Raccolta di diciannove componimenti poetici, pubblicati a Cracovia nel 1580. L’eccezionale importanza di quest’opera, considerata il capolavoro di Kochanowski, risiede nel poter essere considerata l’opera fondante della poesia polacca e, più in generale, della poesia slava, nell’ambito della quale Kochanowski è considerato il primo grande poeta.
La forma metrica e strofica è varia e ispirata alla tradizione classica degli epicedi (canti funebri); l’opera fu scritta in seguito alla morte, a soli trenta mesi, della figlioletta primogenita Urszula. Pur attraverso le molteplici reminiscenze letterarie emerge un’opera di grande poesia nella quale si segue lo sviluppo dello stato d’animo del poeta travolto dalle emozioni della terribile prova alla quale il destino lo ha sottoposto. Le impressioni che in lui si sovrappongono vanno dalla desolazione per la casa vuota non più colmata dalla presenza della bimba, all’amarezza che riempie il cuore dei genitori sostituendosi alla precedente dolcezza. Il rimpianto struggente alla vista del vestitino, e dei suoi accessori.
Il classicismo che aveva caratterizzato gli studi del poeta vedeva lo svolgersi armonico degli avvenimenti del mondo, ma l’evento drammatico altera gli equilibri facendo emergere l’assurdità e la crudeltà della morte di una piccola innocente. Kochanowski non trova più sostegno nella razionalità e deve cercare conforto e spiegazione nella religione. L’ultima elegia della raccolta ha al suo centro l’apparizione della madre del poeta, morta da tempo, che lo conforta mostrandogli per un’ultima volta la figlioletta perduta. La giustificazione religiosa si trova quindi nell’abbandono da parte della piccola Urszula di un mondo di sofferenza e di dolore per raggiungere invece la beatitudine eterna.
Traduzione dello slavista Enrico Damiani – prima traduzione italiana – corredata da interessante introduzione. La stessa traduzione di Damiani è stata riproposta nel 2020 in una bella edizione critica affiancandola alla traduzione di Umberto Norsa, con testo originale a fronte e con corpose note e introduzione di Giulia Olga Fasoli e Luigi Marinelli.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
D’Eraclito le lacrime, tutti i suoi pianti, tutti
di Simònide i gemiti, e le sue pene, i lutti,
tutte le cure umane, le angosce ed i lamenti,
tutti i mortali affanni, tutti i contorcimenti
di mani, a la mia casa or tutti v’affrettate
e la mia vaga bimba a pianger m’aiutate,
da cui m’ha l’empia morte separato e d’un tratto
d’ogni conforto vuoto il mio animo ha fatto!
Non altrimenti il drago, scoperto un nido ascoso,
ruba gli usignoletti e ne pasce goloso
l’avide fauci, mentre l’orba madre cinguetta
e contro l’assassino senza posa si getta;
invan: lo scellerato essa pure aggredisce
ed essa, poveretta, a stento si schermisce.
È vano, mi direte, il pianto, è vano il lutto!
Che non è vano al mondo, pel Dio vivente? Tutto
è vano. Cerchiam dove la vita è più gradita:
è d’ogni parte dura: manchevole è la vita!
Che val meglio?… Un palese pianger ne la tristezza
o pur de la natura lottar contro l’asprezza?
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