Commedia in tre atti pubblicata nel 1922, come il titolo suggerisce si ispira alle pagine conclusive dell’Odissea, e precisamente ci presenta il ritorno a Itaca di Ulisse accompagnato dal fido Iro, marinaio grasso, pacifico, ed amante dei piaceri. E come nell’Odissea, inizialmente Ulisse resta in incognito e cerca di scoprire che ne è della sua patria, e della sua famiglia, prima di palesarsi.

Ma la commedia capovolge la situazione rispetto a quanto ci narrò Omero. Penelope è invecchiata, diventando grassa e noiosa, innamorata del potere che esercita e ancora di più della sua fama di donna virtuosa che attende il ritorno dello sposo. Telemaco ed i Proci recitano anche loro svogliatamente le rispettive parti, questi ultimi alternandosi in tentativi goffi di seduzione della Regina, in modo che possa sempre rifulgere la sua virtù fra i ripetuti rifiuti. Il primo atto, in cui Ulisse ed Iro sono testimoni di un banchetto nella Reggia, si snoda quindi tra scenette di costume ironiche e denuncia della finzione ipocrita che regge il “gioco” della tela di Penelope.

I due atti successivi, ambientati sempre a Itaca nella notte e la mattina successiva, si trascinano più stancamente nel tentativo di chiarire come i due reduci, Ulisse ed Iro, reagiscano nei rispettivi cuori a questo ritorno che si presenta molto diverso dalle loro aspettative. Dialoghi meno felici, imbevuti di retorica, rendono questa seconda parte noiosa, e scontata nella conclusione, che si rifà apertamente a ciò che Dante mette in bocca ad Ulisse nella Divina Commedia. Unico guizzo finale, la sorte di Iro, che non sveleremo qui per non levare l’ultimo sorriso a lettrici e lettori.

Leggendo questo testo, ho ripensato alla mia vita di studentessa liceale, e alle “compagnie filodrammatiche” frequentate all’epoca. Certamente avremmo messo in scena il primo atto della commedia, e ci saremmo disputati i principali ruoli di scena tra amici ed amiche, ma avremmo riscritto e tagliato pesantemente i successivi due, accentuando il tono leggero della vicenda e la sua paradossale conclusione. Lezioni di morale sulla caducità della vita e su come cambia una coppia, dopo una separazione di vent’anni, non è certo questa commedia che può darne, certo non alla gioventù di oggi, ma nemmeno ai giovani di cento (o duemila) anni or sono.

Le illustrazioni di stile greco sono di Benvenuto Disertori, morto nel 1969, quindi sono protette da copyright fino al 2040.

Sinossi a cura di Gabriella Dodero

Dall’incipit del libro:

ULISSE.
Hai udito? Hai udito?
IRO.
Il rumore del telaio è cessato ed il canto delle ancelle….
ULISSE.
Si è arrestato; forse dall’alto delle stanze superiori ci hanno visti salire…
IRO.
quasi stralunato.
Come l’usignolo interrompe la sua canzone quando il passo del viandante si ferma ai piedi dell’albero.
ULISSE.
Neanche le sentinelle, all’ingresso della Reggia, ci hanno scorto.
IRO.
O il nostro arrivo d’ospiti….
con supponenza.
illustri, era preannunciato.
ULISSE.
Illustri? Al primo vederci non si direbbe. Qualcosa di marino è in noi: la salsedine ci ha rosicchiati e incrostati come vecchie carene. Siamo uccellacci maldestri presso un nido di colombe.

Scarica gratis: La tela di Penelope di Raffaele Calzini.