In Jack London si incontrano intrecciate tra loro due concezioni apparentemente opposte della vita e del ruolo dell’uomo nella natura: la prima è fondata su una grossolana aderenza all’idea, popolarmente e superficialmente inquadrata come darwinista, della sopravvivenza del più forte nella lotta per la vita; la seconda è un amore infinito per l’umanità.

Spesso si sente parlare di London come di uno scrittore per i ragazzi e buona sorgente per filmografia da oratorio. Sull’opera di London si stagliano invece due possenti ombre: quella di Kipling e quella di Nietzsche, entrambi molto conosciuti, letti ed apprezzati da London stesso. Kipling vide la guerra come un impegno doveroso, ma non fu un cantore di questa né della vittoria, bensì della pace che segue la vittoria. Nietzsche scrisse che ogni impero non è altro che una sciocchezza. Ma furono entrambi uomini sedentari: forse desiderarono l’azione ma non ebbero le occasioni per perseguirla. London, e successivamente Hemingway che in un certo qual modo prosegue la tradizione letteraria tracciata dal primo, furono uomini d’avventura e all’avventura furono sempre affezionati.

Adventure è un romanzo del 1911, forse parzialmente atipico nella bibliografia ampia e multiforme dell’autore. Ambientato nelle isole Salomon può essere visto come inserito nel solco delle navigazioni descritte da Stevenson, ai confini della civiltà a contatto con lo stato primitivo, dove finisce in primo piano l’audacia di pochi bianchi dominatori e l’odio represso dei molti schiavi – con regolare contratto pluriennale certo, ma puniti e frustati come schiavi – che restano a oscillare tra i bagliori di una vita diversamente operosa e la tenebra della ferocia cannibalesca.

Ma non siamo certo di fronte a un pretesto per descrivere costumi esotici, né alla contemplazione dello “stato di natura” tanto cara a certe avanguardie dell’antico continente, e neppure siamo di fronte a un tentativo di vantare l’azione pionieristica americana in campo colonialista. Adventure è soprattutto un romanzo d’amore e di ottimismo nel quale London mette sotto la luce della sua indagine alcune delle virtù umane che sempre ha visto tra le più pregevoli: la tranquillità nel coraggio, l’attività energica ma paziente, l’indiscussa lealtà. Ma questa volta queste qualità, che nei romanzi di London sono sempre state viste come prerogativa principalmente maschile, vengono impersonate compiutamente da una donna, l’intrepida americana Joan Lackland, naufragata e approdata con i suoi marinai tahitiani all’isola dove l’inglese Dave Sheldon ha avviato una piantagione, tra le mille insidie che questa localizzazione gli procura. Joan è rimasta orfana del padre durante il viaggio verso le parti all’epoca più inesplorate del pianeta e ha già avuto modo di mettere in pratica efficacemente gli insegnamenti paterni, per cui è in grado di comandare una nave nel migliore dei modi, nuota tra i pescecani, è eccellente tiratrice di pistola. Non vuole essere trattata come le convenzioni e gli usi tipicamente inglesi immaginano che debba essere trattata una donna, per guidarla, proteggerla, in ogni caso dominarla. Joan non ha bisogno di essere guidata, protetta e meno che mai dominata. Lo stesso tema viene ripreso, sotto altri aspetti, qualche anno più tardi da London in un altro romanzo The little Lady in the big House.

L’autore non può resistere alla tentazione di trasportare anche nelle remote isole del Pacifico l’epopea dei cercatori d’oro. Ed è così che il sodalizio esclusivamente produttivo e commerciale instauratisi tra Lackland e Sheldon viene turbato dall’arrivo di cercatori d’oro, il cui capo è il temerario Tudor, protagonista di audaci avventure in ogni parte del mondo e capace sotto questa veste di suscitare l’ammirato interesse di Joan e la pacata gelosia di Sheldon. London inserisce tra i viaggiatori che fanno la spola tra queste isole anche un ammutinato del Bounty, facendo però una sintesi tra i due personaggi reali: Ned Young e Fletcher Christian si condensano nel romanzo di London nel personaggio, comunque marginale, di Christian Young.

London riesce a produrre una narrazione che rappresenta l’amore in maniera commovente e tuttavia lontana da ogni tipo di sentimentalismo e questo modo di sentire viene testimoniato dalla confessione di Joan nell’ultimo capitolo.

Il romanzo è stato tradotto più volte in italiano. Presentiamo in questo e-book la traduzione del 1929 (ristampata almeno altre due volte agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso) di Rosalia Gwis-Adami (https://liberliber.it/autori/autori-g/rosalia-gwis-adami/), il cui impegno in direzione dell’affermazione di un ruolo per la donna nel mondo moderno fu sempre di ampio respiro e credo che la scelta di tradurre questo romanzo non sia indipendente dal suo temperamento.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Egli era molto ammalato. Stava sul dorso di un negro dalla testa lanuta e dal corpo pieno di scorticature. I lobi degli orecchi di costui erano stati forati e strappati al punto che uno era completamente lacerato; nel foro dell’altro c’era un pezzo di legno ricurvo di tre pollici di diametro. Quello ch’era strappato, era poi stato forato una seconda volta, non così energicamente, ma tanto da poter sostenere una pipa d’argilla. Quel destriero umano era sporco, unto e nudo; portava solo un panno stretto e sudicio sulle reni. L’ammalato, ch’era un bianco, lo teneva ben stretto aggrappandosi disperatamente a lui.
Di quando in quando, per debolezza, la sua testa cadeva e si fermava sulla zucca lanuta. Poi la rialzava e fissava gli occhi lacrimosi sulle palme del cocco che tremavano e dondolavano nel calore scintillante. Era vestito di una maglia leggera e di una striscia di cotone che dalla cintura, circa, gli scendeva fino alle ginocchia. In testa aveva uno stetson sciupato, uno di quei cappelli conosciuti in commercio col nome di Baden-Powel. Portava una cintura nella quale c’era un revolver automatico di grande calibro pronto per qualsiasi evenienza e alcune cartucce di ricambio.

Scarica gratis: L’avventura di Jack London.