La sciabica

(Storia per i più grandetti)

di
Grazia Deledda

tempo di lettura: 8 minuti


La passeggiatina dei due amici, lungo la spiaggia, venne fermata dall’impedimento di una grossa corda che alcuni pescatori traevano dal mare e portavano a forza di braccia e di schiena, indietreggiando, in fila a distanza di pochi passi l’uno dall’altro, su fino all’estremità dell’arenile.
Intorno alla schiena ciascuno di essi aveva un’alta cintura di corde intrecciate, fermata, davanti, in modo da non premere lo stomaco, da un bastoncino al quale era legata una breve cordicella; una specie di laccio, con l’estremità ad uncino, che aiutava la mano del pescatore ad afferrare e tirare con più forza la fune.
Questa cintura era il segno che tutti, vecchi, giovani, bambini, e una donna che pareva fatta di sabbia, e anche lei tirava con vigore, appartenevano alla comunità della barca nera e vecchia come quella di San Pietro apostolo, che, abbandonata a sé stessa, si gingillava con le ondine celesti lì davanti alla riva.
La corda non finiva mai: pareva che il mare ne fosse pieno. Tira e tira, arrivato in cima all’arenile, il primo pescatore della fila l’abbandonava sulla sabbia, e correva a riprenderla alla riva, agitando l’uncino della cordicella come un campanello: e così via via tutti.
A pochi metri di distanza, di lato, la faccenda si ripeteva: un’altra fune cioè veniva tirata, portata in su, abbandonata sul mucchio già formatosi sulla rena e i tiratori si sostituivano a vicenda, in modo che parevano moltiplicarsi, come le comparse in teatro quando rappresentano una folla.
Della folla plebea essi avevano anche le caratteristiche; vecchi, giovani, ragazzi e bambini, brutti tutti, arsi e scabri come pesci salati, eppure uno diverso dall’altro; con addosso tutti gli stracci immaginabili, nude però le gambe e i piedi di radica, ed in testa berretti, cappelli, copricapi che ricordavano tutta la collezione dei funghi mangerecci e velenosi. Anche la donna aveva un fazzoletto giallo, messo in modo che la sua testa pareva un limone.
— Ma che fanno? – domandò il più piccolo dei due amici.
Il maggiore ne avrebbe saputo quanto lui se non fosse stato del posto: quindi fece sfoggio di erudizione.
— È la pesca alla sciabica, così si chiama la rete che sta laggiù nell’acqua e non si vede. Sciabica vuol dire rete da sabbia, perché non arriva dove l’acqua è alta. Questa pesca si chiama anche tratta, perché vedi come tirano.
— Eh, lo vedo bene – ammise l’altro, e s’incantò a guardare.
E gli vennero in mente i suoi genitori, che litigavano sempre, o almeno si lamentavano, per la mancanza di denaro, le difficoltà della vita e la durezza del lavoro quotidiano. Anche adesso che stavano per quindici giorni in riposo, per via di lui, Matteino, che aveva assoluto bisogno d’aria di mare, anche adesso non trovavano pace: anzi meno che mai, perché i soldi, diceva la madre, se ne andavano come portati via dal vento, e il padre replicava ch’era lei a non saper fare economia. Ma come si fa a fare economia quando il pane costa più che un tempo la torta, e i pomidoro si vendono come se il loro nome fosse autentico, ed un pesciolino, mannaggia la miseria, (quando è esasperata la mamma usa il linguaggio delle donne del mercato) te lo fanno pagare come se dentro le viscere ci avesse una perla.
Chi sa, invece, quanti pesci questi pescatori, che sembrano tanti zingari del mare, si mangiano in pace ed allegria.
Allegri, adesso, veramente non sembrano; e neppure in pace, perché anche essi questionano, l’uno con l’altro nella stessa fila, od attraverso lo spazio con quelli dell’altra, e sono urli, bestemmie, improperi, dei quali i più delicati sono «lasaròn» o «fìòl d’un can», e verrebbero forse alle mani se le mani indolenzite e ardenti non pensassero per conto loro a tirare la corda.
E la corda, rossastra ed oleosa come una salsiccia dura, si lascia tirare volentieri, pur dandosi l’aria di essere lei a trarre dal mare il peso misterioso della rete ancora invisibile.
Alcuni ragazzi bagnanti, che da lungo tempo assistono allo spettacolo, per puro spirito di solidarietà umana, o perché credono che il loro valido aiuto affretti l’opera, s’intruppano fra i pescatori e si mettono anch’essi a tirare. Ci si mette anche un signore in maglia e berretto da marinaio; un bel tipo di negriere coi denti, anche quelli di davanti, tutti d’oro. Ci si mette anche una signorina secca, vestita di verde come una cavalletta.
— Brava, brava – si grida intorno.
— Ma il pesce che pescano, a chi va? – domanda Matteino all’amico.
— Lo vendono, o se è poco se lo dividono fra loro. Una volta ne ho avuto pure io perché ho aiutato a tirare.
Allora un’idea luminosa guizza nella mente di Matteino: mettersi anche lui a tirare, e portare poi alla mamma affaccendata il suo berretto da bagno gonfio di pesci.
— Tiriamo anche noi, – propose all’amico, ma questi fece una smorfia di diniego, anzitutto perché Matteino era così piccolo e mingherlino che pareva fatto di zolfanelli incrociati, poi perché quella volta, nel tirare la fune, s’era fatto le vesciche al le mani, e la serva aveva buttato via i pesciolini da lui portati a casa, non, com’egli affermava, ricevuti dai pescatori avari, ma raccattati fra gli scarti lasciati da loro sulla sabbia.
Intanto già fra le ondine celesti che pareva si prestassero graziosamente anche esse a spingere a riva la rete, si notavano i primi segnali di questa, con l’apparire dei sugheri a galla: i pescatori adesso tacevano, tirando con più forza, col viso rischiarato dalla speranza. La donna di sabbia s’era fatta la più animosa; quando veniva il suo turno di ricominciare, scendeva a precipizio dall’arenile e riafferrava la corda riversandosi indietro sulla sua cintura selvaggia, come se da quello sforzo dipendesse la salvezza della sua vita.
Fu dietro di lei, fra lei ed un omone rosso il cui sudore pareva sangue, che Matteino, avvolto anche lui da quell’atmosfera di speranza diffusa intorno, si mise a tirare la corda: e gli parve di essere lui solo a produrre la forza necessaria ancora a portare l’opera a compimento.
— Forza, coraggio, tira, tira, – Matteino diceva a sé stesso, preso da un’ebbrezza che gli faceva dimenticare lo scopo meschino della sua impresa. Su, su, la sabbia gli sfuggiva di sotto i piedi, e in realtà egli si sentiva trasportato, fra l’omone forzuto e la donna tenace, come sospeso nell’aria.
La rete adesso la si vedeva uscire piano piano dal fitto delle onde; pareva un grande canestro di velo rosso merlettato di nodi di sughero e trapuntato di pagliuzze d’acciaio. Erano i primi pesciolini, che destarono un senso di pietà in Matteino. Poveri, poveri pesciolini! Se ne stavano affacciati tranquilli ai finestrini della rete perché l’acqua ancora la riempiva; ma arrivati sulla sabbia, nel sentire l’orrore della loro sorte, cominciarono a spiccare salti e a contorcersi, inarcandosi come anelli d’argento, riuscendo qualcuno a balzar fuori dalla sua prigione.
— Se però tutta la pesca è qui, stiamo freschi – pensa Matteino; e vede anche il viso diabolico dell’amico sogghignare di scherno.
I pescatori invece erano tutti animati da una silenziosa letizia; il loro viso splendeva come se il sole sorgesse dal mare. Sentivano il peso della rete; e più degli altri poteva sentirlo la donna perché sotto l’arco del suo fazzoletto gli occhi d’ambra rifulgevano simili a quelli di un cane da caccia.
Anche l’aitante negriere, con la sua Californianota 1 in bocca, sorrideva soddisfatto, quasi fosse lui il padrone della pesca.
Adesso una folla di curiosi s’era stretta lungo le corde, come quella che assiste allo sbarrato passaggio di un corteo reale: altri ne venivano, e si vedevano le lunghe gambe rosee del le donne seminude avanzarsi quasi danzando sullo sfondo azzurro del mare.
— Terra, terra – gridò un monello.
E tutti a ridere, a spingersi, ad ammucchiarsi sulla riva.
I pescatori sollevavano e agitavano i lembi della rete, perché i pesciolini ne rimbalzassero e restassero in fondo; la donna era la più svelta e feroce nella faccenda; staccava dalla rete i gamberetti disperati e li masticava vivi; altrettanto avrebbe fatto coi bambini molesti che respingeva coi fianchi gridando:
— Via i burdel, via i bambini.
Fra le piccole triglie. le sardine e i bianchi naselli distinse il pesceragno, la tarantola del mare, e presolo per la coda lo seppellì nella sabbia e lo schiacciò col piede.
Quest’atto di apparente crudeltà cominciò ad indisporre Matteino. Aveva anche lui abbandonato la corda per mettersi in prima fila fra gli spettatori, e aspettava la sua porzione, quando invece si sentì respinto quasi con violenza da due pescatori che portavano una dentro l’altra due ceste vuote ancora brillanti di scaglie.
— Permesso, permesso, largo, signori.
— Via i burdel.
— Via, bambini, avete capito?
La rete veniva su, su, sempre più larga, con la sua immensa bocca coi denti di sughero spalancata, e dentro un rimescolamento luminoso; pareva avesse pescato tutti i tesori del mare. Anche l’amico di Matteino non sogghignava più; poiché molte pesche al la sciabica egli ricordava, ma nessuna abbondante come questa.
Attorcigliati anch’essi e presi da una furia infernale, i pescatori agitavano in dentro i lembi della rete; e in fondo a questa i pesci si ammucchiavano, crescevano, crescevano, come se la disperazione stessa li facesse moltiplicare.
Una prima cesta, portata da due pescatori e scaricata sulla sabbia con rapidità veramente fulminea, destò un grido di ammirazione intorno. Si ebbe l’impressione che un lampo fosse caduto sulla rena e vi si agitasse, inchiodato da una forza superiore alla sua: poi un’altra cesta, un’altra, altre ancora. I pescatori adesso ridevano come ubbriachi: la donna di sabbia s’era strappata di testa il fazzoletto, per riempirlo di pesci.
Sulla sabbia, fra il cerchio degli spettatori quasi sbalorditi, la macchia lampeggiante si allargava tremolando, come fatta di mercurio, e lo schioppettìo dei pesciolini, rimbalzati e urtati fra di loro dalle convulsioni della morte, ricordava quello del fuoco.
Tutto lo splendore tumultuoso del mare pareva si fosse riversato sulla rena, e il mare ne restava come impallidito.
Allora Matteino pensò ch’era giunta l’ora del compenso del la sua fatica: già altri ragazzi spigolavano i pesci rimasti qua e là, e scappavano svelti come grandi ladri. Egli s’era già tolto il berretto da bagno, ne aveva allargato l’elastico, e cominciava a buttarvi piccole manciate di pesciolini che gli sfuggivano fra le dita come spilli.
Già vedeva il viso sorridente della mamma, già i begli occhi glauchi di lei lo guardavano dal fondo del berretto. Ma sentì anche lo scottante ceffone del babbo.
— Lazzarone, figlio d’un figlio di un cane, lascia stare lì la roba che non è tua.
Queste parole stridenti erano accompagnate da scapaccioni a confronto dei quali quelli che di tanto in tanto gli prodigava il babbo, sembravano carezze. Era la donna di sabbia che glieli regalava; ed egli dovette fuggire carponi fra le gambe degli spettatori, davvero come un figlio di cane, col berretto fra i denti, per salvarsi dalla furia di lei.

Fine.


nota 1 – I suoi denti d’oro.
[Torna]


Liber Liber

Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamo realizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione integrale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, video e tanto altro: https://www.liberliber.it/.

Fai una donazione

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri. Fai una donazione: https://www.liberliber.it/online/aiuta/.


QUESTO E-BOOK:

TITOLO: La sciabica
AUTORE: Grazia Deledda

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: "Novelle", di Grazia Deledda ; a cura di Giovanna Cerina ; Volume 5; Bibliotheca Sarda n. 11; Ilisso Edizioni; Nuoro, 1996

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)