La stirpe di Raghu (in sanscrito: रघुवंश, Raghuvaṃśa) è un poema epico in sanscrito del celebre poeta Kālidāsa. Sebbene non si sappia la data esatta della composizione, si presume che il poeta l’abbia scritto nel V secolo d.C.

Narra, in 19 canti, le storie legate alla dinastia Raghu, della famiglia dei Dilipa e dei suoi discendenti fino ad Agnivarna, a cui appartengono Raghu, Dasharatha e Râma. Il più antico commento sopravvissuto all’opera è quello dello studioso kashmiri del X secolo Vallabhadeva. Il commento più popolare e diffuso, tuttavia, è il Sanjivani, scritto da Mallinatha (ca.1350-1450).

Dall’incipit del libro:

Il favore col quale tre anni or sono fu accolta dal pubblico italiano la mia versione del Buddhacarita di Açvaghosha, m’invoglia oggi a pubblicare un altro poema epico, famosissimo nell’India e di cui è autore nientemeno che Kâlidâsa, il diadema di tutti i vati, come lo chiama Mallinâtha nel bel principio del suo commento.
Mi pare anzi doveroso far seguire al canto della rinuncia e della glorificazione del nirvâna, quello della gioia di vivere e godere. Così, chiunque non sufficientemente informato delle varie attitudini del pensiero indiano antico, sarà per pronunciare, o peggio, scrivere lo sproposito che l’India sia un paese di deboli cercanti asilo solo nel misticismo, tratterrà fra noi la petulante lingua o l’ignorante penna, dopo aver letto il Raghuvamça. La traduzione di questo poema è in Italia una novità, perchè il cenno che ne dava nel 1884 Silvio Trovanelli, non pretese, fondato com’è sopra la versione francese del Fauche, di colmare, ma solo di segnalare una lacuna nell’opera di volgarizzamento dei capilavori indiani che la patria ha ormai diritto di esigere integra e completa. Con ciò non si vuol contestare al Trovanelli il merito d’avere scritto un forbito saggio sul poema; anzi il nome del valentuomo è qui menzionato a titolo di lode e perchè il presente lavoro appaia come il compimento del voto ch’egli esprimeva: «penso pertanto che sia tempo oggimai che ogni scrittore ch’abbia in zelo il civil progresso della patria, e sia versato in studii così fatti, cerchi di renderli quanto più sia possibile estesi»
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