Ho il piacere di presentare, per la prima volta, al lettore italiano le poesie di Laure K. Phoenix, pubblicate in Francia, in edizione privata, sotto lo pseudonimo di Pascale Kukawka. Sotto questo stesso nom de plume, l’autrice parigina è già nota in patria per alcune sottili e raffinate pièces teatrali, da Jours d’été a Requiem.
Difficilissimo, se non impossibile, da definire e da classificare – apparentemente inafferrabile, per così dire impalpabile, pur nella sua leggerezza insostenibile, nella sua spessa e risonante consistenza esistenziale e concettuale – il discorso dell’autrice sembra fondere la poésie ininterrompue, l’écriture automatique dei surrealisti (e magari l’ardito analogismo del primo Apollinaire e del primo Ungaretti) con una visione platonica dell’idealità assolutizzata e rarefatta, della reminiscenza incorporea e sublimante: visione mediata, forse, dalla Pléiade e da Maurice Scève (la parola poetica che coglie e fruga “l’anima dell’anima”, il nucleo essenziale e segreto della vita e del sentimento; la “morte immortale” ravvivata dall’amore allo stesso modo che la Fenice risorge dalle sue ceneri).
“Sensualità senza carne”, “sensualità rapita fuor de’ sensi”, per citare il D’Annunzio ascoltatore di Debussy, è quella della poetessa. Un amore che, proprio come nei platonici del Rinascimento, sublima la sensualità senza rimuoverla, trascende il corpo senza dissolverlo, e anzi rendendolo eterno, proiettandone il possesso e il ricordo oltre i limiti del tempo e dell’umano, in una sorta di iperuranio imperturbabile, di cielo ulteriore, senza più termine e fine: nel “Cielo amante / Degli amori eterni”.
E il paesaggio – qui, quello terso e radioso della Loira, saturo di memorie storiche e insieme esistenziali, collettive e condivise non meno che individuali e soggettive – diviene davvero, come voleva Amiel, “un état d’âme”, lo specchio nitido e perenne di una storia e di un’esperienza rese incorrotte dalla poesia e dal ricordo – reimmerse, direbbe Baudelaire, nei “verdi paradisi degli amori d’infanzia”.
“Mon bien s’en va, et à jamais il dure: / Tout en un coup je seiche et je verdois”. Questo distico di Louise Labé potrebbe riassumere le linee di forza, le tensioni essenziali e portanti che attraversano il mondo poetico della nostra autrice: un sentimento che insieme si dissolve e perdura, che aspira all’eterno pur nella consapevolezza, matura e serena, della sua terrena transitorietà; e, nel contempo, un’immedesimazione primigenia con i cicli naturali di germinazione e disfacimento – con il perenne, quasi rituale ripetersi di morte e rinascita, decadenza e rifioritura, che scalda ed agita il grembo della terra.
* * *
Pascale Kukawka
Appena il blu
A Josef, che dischiude con la sua grazia le vie della bellezza.
All’ombra dei tuoi occhi
Mi sono addormentata
In un giaciglio di pioggia
Faccio strazio della mia vita
Sabbie mobili
In cui lentamente mi calo
Nella notte nera immensa
Senza ritegno mi piego
Attraverso la sponda
Dall’oblio al nulla
In me stessa esiliata
Nella chiarìa del cielo
* * *
Cupo è il cielo
Quando a me stessa mi appresso
Oscura ed offerta
Alle torture della mia carne
Presto non sarò più
Aureolata di preghiere
Nuda nella mia urna
Per divenire cenere
Nutrirò i versi
Che mi ameranno una sera
Al festino della morte
Sarò regina – alla fine
* * *
Amata fredda ma amata
Amata per non essere più
Ancora bianca delle mie ossa
Andrò come una bambina
Andrò per cercarti
Oltre il cimitero
Per porgerti la mia infanzia
Come un’estrema preghiera
Agli angeli che prendono il volo
Ho chiesto la grazia
Di rivederti un giorno
Per dimenticare l’amore
* * *
Raggiungere il mio esilio
La mia terra fredda e ghiacciata
Sulla quale distesa
Attenderò, crocifissa
Imploro la tua clemenza
Misericordia e grazia
Per cui la mia anima s’invola
Ebbra e saziata
Verso l’impossibile amore
Sontuoso, incompiuto
Chiedo il tempo –
Sì, il tempo di amare
* * *
Sarò io sempre esule
Su queste terre aride
Ove l’amore sgomento
Per l’eterno scompare
Io lo ignoro lo ignoro
E perennemente lacrimo
Sprofondata, sola
Distesa
Sulla neve dei sogni
Polvere d’estate
Abbandono l’aurora
Dei miei dolenti sogni
* * *
Mai avrei creduto
Che questo silenzio di morte
Avrebbe ferito la mia anima
Fino a non farmi più intensamente amare
Mi scavo d’assenza
Solco di sventura
Dove il silenzio dell’acqua
Inonda i miei ardori
Fragile acanto
vicino ai lauri della tua gloria
Immensamente amante
Che la bellezza plasma
* * *
Danza il mio amore
Danza
Al cielo degli oppressi
Troverò la mia sede
Nessuna gloria m’importa
Se non un nostro unito passo
Valzer del bianco sotto la corteccia
Sovrano, insensato
Nell’austera dimora
In cui oggi mi trovo
Il silenzio la sua compagna
mi fecondano l’anima
***************
Nessun uccello del cielo
Nessun bosco stellato
Prenderanno il posto
Dell’eternità
Appena il tuo amore
Sulla via delle anime
Scarmigliata, viva
Increata nel cielo
Terra natale
Magica
Bambino
Demone
* * *
Delle tue mani di polvere
In cui s’inabissa il sovrano
Di un labirinto estinto
Spezzo la terra
Incandescente infanzia
Che l’acqua vive libera
Sulla luce in croce
L’azzurro impassibile
I tuoi occhi di bellezza
Stretti dalla cerniera
Schiariscono l’innocenza
Della mia indecenza
* * *
Cucchiai di fuoco
Donne di seta
Capelli sciolti
Alla curva del tuo braccio
Nel soffio dei passi
L’uccello l’albero la pietra
Cavalli di spuma lanciati
All’intima preghiera
Paradiso di tesi boschi
Dalle fonde radici –
Vigne d’argilla
Dove brilla la polvere nell’aria
* * *
Il blu, appena
In una coppa d’acqua chiara
Alla grazia di un dito
Scampato agli inferi
Dal tavolo alla carne
Marionette impazzite
Amputano l’orologio
Di un bilanciere logoro
Amori defunti
Pericolano su una sedia
Una donna poi un’altra
Insperate oscillano
* * *
Nel silenzio delle braccia
Si assopisce l’infanzia –
Pietra di cielo
Che il vento porta
Si affievolisce la luce
Comincia il sogno –
Danza
Agli uccelli deformi
Agli alberi reietti
Invocherò la notte
Perché ti raggiunga
Senza un grido
* * *
Ero venuta da ieri per (forse) domani
(traduzione di Matteo Veronesi)
a Josef.
Tutto sarà dimenticato
Tranne questa attesa
Che fu esaudita
Guillevic
In questo giardino d’estate
Di rose e di tigli
All’ombra della villa
Ho sostato
Su una panchina di cielo blu
Il cuore al colmo
Gli angeli addormentati
Sulle mie braccia languenti
La luce di luglio
Su un albero si è seduta
Ascoltando in silenzio
La bellezza dell’estate
* * *
Ero venuta da ieri
Per forse domani
Alla fonte dei tuoi occhi
Di boschi chiari e di vino
Ritrovare la strada
O una traccia almeno
Di questa antica storia
Dagli ori rosa sbiaditi
Dove mi sarei perduta
Se non è in questo treno
Il mio cuore in una coppa
Esangue e incerta
* * *
Sulla riva della Loira
Ho suggellato il mio destino
In una città di pietre
Di storia e di guerriera
Orléans e la sua Giovanna
Orgogliosa e fiera
Sulla piazza del Martirio
Mi è sorta innanzi
Anima mia affrettati
A raggiungere la tua fiamma
Per non scomparire
Nei limbi del passato
* * *
Il sole era caldo
D’acciaio e ferro bianco
Le rose sotto i piedi
Piegavano stupore
I giardini esalavano
Profumi grevi e vecchi
La testa mi girava
La paura esiziale
Il mio ventre alle strette
Implorava di zittirlo
L’attesa devastava
La mia ultima preghiera
* * *
Non esistevo più
Avevo cessato di vivere
Assente al mondo
Ignara di ieri
Il tempo si è smarrito
Non lo sapevo più
Stremata di chiarezza
Di terrore di eternità
Che avevo amato
Su certi sentieri di pietre
Oggi scomparsi
Forse per sempre
* * *
Cosa cercavo venendo
In questa città d’acqua
Se non di piacerti
O perdermi di nuovo
La luce mi zittiva
Piovevo sotto il cielo
Aperta alla pioggia
Al fulmine di vetro
Il mio desiderio celato
Come una bestia selvaggia
Si ricordava del blu
Della tavola al margine del bosco
* * *
I boschi della tormenta
Dell’inquietudine
Delle anime smarrite
Vive e condannate
Paradiso dimenticato
Incantesimi profondi
Nuche offerte
Al taglio dell’abisso
Sotto il moggio
Le teste posate
Coronate di sventura
Di derisione e sangue
* * *
Ero venuta per questo
Una seconda volta
Come la fenice
Dalle sue ceneri rinasce
Offrirti la mia nuca
In pegno d’eternità
Ero là per la vita
Per la morte per l’amore
Ero là per i tuoi occhi
Di carpini e d’acqua viva
Ero là per la tua anima
Di pianure e sarmenti
* * *
E come tutti gli amanti
Che hanno paura di perdersi
Il tuo sguardo così lontano
Si è accordato con il mio
Le parole erano intorno
Immortali e divine
Allacciando i silenzi
Per aprire le vie
Abbiamo danzato sì
Nel chiaro dell’estate
I tuoi occhi accesi e fluidi
Stellati di marea
* * *
Ho dimenticato le parole
Che ci siamo dati
Ho dimenticato la terra e la sua aridità
Ho dimenticato il cielo
E i suoi neri improbabili
Ho dimenticato la lama
Che mi aveva tanto scavato
Questo silenzio di un tempo
Che mi aveva affossato
Sotto cieli di stagno
Spaventevoli e certi
Ho dimenticato
* * *
La pioggia non è venuta
Le rose sono ammutolite
Soltanto qualche uccello
Sui rami dimenticati
Il cuore infine in pace
In questo antico giardino
Adagiato sulle pietre
Di un chiostro ocra e sereno
Nel cielo sperduto
Ho raccolto le mie armi
La dolcezza per stendardo
Il silenzio del mattino
* * *
Ho ripreso il mio cammino
Lasciandoti dietro di me
In questa città di pietre
Di uccelli e di giardini
Gli occhi bruciati vivi
Dalla dolcezza dei tuoi
Dove cola la ferita
Dei giorni incerti
Ti rivedrò un giorno
In questa città d’acqua
Dove la Loira selvaggia
Ha cavalcato la mia anima
* * *
Ti rivedrò un giorno
Quando la Loira sarà alta
Sulle sue rive in piena
D’erbe verdi e folli
Ti rivedrò un giorno
Al nascere dell’alba
Dove la rosa si inabissa
Nell’oscurità dell’acqua
Ti rivedrò un giorno
Sulle cime alte e chiare
Degli astri infausti
Neri e solitari
* * *
Ti rivedrò un giorno
E per quanto tempo
Sotto il cielo amante
Degli amori eterni
Ti rivedrò un giorno
Come fanno gli amanti
Teneramente allacciati
All’ombra dei tormenti
Ti rivedrò un giorno
Per serbarti in eterno
Nel cavo delle mie braccia
Dove si raccoglie l’amore