Davvero, l’avete? – gridò prendendo Sherlock Holmes per ambe le spalle, e guardandolo ansiosamente negli occhi.
— Non ancora.
— Ma avete qualche speranza?
— Ho qualche speranza.
— Allora, venite! Sono molto impaziente di sapere qualche cosa.
— Ma bisogna prendere una vettura.
— II mio coupé sta innanzi alla porta.
— Questo semplifica le cose – disse Holmes.
Scendemmo e ci avviammo di nuovo verso Briony Lodge.
— Sapete che Irene Adler è maritata? – chiese Holmes.
— Maritata? Da quando?
— Da ieri…
— È mai possibile!… E con chi?
— Con un avvocato di nome Norton.
— Ma ella non può amarlo.
— Spero il contrario.
— Perchè?
— Perchè ciò risparmierebbe a Vostra Maestà una infinità di noie future. Se la signora ama il marito non può amare Vostra Maestà, non può avere alcuna ragione di scompigliare i vostri piani.
— È vero. E però!… Avrei molto bramato avesse appartenuto alla mia casta. Che regina sarebbe mai stata!
Egli s’immerse in un profondo silenzio, dal quale non uscì se non quando la vettura entrò nella Serpentine Avenue.
La porta di Briony Lodge era aperta e una vecchietta stava sulla gradinata. Ci lanciò un’occhiata derisoria quando ci vide scendere di vettura.
— Il sig. Sherlock Holmes credo? – chiese.
— Si, è questo il mio nome – rispose l’amico mio il cui volto esprimeva lo stupore e l’apprensione.
— La mia signora mi disse, che calcolava un po’ sulla vostra visita. È partita questa mattina pel continente col treno delle 5 e 15.
— Come?
Sherlock Holmes impallidì e retrocesse.
— Voi dite, ch’ella lasciò l’Inghilterra?
— Per sempre.
— E le carte? – chiese il re ansiosamente. – Tutto è perduto.
— Ora vedremo.
Holmes spingendo da un un lato la domestica si slanciò nel salotto, seguito dal re e da me. I mobili erano tutti qua e là alla rinfusa, in un grande disordine, tutti i tiretti erano aperti, come se la padrona di casa avesse voluto tutto svaligiare prima della sua fuga. Holmes corse verso il caminetto, e introducendo la mano nel ripostiglio a lui noto ne tolse una fotografia e una lettera. La fotografia era quella d’Irene Adler in toilette da ballo, e la lettera indirizzata a Sherlock Holmes, portava questa indicazione:
Da lasciar qui fino a reclamo.
Il mio amico dissuggellò la lettera e tutti tre ci affrettammo a leggerne il contenuto. Era datata dalla notte precedente, a mezzanotte.
Eccola:
«Dopo aver mandato il mio cocchiere a sorvegliarvi, io salii in fretta nella mia stanza, indossai i miei abiti maschili, e ridiscesi nel momento in cui partivate. Vi ho seguito fino alla vostra porta, e m’ebbi così la certezza, che io avevo a che fare col celebre Sherlock Holmes. Con una bravata un po’ imprudente, vi gridai “buona sera” e corsi da mio marito.
«Trovammo che la fuga era il miglior partito a prendersi di fronte alla persecuzione d’un tale formidabile avversario. Di modo che, voi troverete il nido vuoto, quando vi passerete domattina.
«Quanto al vostro cliente potete tranquillizzarlo rapporto alla sua fotografia. Amo un uomo di lui migliore e ne sono amata; che il re faccia ciò che desidera; d’ora innanzi, più non avrà a temere la vendetta di chi fece tanto soffrire. Non serbo questa fotografia che per la mia sicurezza personale, verso le imprese future di Sua Maestà. Gli lascio uno dei miei ritratti che forse avrà piacere di possedere.
«E sono, caro signore, la vostra devotissima
«Irene Norton, nata Adler».
— Che donna! oh! che donna! – esclamò il re di Boemia quando ebbimo terminata la lettura di quella lettera. Non vi avevo detto quanto essa era ardita, risoluta? Non sarebbe stata una vera regina?
Dopo un momento di silenzio Holmes riprese freddamente:
— Sono desolato, Maestà, per non essere stato capace di terminare questo affare in modo soddisfacente.
— Bene all’opposto, mio caro signore – esclamò il re. – Voi non potevate ottenere un migliore risultato, sono assolutamente sicuro della di lei parola. Se fosse nel fuoco, quella fotografia non potrebbe essere ora più sicura.
— Sono felice di udirlo.
— Sentite, Holmes, ho assunto verso di voi un debito indimenticabile; ditemi in qual modo io possa sdebitarmi. Questo anello….
— Vostra Maestà ha qualche cosa che mi procurerebbe un piacere più sensibile.
— Sarebbe?…
— Quella fotografia!
— Il ritratto d’Irene? – egli esclamò. – È vostro, poichè lo desiderate.
— Vostra Maestà non avrebbe potuto farmi un maggior piacere.
Holmes prese congedo dal re con una riverenza, e, senza stringere la mano che gli stendeva il monarca, partì subito pregandomi di accompagnarlo a casa sua.
⁂
Ed ecco in qual modo un grande scandalo fu risparmiato alla corte di Boemia, e come i piani sottili di Sherlock Holmes furono scompigliati dallo spirito di una donna. Egli non aveva fin’allora mai fatto gran caso della sagacia femminile, e se ne era spesso anzi deriso. Dopo questo fatto non è più così.
Quando gli avviene di nominare Irene Adler, egli non la indica che come: la donna.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Le avventure di Sherlock Holmes
AUTORE: Arthur Conan Doyle
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Le avventure di Sherlock Holmes : romanzo illustrato. - Milano : Tip. Edit. Verri, 1895. - 160 p. : ill. ; 20 cm.
SOGGETTO:
FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti
FIC022000 FICTION / Mistero e Investigativo / Generale