La spiaggia, romanzo breve di Cesare Pavese, fu composto tra il 1940 e il 1941 e pubblicato per la prima volta nel 1942. Fu la seconda opera di narrativa dello scrittore piemontese pubblicata, dopo Paesi tuoi e prima di Feria d’agosto. Prima di questi romanzi e racconti, il pubblico aveva avuto modo di conoscere solo alcuni volumi con le poesie di Pavese e varie sue importanti traduzioni, nonostante fin dal 1925 egli avesse scritto racconti che non erano però mai arrivati alla pubblicazione.

In questo quadro, La spiaggia resta un testo abbastanza sospeso tra Paesi tuoi, che aveva suscitato nel pubblico reazioni forti per i temi della violenza e dell’incesto e per il linguaggio a volte molto vicino al dialetto, e Feria d’agosto, che raccoglie tanti motivi che poi verranno più ampiamente sviluppati dallo scrittore: la campagna, la memoria dell’infanzia, il desiderio di crescere e di rompere schemi e barriere, lo spleen metropolitano, le amicizie balorde, la scoperta dell’amore e della solitudine. La spiaggia non ebbe gran fortuna di pubblico.

Passò quasi sotto silenzio fino alla riedizione che Einaudi ne fece nel 1956 dopo il suicidio dell’autore. Ma La spiaggia è anche a metà fra due opere che ebbero fama e suscitarono reazioni, entrambe di Alberto Moravia: Gli indifferenti del 1929 e La noia del 1960. Pavese ci porta con questo romanzo in un ambiente borghese, in una vacanza borghese, con i discorsi non detti, le crisi non dichiarate e non chiarite, le piccole delusioni ed amarezze, le incomprensioni legate ad uno sguardo ad un gesto, gli innamoramenti effimeri…

La vicenda si svolge nel giro di poche giornate in una calda estate ligure passata tra Genova e una casa in riviera. Attori, tutti intorno ai trent’anni, – «Avevamo allora l’età che si ascolta parlare l’amico come se parlassimo noi, che si vive a due quella vita in comune che ancor oggi io, che sono scapolo, credo riescano a vivere certe coppie di sposi» – , sono un gruppo di amici e conoscenti come quelli che si fanno un’estate al mare. In questo spicca l’amicizia di lunga data di Doro e del narratore, amicizia che si è scolorata al momento del matrimonio di Doro con Clelia, donna in gamba e affascinante, e soprattutto per il trasferimento della coppia da Torino a Genova.

Solo episodio fuori dalla piatta normalità dei giorni trascorsi alla spiaggia, in giro per i paesi, a ballare, a far notte al suon di chiacchiere, è una ‘gita’ dei due vecchi amici tra le colline piemontesi dove è trascorsa l’adolescenza comune. Una gita di mattane, di bevute, di eccessi che nell’economia del romanzo resta quasi un bozzetto, una prima prova di quel tema della memoria, più profondamente analizzato in altri romanzi successivi.

Dopo questo romanzo breve, interessante proprio per quest’analisi quasi al microscopio del rito borghese della vacanza al mare, non viene pubblicato di Pavese più nulla fino al 1946, quando esce la raccolta di racconti Feria d’agosto, frutto del suo lavoro tra il 1940 e il 1945 in un’Italia sconvolta dalla guerra.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi

Dall’incipit del libro:

Da parecchio tempo eravamo intesi con l’amico Doro che sarei stato ospite suo. A Doro volevo un gran bene, e quando lui per sposarsi andò a stare a Genova ci feci una mezza malattia. Quando gli scrissi per rifiutare di assistere alle nozze, ricevetti una risposta asciutta e baldanzosa dove mi spiegava che, se i soldi non devono neanche servire a stabilirsi nella città che piace alla moglie, allora non si capisce piú a che cosa devano servire. Poi, un bel giorno, di passaggio a Genova, mi presentai in casa sue e facemmo la pace. Mi riuscí molto simpatica la moglie, una monella che mi disse graziosamente di chiamarla Clelia e ci lasciò soli quel tanto ch’era giusto, e quando alla sera ci ricomparve innanzi per uscire con noi, era diventata un’incantevole signora cui, se non fossi stato io, avrei baciato la mano.
Diverse volte in quell’anno capitai a Genova e sempre andavo a trovarli. Di rado erano soli, e Doro con la sua disinvoltura pareva benissimo trapiantato nell’ambiente della moglie. O dovrei dire piuttosto ch’era l’ambiente della moglie che aveva riconosciuto in lui il suo uomo e Doro li lasciava fare, noncurante e innamorato. Di tanto in tanto prendevano il treno, lui e Clelia, e facevano un viaggio, una specie di viaggio di nozze intermittente, che durò quasi un anno. Ma avevano il buon gusto di accennarne appena. Io, che conoscevo Doro, ero lieto di questo silenzio, ma anche invidioso: Doro è di quelli che la felicità rende taciturni, e a ritrovarlo sempre pacato e intento a Clelia, capivo quanto doveva godersi la nuova vita. Fu anzi Clelia che, quand’ebbe con me un po’ di confidenza, mi disse, un giorno che Doro ci lasciò soli: — Oh sí, è contento — e mi fissò con un sorriso furtivo e incontenibile.

Scarica gratis: La spiaggia di Cesare Pavese.