“L’astuzia di Keesh”
di
Jack London
tempo di lettura: 14 minuti
Keesh, che visse, molto tempo fa sull’orlo del mare polare, fu il capo del suo villaggio per anni numerosi, e prosperò e morì pieno di onori, col suo nome sulle labbra di tutti gli uomini. Visse tanto tempo fa, che solo i vecchi ne rammentano il nome; il nome e il racconto che essi avevano avuto dai vecchi prima di loro, e che i vecchi racconteranno ai figli e ai figli dei loro figli, sino alla fine del tempo. E la notte invernale, quando la tormenta del Nord spazza la distesa di ghiaccio, e l’aria è piena di bianco volante, e nessuno osa avventurarsi all’aperto, è il tempo più adatto per narrare come Keesh, dal più misero aigloo del villaggio, sorse al potere sopra tutti gli uomini della sua tribù.
Era un ragazzo vivace, così si racconta, sano e forte, e aveva veduto tredici soli, secondo la loro maniera di calcolare il tempo. Perchè ogni inverno il sole abbandona la terra nelle tenebre, e l’anno dopo torna un nuovo sole, affinchè gli uomini possano riscaldarsi di nuovo e guardare la faccia degli altri. Bok, il padre di Keesh, era stato un uomo valorosissimo, ma aveva incontrato la morte in un’epoca di carestia, quando aveva cercato di salvare la vita del suo popolo, prendendo la vita di un grande orso polare. Nel proprio slancio, assalì l’orso da vicino, e le sue ossa furono schiacciate. Ma l’orso aveva molta carne, e il suo popolo fu salvo. Keesh era l’unico figlio, e dopo questo, Keesh visse solo con la madre. Ma il popolo è propenso a dimenticare, e il villaggio dimenticò le gesta del padre; e Keesh essendo solo un ragazzo, e la madre solo una donna, furono anch’essi dimenticati rapidamente, e, prima che passasse molto, furono costretti a vivere nel più meschino di tutti gli igloos.
Fu al consiglio, una sera, nel grande igloo di Klosh-Kwan, il capo, che Keesh mostrò il sangue che gli scorreva nelle vene e la virilità che lo faceva tenere diritto e superbo. Con la dignità di un anziano, si levò in piedi, e attese che si facesse il silenzio, in mezzo alla babele di voci.
— È vero che si dà la carne a me e ai miei – disse. – Ma spesse volte è vecchia e dura, questa carne; di più ha un’insolita quantità di ossa.
I cacciatori irsuti e grigi, o giovani e vigorosi, furono agghiacciati. Non s’era mai udita una cosa simile. Un ragazzo, che parlava come un uomo maturo, e gettava delle parole aspre sul loro stesso viso! Ma con grande fermezza e serietà, Keesh continuò:
— So che mio padre Bok era un gran cacciatore e solo per questo pronuncio queste parole. Si dice che Bok portava a casa più carne di quanto potessero i due migliori cacciatori; che egli provvedeva con le proprie mani alla divisione della sua carne, che coi propri occhi si assicurava che l’ultimo vecchio e l’ultima vecchia ne ricevessero una buona parte.
— Na! Na! – gridarono gli uomini. – Scacciate questo ragazzo! Mandatelo a letto! Non è un uomo, che possa parlare ad uomini e a barbe grige!
Il ragazzo attese con calma, finchè il tumulto non si calmò.
— Tu hai una moglie, Ugh-Gluk – disse – e per lei tu parli. E tu, Mussuk, hai anche una madre, e parli per la moglie e per la madre. Mia madre non ha alcuno, all’infuori di me; perciò parlo. Come dico, poichè Bok è morto per aver cacciato con troppo slancio, è giusto che io, che sono il figlio, e che Ikeega, che è mia madre e che era sua moglie, abbiamo in abbondanza finchè c’è carne in abbondanza nella tribù. Io, Keesh, il figlio di Bok, ho parlato.
Si rimise a sedere con le orecchie tese alla marea di proteste e d’indignazione, che la sua parola aveva suscitata.
— Che un ragazzo debba parlare in consiglio! – brontolava il vecchio Ugh-Gluk.
— Devono i neonati dire agli uomini ciò che spetta di fare? – domandò la voce forte di Massuk. – Sono io un uomo che debba essere canzonato da ogni bambino che piange per aver da mangiare?
La collera bolliva al calor bianco. Gli ordinarono di andare a letto, minacciandolo di non dargli più carne affatto, e gli promisero una sonora bastonatura per la sua presunzione. Gli occhi di Keesh cominciarono a lampeggiare, e il suo sangue ad accendergli il volto. In mezzo agli insulti saltò in piedi.
— Uditemi, voi uomini ! – gridò. – Non parlerò mai più nel consiglio, mai più, finchè non vengano a dirmi: «È bene, Keesh, che tu parli; è bene, ed è nostro desiderio». Prendete queste, uomini, come le mie ultime parole. Bok, mio padre, era un gran cacciatore. Anch’io, suo figlio, andrò a cacciare la carne che mangio. E si sappia fin d’ora che la divisione della carne che io ucciderò sarà giusta. E non una vedova nè un bambino piangeranno la notte perchè non c’è carne, quando gli uomini forti si lamentano per la sofferenza di aver mangiato troppo. E nei giorni a venire vi sarà la vergogna sui più forti che hanno mangiato troppo. Io, Keesh, ho detto!
Dei sogghigni e delle risate sprezzanti lo seguirono fuori dell’igloo, ma egli aveva i denti stretti, mentre se ne andava per il suo cammino, senza voltarsi nè a destra nè a sinistra.
Il giorno dopo si allontanò lungo la riva, dove il ghiaccio e la terra s’incontrano. Coloro che lo videro partire notarono che portava il suo arco con una buona provvista di frecce, e che sulla spalla aveva la grande lancia di caccia del padre. Per questo vi furono molte risate e commenti.
Era un avvenimento senza precedenti. Mai un ragazzo della sua tenera età era andato a cacciare, molto meno a cacciare da solo. Scossero anche la testa, e vi furono dei mormorii profetici, e le donne rivolsero sguardi compassionevoli a Ikeega, il cui volto era grave e triste.
— Tornerà quanto prima – esse dissero, per rianimarla.
— Lasciatelo andare; gli gioverà una buona lezione – dissero i cacciatori. – E tornerà fra breve, e nei giorni che seguiranno sarà mite e sottomesso.
Ma passò un giorno, e un secondo, e il terzo soffiò una forte tormenta, e non c’era traccia di Keesh. Ikeega si strappò i capelli, e si mise sulla faccia la fuliggine d’olio di foca, per mostrare il proprio dolore; e le donne assalirono gli uomini con parole amare, per aver maltrattato il ragazzo, e averlo mandato alla morte; e gli uomini non risposero, preparandosi ad andare in cerca del corpo, quando la tempesta si fosse calmata.
La mattina dopo di buon’ora, però, Keesh entrò nel villaggio. Ma non veniva a capo chino. Portava sulle spalle un carico di carne fresca. Il suo passo era superbo e la sua parola arrogante.
— Andate, voi uomini, coi cani e con le slitte, e seguite la mia pista per la miglior parte di un giorno di viaggio – disse. – C’è molta carne sul ghiaccio: una orsa e due orsacchiotti.
Ikeega fu sopraffatta dalla gioia, ma egli accolse virilmente le sue dimostrazioni, dicendo:
— Vieni, Ikeega, mangiamo. E dopo questo dormirò, perchè sono stanco.
Ed entrò nel suo igloo, e mangiò fortemente insieme con la madre, e dopo questo dormì per venti ore di seguito.
In principio vi fu un gran dubitare: l’uccisione d’un orso polare è pericolosissima: ma tre volte pericolosa, e tre volte tre, uccidere un’orsa coi suoi orsacchiotti. Gli uomini non potevano indursi a credere che il ragazzo Keesh, da solo, avesse compiuto una così grande meraviglia. Ma le donne parlarono della carne fresca che egli aveva portato sulla schiena, e questo fu un argomento schiacciante contro la loro incredulità. Così partirono, finalmente, brontolando che probabilmente, se le cose eran così, egli aveva trascurato di spezzare le carcasse. Ora nel Nord è necessarissimo che questo sia fatto appena la bestia è uccisa. Se no, la carne si gela così solidamente, da spezzare il filo del coltello più aguzzo, e un orso di trecento libbre, solidamente gelato, non è facile da sollevarsi su una slitta e da trascinarsi sul ghiaccio scabroso. Ma giunti sul posto trovarono non solo la preda, del che avevano dubitato, ma anche che Keesh aveva fatto a quarti le bestie, nella vera maniera dei cacciatori, e aveva tolte le viscere.
Così cominciò il mistero di Keesh, un mistero che col passare dei giorni si approfondì sempre più. Nella successiva spedizione egli uccise un giovane orso, di grossezza quasi normale, e in quella seguente, un grande orso e la sua compagna. Di solito, rimaneva lontano tre o quattro giorni, per quanto a volte restasse per una settimana di seguito sui campi di ghiaccio. In queste spedizioni rifiutava sempre la compagnia, e tutti si stupivano.
— Come fa? – si domandavano. – Non porta mai con sè un cane, e i cani sono di così grande aiuto.
— Perchè cacci soltanto l’orso? – si arrischiò una volta a domandargli Klosh-Kwan.
E Keesh gli diede una risposta adeguata:
— Si sa bene che nell’orso c’è più carne – disse.
Ma nel villaggio si parlò anche di stregoneria.
— Caccia con gli spiriti malvagi – disse qualcuno; – perciò la sua caccia è fruttifera. Come potrebbe essere altrimenti, se non cacciasse con gli spiriti malvagi?
— Forse non sono spiriti malvagi, ma benefici – dicevano altri. – Si sa bene che il padre era un gran cacciatore. Non può essere che il padre cacci con lui, in maniera da fargli raggiungere eccellenza e pazienza e saggezza? Chi sa?
Nondimeno il suo successo continuò, e i cacciatori meno capaci furono spesso occupati a trasportare la sua carne. E nella divisione egli era sempre giusto. Come aveva fatto il padre di lui, si assicurava che l’ultimo vecchio e l’ultima vecchia ne ricevessero una buona parte, senza tener per sè più di quanto richiedessero i suoi bisogni. E a causa di questo e dei suoi meriti come cacciatore, egli era considerato con rispetto e anche con timore; e si parlò di farlo capo dopo il vecchio Klosh-Kwan. A causa degli atti che aveva compiuti l’attendevano di nuovo nel consiglio, ma egli non vi andava mai, e gli altri avevano onta di domandarglielo.
— Ho intenzione di costruirmi un igloo – disse un giorno a Klosh-Kwan e ad alcuni cacciatori. – Sarà un grande igloo, dove Ikeega e io potremo abitare più agiatamente.
— Sì – gli risposero, scuotendo gravemente la testa.
— Ma io non ho tempo. Il mio mestiere è la caccia, e mi tiene occupato tutto il giorno. Così è solo giusto che gli uomini e le donne del villaggio, che mangiano la mia carne, mi costruiscano un igloo.
E l’igloo fu costruito, di dimensioni grandiose, che superavano anche l’alloggio di Klosh-Kwan. Keesh e la madre vi si trasferirono, e fu la prima prosperità che ella avesse goduto dalla morte di Bok. Nè le era data la sola prosperità materiale, perchè, a causa del suo figliuolo meraviglioso, e a causa della posizione che Keesh le aveva assicurata, ella fu considerata come la prima donna di tutto il villaggio, e le donne usavano visitarla, domandarle consigli, e riferirsi alla sua saggezza, quando sorgevano delle discussioni fra loro, o fra esse e gli uomini.
Ma il mistero della caccia prodigiosa di Keesh aveva il posto principale in tutte le menti. E un un giorno Ugh-Gluk gli rinfacciò la sua stregoneria.
— Si dice – osservò sinistramente Ugh-Gluk che tu ti accompagni agli spiriti malvagi, e che perciò la tua caccia sia fruttifera.
— Non è buona la carne? – rispose Keesh. – C’è qualcuno nel villaggio che si sia ammalato per averla mangiata? Come sai che si tratta di stregoneria? O cerchi d’indovinare alla cieca, solo perchè è l’invidia che ti consuma?
E Ugh-Gluk si ritirò sconfitto, e le donne gli risero dietro mentre si allontanava. Ma una sera nel consiglio, dopo lungo dibattito, si decise di mettere delle spie alle calcagna di Keesh quando partiva per la caccia, in maniera di apprendere i suoi metodi. Così, nella sua prossima spedizione, Bim e Bawn, due giovani fra i più esperti cacciatori, lo seguirono, prendendo ogni precauzione per non farsi scoprire. Tornarono dopo cinque giorni con gli occhi fuori della testa e la lingua tremante per dire quello che avevano veduto. Riunirono in tutta fretta il Consiglio nell’abitazione di Klosh-Kwan e Bim prese la parola:
— Fratelli! Secondo l’ordine, abbiamo viaggiato sulla pista di Keesh, e abbiamo viaggiato prudentemente, in maniera che egli non ci scorgesse, e a metà del primo giorno ha incontralo un grande orso. Era proprio un orso grossissimo.
— Non se n’è mai visto uno più grosso – confermò Bawn, che proseguì il racconto. – Eppure l’orso non era propenso a battersi, perchè si voltò e si allontanò lentamente sul ghiaccio. Vedemmo questo dalle rocce della riva, e l’orso si diresse verso di noi, e dietro di lui veniva Keesh, che non mostrava alcuna paura. Ed egli gridò dietro l’orso delle parole aspre, e agitò le braccia, e fece un gran baccano. Allora l’orso montò in collera e si drizzò sulle zampe posteriori e brontolò. Ma Keesh avanzò diritto sull’orso.
— Sì – continuò Bim – diritto sull’orso avanzò Keesh. E l’orso l’inseguì, e Keesh fuggì. Ma, mentre correva, egli lasciò cadere delle palline rotonde sul ghiaccio. E l’orso si arrestò e le fiutò, e poi le mangiò. E Keesh continuò a fuggire e a gettare delle palline rotonde e l’orso continuò a ingoiarle.
Si levarono delle esclamazioni e delle grida di dubbio, e Ugh-Gluk espresse un’aperta incredulità.
— S’è visto coi nostri propri occhi – affermò Bawn. – E questo finchè l’orso si raddrizzò bruscamente, e urlò per la sofferenza, e agitò pazzamente le zampe anteriori. E Keesh continuò a correre sul ghiaccio per mettersi in salvo. Ma l’orso non si curò più di lui, essendo preoccupato col male che le palline rotonde gli facevano dentro.
— Sì, dentro – interruppe Bim. – Perchè si graffiava e saltava sul ghiaccio come un orsacchiotto giocoso… tranne che, per la maniera come brontolava e urlava, si trattava non di giuoco ma di sofferenza. Non ho mai veduto uno spettacolo simile!
— No, non si è mai veduto uno spettacolo simile – aggiunse Bawn. – E di più, era un orso grossissimo.
— Stregoneria – suggerì Ugh-Gluk.
— Non so – replicò Bim: – vi dico ciò che i miei occhi hanno veduto. E dopo un po’ l’orso fu debole e stanco, perchè era molto pesante e aveva saltato con grande violenza, e si allontanò lungo la riva scotendo lentamente la testa da una parte all’altra, mettendosi ogni tanto a sedere per piangere e urlare. E Keesh seguiva l’orso, e noi seguivamo Keesh, e per quel giorno e per tre giorni ancora lo seguimmo. L’orso s’indeboliva e non cessava mai di gridare per la sofferenza.
— Era un incantesimo ! – esclamò Ugh-Gluk. – Certamente un incantesimo.
— Si vedrà.
E Bim riprese il racconto:
— L’orso andò vagando, ora da una parte ora dall’altra, tornando indietro e riattraversando in cerchio la pista, sicchè alla fine fu vicino al luogo dove Keesh s’era imbattuto per la prima volta. Ormai era profondamente malato, l’orso, e non poteva trascinarsi più avanti, sicchè Keesh gli si avvicinò e l’uccise con un colpo di lancia.
— E poi? – domandò Klosh-Kwan.
— Poi abbiamo lasciato Keesh che scuoiava l’orso, e siamo venuti di corsa per raccontare la notizia dell’uccisione.
E nel pomeriggio di quel giorno le donne riportarono la carne dell’orso, mentre gli uomini sedevano riuniti in consiglio. Quando Keesh giunse, gl’inviarono un messaggero, invitandolo a venire al consiglio. Ma egli mandò a dire che aveva fame e che era stanco; inoltre che il suo igloo era grande e comodo, e poteva contenere molti uomini.
E la curiosità era così forte, che l’intero Consiglio, con Klosh-Kwan alla testa, si levò e si recò nell’igloo di Keesh. Questi mangiava, ma li accolse con rispetto, e li fece sedere secondo il loro rango, Ikeega era orgogliosa e imbarazzata nello stesso tempo, ma Keesh era assolutamente calmo.
Klosh-Kwan ripetè l’informazione portata da Bim e Bawn, e finì domandando, con voce severa:
— Così occorre una spiegazione, o Keesh, della maniera di questa caccia. C’è stregoneria in essa?
Keesh sollevò gli occhi e sorrise:
— No, Klosh-Kwan. Non è da ragazzi sapere qualche cosa delle stregonerie; e delle stregonerie io non so nulla. Ho solo ideato un mezzo col quale uccidere facilmente l’orso dei ghiacci, ecco tutto. È astuzia, non stregoneria.
— E chiunque può usarlo?
— Chiunque.
Seguì un lungo silenzio. Gli uomini si guardavano fra loro, e Keesh continuava a mangiare.
— E… e… e… ce lo dirai, o Keesh? – domandò finalmente Klosh-Kwan con voce tremante.
— Sì, te lo dirò. – Keesh finì di succhiare il midollo di un osso e poi si levò in piedi. – È semplicissimo. Ecco!
Prese una sottile bacchetta d’osso di balena e la mostrò ai visitatori. Le estremità erano aguzze come le punte d’ago. Arrotolò accuratamente la bacchetta, finché essa scomparve nella sua mano. Poi la lasciò bruscamente ed essa si raddrizzò di nuovo. Prese un pezzo di grasso di balena.
— Così – disse – si prende un pezzetto di grasso, in questa maniera, e vi si pratica una cavità in mezzo. Allora nella cavità s’introduce l’osso di balena, così, strettamente arrotolato, e si adatta un altro pezzo di grasso sopra l’osso di balena. Dopo questo si mette all’aria aperta, dove gela in una pallina rotonda. L’orso ingoia la pallina rotonda, il grasso si scioglie, l’osso di balena, con le estremità aguzze, si raddrizza, l’orso si ammala, e quando l’orso è malatissimo, ecco, l’uccidete con una lancia. È semplicissimo.
E Ugh-Gluk disse: «Ah!»: e Klosh-Kwan disse: «Oh!»; e tutti dissero qualche altra cosa alla loro maniera, e tutti scomparvero.
E questa è la storia di Keesh, che visse tanto tempo fa sul margine del mare polare. Perchè ricorreva all’astuzia, e non alla stregoneria, sorse dall’igloo più meschino fino ad esser capo del suo villaggio; e durante tutti gli anni che visse, si racconta, la sua tribù fu prospera, e non una vedova nè un bambino pianse la notte perchè non c’era carne.
Fine.
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TITOLO: L’astuzia di Keesh
AUTORE: Jack London
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: La legge della vita : dai volumi: The God of his fathers, Children of the frost, e altri di J. L. / edizione 1939-17. - Milano : Sonzogno, 1938 (Tip. A. Matarelli). - 252 p. ; 16.
SOGGETTO: FIC002000 FICTION / Azione e Avventura