La storia della Checca
di
Grazia Deledda
tempo di lettura: 7 minuti
È già la terza volta che la signorina Checca tenta di scappare di casa. Finché sta con noi, in famiglia, sembra appassionata per la casa: gira di qua, gira di là, corre verso l’uno e l’altro, curiosa e allegra, canta, si fa grattare sulla testa ed è, insomma, la nostra consolazione: ma appena è sola, forse perché ha bisogno assoluto di compagnia, scende in giardino, salta la cancellata e vola nella strada, col rischio di cadere fra le grinfie del suo giurato nemico, il gatto.
Poiché, lo avete già indovinato, la signorina Checca è una gazza.
È una gazza vera, autentica, nata in un bosco in riva a una palude: un cacciatore l’ha presa dal nido, e dopo averle tagliato le ali e la coda l’ha portata in regalo a una famiglia amica. Ma se ancora non sapeva volare, la gazza, sapeva già beccare; alle liete accoglienze della famiglia amica, rispose quindi con pungenti beccate, e dove toccavano erano dolori.
Così cominciò a inimicarsi la serva, tanto più che per domicilio le fu assegnata la cucina, il cui pavimento fu in breve, per opera di lei, tutto fiorito di caccoline simili a goccie di crema. Allora la serva si armò di scopa, e fra la scopa e la gazza cominciò una battaglia infernale. Il povero uccello beccava il suo insensibile nemico, saltellando e svolazzando con una danza disperata: la scopa era più forte di lei, agitata dalla mano della serva, e le fece passare un brutto quarto d’ora.
Ancora, quando vede una scopa, la Checca svolazza e fugge con terrore, e forse la crede una cosa viva, un mostro crudele. E nemmeno oggi sa che la serva propose alla padrona questo dilemma:
— O via quell’uccellaccio, o via io.
Così è capitata in casa nostra.
In casa nostra non ci sono bambini. I tempi sono troppo difficili e i denari scarsi per poter comprare bambini: allora abbiamo pensato di farcene prestare qualcuno, di tanto in tanto; specialmente ci viene prestata spesso una bambina della quale s’è già parlato in questo libro: una certa Mirella, ma questa Mirella adesso va a scuola e studia indefessamente: quindi non può tutti i giorni rallegrare la casa senza bambini: allora come si fa? Si cerca di dimenticare, e come la cicoria diventa il surrogato del caffè Moka, così gli animaletti del buon Dio, gli uccelli, i gatti, prendono il posto dei bambini.
La Checca è la preferita.
Il giorno che venne a casa nostra, tutti le si andò attorno, facendo a gara nel porgerle molliche di pane e carezze: le prime le accettava, alle seconde rispondeva con strida e beccate. Non per questo fu maltrattata, anzi fu portata subito in giardino, su un alberello, e mentre lei guardava meravigliata il sole, ed i suoi occhi prima verdi per la rabbia adesso ridiventavano azzurri, si pensò di farle una casetta da collocarsi sull’albero stesso, in modo che lei credesse di essere ritornata nel bosco natìo.
Fu un lungo affaccendarsi in parecchi, grandi e piccoli. Tutti gli strumenti necessarî, seghe, roncole, martello, tanaglia, chiodi, ecc., lavorarono attorno alle assi e ai bastoni per la costruzione: in breve lo spiazzo del giardino si mutò in un cantiere: per fortuna intervenne anche un certo mastro Lello, bravissimo per lavori in legno, e così, Dio volendo, la casetta col suo bravo tetto, con dentro il bastoncino traversale per il sostegno della gazza, e davanti un’asse per il mangime e il vasetto dell’acqua, fu ultimata.
Fu legata fra i rami dell’albero, fornita di grano e di molliche di pane; ma la gazza rifiutò di entrarvi e ancora non ci ha messo zampa.
Eppure, quando vuole, è l’uccello più intelligente e domestico che si possa immaginare. Ama stare in casa e tutto la interessa; vuol veder tutto, e in tutto ci mette il becco: (adesso capisco il significato di questa espressione dovuta certo a qualche vecchio sapiente che ha vissuto in compagnia di una gazza o di una cornacchia).
Viene volentieri sul braccio, e si lascia accarezzare, molle e remissiva come una colombina nera; ma appena può allungare il collo, il suo becco afferra il primo bottone che capita, e non lo lascia se non per aprirsi al passaggio invisibile di qualche insetto, o all’apparire del gatto.
Col gatto fingono di non vedersi neppure: l’uno volge la testa in qua l’altra in là: ma appena si incontrano che nessuno li vede si azzuffano mortalmente: se qualcuno non interviene a tempo succede la più immane tragedia che la storia dei gatti e delle gazze possa ricordare.
Tutti le vogliamo bene, e quando sta appollaiata sulla ringhiera della terrazza, i bambini della strada la chiamano e la desiderano.
— Checca, Checca, oh bella Checca!
Lei risponde, si volta di qua, si volta di là, e per l’allegria canta, rifacendo i versi degli altri uccelli e ripetendo anche il suo nome. Ma la sua felicità maggiore consiste nel fare il bagno. Ferma con le zampe sull’orlo della tinozza, dapprima beve, sollevando ad ogni sorsata la testa in modo che par di vedere l’acqua scorrerle sotto le piume scintillanti della gola: poi immerge bene il becco nell’acqua e lo scuote: le piume della testa si bagnano e si arruffano, e poiché il gioco del becco continua, anche il petto, le ali, e giù fino alla coda, tutto viene spruzzato abbondantemente d’acqua. Quando si sente bagnata fino alle ossa, torna di sua iniziativa sulla ringhiera della terrazza, al sole, col ciuffo erto come quello di un guerriero pellirossa, e completa la sua toeletta beccandosi sotto le ali.
E per dimostrare che ama svisceratamente la pulizia e la vita tranquilla, ogni tanto apre il becco e vi fa sparire dentro le mosche moleste.
Con tutto questo, trattata bene, accarezzata, presentata a personaggi di riguardo, salvaguardata dal freddo, dalla pioggia, dai gatti, dai monelli che attentano alla sua libertà, appena può scappa.
Ora, una mattina, pensò di volar giù dall’albero e andarsene per il mondo. L’attiravano i gridi dei rivenditori del piccolo mercato in faccia al giardino: deve aver pensato: – Là c’è gente allegra, ed a me piace la compagnia.
Arrivata infatti, coi suoi rapidi svolazzi, sulla cancellata davanti al mercato, vide le erbivendole vestite di stoffe variopinte, sentì l’odore del formaggio e della carne di agnello, e le parve che laggiù ci fosse la fiera.
Tutti erano allegri e gridavano come in un mercato per gioco.
Il pescivendolo urlava: – È arrivato il bastimento, col pesce pescato stamattina. È arrivato il bastimento.
E la rivenditrice d’uova: – Uova, uova, a dodici baiocchi l’una. Non sono uova, sono palloni. Ci vuole il bastimento per portarne via uno: palloni, palloni.
L’abbacchiaro declamava: – A otto lire, solo otto lire l’abbacchio. Venite, venite. Quanto sono bello.
Ma il pescivendolo insisteva: – Ritirati, abbacchiaro! Tutti vengono da me. È arrivato il bastimento.
La Checca, stordita balzò giù sul marciapiede. Credeva forse di poter saltellare e divertirsi come nella nostra cucina: ma non era arrivata a terra che già un monello l’aveva ghermita per le ali, e nonostante le sue strida e le sue beccate la portava via di galoppo, seguìto da una torma di compagni.
La portò a casa sua: triste casa in una cantina buia, piena di gente che nonché amare gli uccelli del buon Dio non ama neppur sé stessa.
— È buona da mangiare? – domandò al ragazzo una vecchiaccia, facendo atto di torcere il collo alla Checca.
E il monello per salvar la gazza la portò in un sottosuolo, la legò per la zampa con uno spago, le porse da mangiare dei grossi chicchi di granturco. La Checca non era abituata a questo trattamento. Stanca di stridere e di beccare si accasciò, si nascose in un angolo, fin dove le permetteva lo spago e lasciata sola, tanto per fare qualche cosa cominciò a beccare il muro e vi fece un buco, poi, stanca, con le zampe insanguinate per lo stretto nodo dello spago, pensò forse che tutto era finito per lei. Tirò su e nascose fra le sue piume la zampetta ferita, e ferma immobile sulla zampa sana chiuse gli occhi e si addormentò.
Per fortuna i compagni invidiosi del monello fecero la spia. Dopo lunghe ricerche la Checca fu ritrovata e riportata a casa. Ricevette rimproveri, carezze, molliche: tutto il giorno dopo stette di cattivo umore, stordita, con gli occhi verdi come quando è nell’ombra. Senza dubbio ricordava e si pentiva, poi ritornò ad essere allegra, a rimettere il becco nelle faccende di casa, a cantare e beffarsi degli altri uccelli meno forti e meno fortunati di lei.
Finché, di nuovo lasciata sola, scappò una seconda volta.
Ma di questa nuova avventura riparleremo un altro giorno.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La storia della Checca
AUTORE: Grazia Deledda
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: "Novelle", di Grazia Deledda ; a cura di Giovanna Cerina ; Volume 5; Bibliotheca Sarda n. 11; Ilisso Edizioni; Nuoro, 1996
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)