Nella brevissima nota inserita all’inizio del volume, Guglielmo Ferrero chiarisce la natura di quest’opera: fa parte di una collezione da pubblicare nell’America settentrionale, che ha lo scopo di illustrare gli influssi della civiltà antica sulla moderna. Aggiunge che, occupato in altri lavori, si è fatto aiutare “da un giovane collaboratore”, il ventunenne figlio Leo, riservando a se stesso l’appendice.
Nel testo principale si prendono in esame gli storiografi di Roma antica: Livio, Tacito, Sallustio, Svetonio (La creazione); si passa a discutere dell’influenza del cristianesimo, e in particolare di Sant’Agostino (La Distruzione), e si conclude con l’analisi dei lavori di Machiavelli e dei “Tacitisti” del Rinascimento (La Rinascita). Gli autori discutono come i vari storiografi interpretano il ruolo degli individui, dei pubblici poteri e della religione. In particolare, Tito Livio viene accostato a Machiavelli per la sua esaltazione del ruolo dello Stato, al di fuori e anche contro la comune morale. Ricordiamo che il libro viene pubblicato nel 1924, alla vigilia del delitto Matteotti: una interpretazione come questa sembra quasi profetica.
Ferrero approfitta dell’appendice (Che cos’è la Storia) per prendere la parola per “motivi di ordine personale”, direbbe un parlamentare: risponde a Benedetto Croce, che nella sua Teoria e Storia della Storiografia lo aveva attaccato sostenendo che il suo modo di fare storia (nell’opera Grandezza e decadenza di Roma) era troppo ricco di immaginazione e congetture. Questo almeno è quanto afferma Ferrero, ma non ho trovato, nell’edizione dell’opera presente in Manuzio, la citazione letterale da lui qui riportata:
«Il Ferrero crede che si debba con la immaginazione, o come dice, con la congettura integrare le fonti là dove il senso critico vieta coteste integrazioni e nega che possano mai fornire storia e storia reale.»
Trovo invece quest’altra frase, che al di là della mancata citazione del destinatario, è chiaramente riferibile al Ferrero:
«Chi non è facitore di manuali, si sottrae a queste angosce, perché vede e sa che gli uomini narrano via via le storie che loro interessano, e che un commerciante che fa, magari tra sé e sé, la storia della propria grandezza e decadenza (al modo di un Cesare Birotteau) è altrettanto storico quanto o più di coloro che hanno scritto, spesso in modo frigido e insulso, della grandezza e decadenza di Roma.»
Anche nella seconda appendice, Il materialismo storico e Roma Antica, polemizza, senza nominarlo, con l’amico Corrado Barbagallo, che nella sua opera Il materialismo storico aveva indicato proprio Ferrero come uno degli esempi di applicazione del metodo storico alla storia antica. In questo lavoro, Ferrero afferma che il materialismo storico ha ragione di essere applicato solo per l’epoca storica successiva alla prima Rivoluzione Industriale.
Sinossi a cura di Claudio Paganelli
Dall’incipit del libro:
Nel De Oratore di Cicerone Antonio domanda, a un certo punto, se per scriver di storia sia anche necessario essere un buon oratore, e Catulo gli risponde:
«È necessario, se si scrive alla maniera dei Greci, ma secondo la nostra non c’è nessuna ragione di far dell’eloquenza: basta non essere falsi».
«Non disprezzare i nostri» replica Antonio. «Anche i Greci scrissero in principio come Catone, come Fabio Pittore, come Pisone. La storia non era altro che una fabbrica d’annali; e per questo, cioè per conservare le pubbliche memorie, dalle origini di Roma fino al pontificato di Mucio, il Pontefice massimo raccoglieva tutti gli avvenimenti dei singoli anni, li scriveva nell’albo e poneva dinanzi alla sua casa la tavola, perchè il popolo potesse consultarla. Son quelli che si chiamano anche oggi annali massimi. E molti seguirono questo stile lasciando senz’ornarlo soltanto il ricordo dei tempi, degli uomini, dei luoghi e delle imprese. Perciò come i Greci hanno Ferecide, Ellanico, e Acusilas, così noi abbiamo Catone, Pisone e Fabio Pittore, che non sanno come ornare un’orazione (da poco infatti è stata importata presso di noi quest’arte); e purchè si capisca quello che dicono, credono che bisogna soltanto ricercare la brevità»
Scarica gratis: La palingenesi di Roma di Guglielmo Ferrero e Leo Ferrero.