La pagina 309.
Le avventure di Kutt-Hardy
Il Rivale di Sherlock-Holmes
di
Giovanni Bertinetti [Herbert Bennet]
tempo di lettura: 19 minuti
I.
La mente umana – incominciò Cutt-Hardynota 1 – è di una prodigiosa fecondità nell’escogitare forme di vendetta. Il desiderio di vendicarsi di un nemico, e nel medesimo tempo di sottrarsi all’occhio vigile della giustizia, ha reso fertile l’ingegno del vendicatore di delitti raffinati ed abilmente preparati. Quanti crimini rimasero nell’oscurità e non caddero sotto gli sguardi degli uomini solo perchè gli uomini si lasciarono gabellare per morti naturali, veri assassinii perpetrati con profondità di scienza! Il codice è impotente a punire certi assassini, perchè nessun articolo di legge potrà mai colpire certi atti che pure, in fondo, costituiscono tante stilettate sul cuore della vittima designata.
Ciò che mi accingo a narrarvi – o miei buoni amici – vi dimostrerà fino a qual punto può andare la diabolica raffinatezza nel delitto. È una delle vendette più originali che io conosca.
Il giorno 13 ottobre 1902 moriva nel suo ufficio, alle ore 11 e quaranta minuti, il ricchissimo costruttore di macchine agricole Edward Campbell: egli moriva di aneurisma, improvvisamente, dinanzi a suo nipote Giorgio Campbell, che lavorava nel medesimo ufficio, ad uno scrittoio poco discosto. I medici constatarono la morte senza nulla trovarvi di anormale. I funerali furono splendidi perchè Campbell, notissimo a Edward Campbell, era amato per la sua generosità, benchè, lui vivente, a mezza voce si narrasse una vaga storia di donna verso la quale egli avrebbe agito molto crudelmente. Ma nessuno dava importanza a questa vecchia storia.
Cinque giorni dopo il funerale venne in casa mia il nipote Giorgio Campbell, un giovanotto sui trent’anni, che tutti sapevano molto affezionato allo zio. Egli dimostrava una viva preoccupazione ed entrò subito in argomento dicendomi:
— Io non credo alla morte naturale di mio zio… Egli è stato assassinato…
— Come mai potete fare un’asserzione simile? Quali prove avete? – domandai.
— La prova la più irrefutabile: una confessione stessa di mio zio.
— Una confessione? Come mai? Se non erro vostro zio è morto di un aneurisma.
— Così almeno asserirono i medici. Leggete. Ho trovato questa lettera tra le carte intime di mio zio.
Giorgio Campbell mi porse con mano tremante un foglietto sul quale eravi scritto a matita:
«Caro Giorgio, ciò che succede è assurdo. Ti scrivo queste righe perchè temo che l’assurdo si verifichi. Se l’assurdo si verifica sia questo foglio testimone che tuo zio è stato assassinato,
«Edward Campbell».
— Che data porta questo foglietto? – domandai.
— Nessuna data, come vedete, signor Cutt-Hardy.
— Malgrado questa confessione, sembra tuttavia che vostro zio sia morto di morte naturale, o meglio, che non sia stato vittima di nessun assassinio.
— Sembra… Anzitutto, quale valore date voi alla parola assurdo che trovai in questo strano biglietto?
— Ecco quel che stavo studiando, signor Campbell. A questa parola assurdo si possono dare diverse interpretazioni. Risulta intanto in modo evidente che vostro zio riteneva assurda la sua morte e non vi credeva.
— Ed allora perchè avrebbe scritto il biglietto?
— Non vi credeva, ma tuttavia la temeva. Questo biglietto è un documento singolare. Il problema che voi mi date a risolvere presenta per me un altissimo interesse, e mi dedicherò alla sua soluzione, animo e corpo. Intanto, signor Campbell, è necessario che voi mi diciate quali persone, secondo voi, avrebbero desiderato la morte di vostro zio.
— Egli era amato da tutti; però, debbo confessarvi che sul suo conto mi era venuto all’orecchio una vaga storia di cui mai non seppi l’origine.
— È assolutamente necessario che io la conosca per tentare di far la luce su questa morte stranissima – dissi.
— Io vi dirò tutto quel che so; ma vi avviso che so ben poco.
— Non importa… il resto lo cercheremo.
— Mio zio ebbe da giovane un legame con una donna, di cui mai ho saputo il nome: da questa unione deve essere nato un figlio.
— Che vostro zio non ha riconosciuto?
— Che non ha riconosciuto, perchè secondo la vaga storia, egli aveva qualche motivo per credere che quella donna…
— Non gli fosse completamente fedele.
— Precisamente. Io non so di più. Io non ho mai dato importanza a questo particolare della vita giovanile di mio zio.
— Forse è un particolare che non si deve trascurare. Quella donna vive ancora?
— Non lo so.
— Non sapete se vostro zio ricevesse a proposito di questo figlio delle intimidazioni, delle minacce?
— Non so assolutamente nulla: voi comprenderete che mai nulla io richiesi allo zio, nè mai lo zio me ne parlò… Non credo che egli abbia ricevuto le minaccie a cui accennate… Mi viene però ora alla memoria un aneddoto che forse potrà ricollegarsi con quella storia.
— Dite: ogni particolare deve essere vagliato. Da un piccolo fatto insignificante può scaturire la luce.
— Io so che questa teoria del minimo particolare ha dato a voi tanti trionfi. Un giorno, saranno oramai due anni, si presentò a nostri ufficii un giovane alto, bruno, pallido, con grandi occhi neri e fissi. Non ho mai dimenticato quello sguardo lucido ed immobile. Uno sguardo che aveva del geniale e del pazzesco insieme. Eravamo in ufficio io e mio zio. Lo sconosciuto disse che aveva urgente bisogno di conferire col signor Campbell. Mio zio, dopo aver guardato con diffidenza quel giovane che non aveva voluto dichiarare il suo nome, si alzò e pregò il giovanotto di seguirlo. Entrarono nel salotto vicino. Io non ho mai saputo qual dialogo vi si fosse svolto tra i due uomini. Non mi giungeva all’orecchio, di quando in quando, che qualche esclamazione di cui mi sfuggiva il significato. Il dialogo non durò più di un quarto d’ora. Quando uscì dal salotto mio zio era molto pallido ed agitato. Ma si rimise subito al lavoro.
— Voi non gli avete chiesto nulla?
— Io gli dissi: Sei pallido, zio, ti senti male?
— Nulla… un capogiro passeggiero – rispose e si rimise al lavoro fingendo la più grande indifferenza.
— Ecco un particolare che mi interessa molto. Evidentemente quel colloquio ha la sua importanza… Avete fatto bene a ricordarvene.
— Signor Cutt-Hardy, se voi riuscirete a rintracciare…
— Calma, per ora non vi prometto nulla. Se veramente vostro zio fu assassinato, l’assassinio non fu commesso coi soliti sistemi e non è nemmeno necessaria l’autopsia. È una morte strana che non fu certo procurata nè da ferite nè veleni. Cerchiamo il mezzo col quale si è potuto produrre in vostro zio l’aneurisma. Trovato il mezzo, troveremo l’assassino. Non so però se questo assassinio sarà punibile dalle nostre leggi. Intanto, ditemi se non avete più riveduto quel giovane.
— Non l’ho più veduto… od almeno credo di non averlo più riveduto.
— Come! credete? Vuol dire dunque che l’avete rivisto – soggiunsi alquanto meravigliato.
— Non l’ho veduto, o non mi è parso di vedere che i suoi occhi; ma può darsi che sia stato una fantasia.
— Può darsi invece che sia una realtà. Intanto io scommetto che questi due occhi li avete veduti ai funerali di vostro zio.
— Come mai…
— Non v’è nulla di straordinario, tanto più che è logico supporre essere quel giovane appunto il figlio di vostro zio.
— Voi credete?…
— Per ora non credo nulla… sapreste dirmi quale era l’espressione di quei due occhi?…
— Precisamente! Tra la folla che si assiepava attorno al feretro, quando lo discesero nella fossa, mi è parso di sentirmi addosso quello sguardo fisso, ipnotico, indimenticabile…
— Nulla vi è di più logico… Noi abbiamo già acquisito all’indagine qualche cosa di positivo. Lasciatemi riflettere: il problema che voi mi avete sottoposto è tra i più complicati e richiede la mia più intensa attenzione. Intanto vi prego di recarvi a casa e fare più minute ricerche tra le carte di vostro zio, caso mai qualche importante documento vi fosse sfuggito…
— Farò quanto mi dite, ma ve lo confesso, con pochissima speranza. Mio zio non aveva l’abitudine di tenere memorie riguardanti i suoi fatti personali…
— Ad ogni modo vi sarò grato se farete maggiori ricerche…
— Non ne dubitate… Ed ora signor, Cutt-Hardy, è permesso domandarvi se avete già scoperto qualche buona ficelle?
— Per ora non posso dirvi nulla, vi avverto però che fra due o tre giorni potrò darvi una risposta più precisa.
Il signor Giorgio Campbell uscì da casa mia. Rimasto solo accesi una sigaretta e sdraiato sulla poltrona, socchiusi gli occhi e meditai per qualche minuto con profonda intensità…
Singolare delitto! Singolare vendetta! Giacchè Campbell era stato assassinato, non avevo su ciò alcun dubbio. Ma l’assassinio non era stato perpetrato a base di veleni nè di armi: lo zio Campbell era morto realmente di aneurisma.
Ma quale ne era la causa?
Una fortissima emozione, una violenta scossa al cuore?
Campbell era in ufficio col nipote: non fu in preda ad alcuna visibile lotta: anzi è fuor di dubbio che stava lavorando.
Dunque?
Mi alzai repentinamente: mi era balenata una idea molto semplice: di chiedere spiegazioni del problema a quello stesso che l’avea creato.
Mi vestii e mi recai dal notaio Duplessis, mio amico intimo al quale volevo richiedere un piccolo aiuto che poteva essere forse la base di scoperte definitive.
II.
All’indomani sui giornali compariva il seguente advertisement.
«Il notaio Duplessis, 142 Regent Street, Chicago, desidera fare comunicazioni importanti al signor X. Y. (non si cita il nome per discrezione) che ha rapporti con un ricchissimo industriale testè defunto».
Quest’annunzio, combinato tra me e l’amico Duplessis, non diceva assolutamente nulla al pubblico, ma poteva viceversa dire moltissimo all’interessato.
Pel primo giorno l’esito fu negativo. Ma essendosi ripetuto l’annunzio, il dì seguente il notaio Duplessis ricevette la visita della persona che io appunto cercavo. Una comunicazione telefonica del mio amico me ne rendeva subito avvisato.
Fu mia premura recarmi nello studio del notaio. Duplessis mi disse:
— È uscita or ora la persona che ti interessa.
— Si chiama?
— Fiminoor Agle, abita in via Robert, 124. È dottore in medicina.
— Dottore in medicina? Ciò va a gonfie vele. Che gli hai detto?
— Gli ho detto che il signor Campbell, prima di morire aveva scritto una memoria in suo favore. Non gli ho spiegato di più per non compromettermi e per non aver seccature caso mai egli pretendesse che veramente si fosse trovato un testamento, o ci accusasse magari di averlo soppresso. Dicendo memoria noi alludiamo – casomai – alla lettera lasciata dal defunto.
— Molto bene, sei sempre il sottile e cavilloso Duplessis. L’importante era di avere l’indirizzo di questo signore. Non s’è mostrato stupito nel venire da te?
— A tutta prima, sì. Rispondeva con diffidenza: in seguito io seppi convincerlo che veramente il signor Campbell aveva pensato a lui, ma che non potevo per ora spiegarmi di più… Ma spiega, un po’, Cutt-Hardy, al tuo vecchio amico che significa questa storia misteriosa… Tu credi che quel biglietto lasciato dal Campbell…. Insomma, a quanto mi sembra di capire, non si tratta di una morte per aneurisma, ma di un assassinio…
— Il vecchio Campbell è morto di aneurisma… Ma ora non posso spiegarti, caro Duplessis.
— Comprendo… Tu sei sulla via di ottenere uno dei tuoi soliti trionfi.
— Ti ringrazio intanto del tuo aiuto…
— Se hai ancora bisogno di me, disponi liberamente.
— Non credo… Mi sono sufficienti i dati che mi hai fornito. Addio.
— Buona fortuna, Cutt-Hardy. Leggeremo presto sui giornali la tua nuova scoperta?
— Lo spero – risposi. – Ancora un favore: permetti che io mi presenti a tuo nome dal signor Agle?
— Fa pure… So che il tuo scopo non può esser che nobile e giusto.
Grazie al progresso del giornalismo illustrato, man mano che aumentava la mia fama, aumentavano le difficoltà delle mie scoperte perchè i delinquenti mettevano ogni loro cura nel deludere le mie ricerche.
Mi presentai dunque al signor Fiminoor Agle sotto le spoglie d’un buon giovane di studio notarile.
Fiminoor Agle abitava due piccole camerette al quarto piano, arredate molto succintamente e piene di libri d’ogni genere: se ne trovavano in ogni luogo; lungo le pareti, sulle sedie, sul sofà, in terra, sull’armadio.
— Vengo da parte del notaio Duplessis – dissi.
— Accomodatevi – rispose il giovane dolcemente e senza alcuna apparenza di gioia.
Mi porse una sedia, liberandola dei volumi che si accatastavano sopra.
Era un giovane pallido e serio, con due piccoli baffi castani e due occhi neri e lucenti. La fronte spaziosa dimostrava una viva intelligenza. Mi trovavo evidentemente di fronte ad un individuo superiore, dedito ai gravi pensieri ed occupato in profondi studi.
— In che posso servirvi? – disse Agle, guardandomi distrattamente.
— Voi siete stato stamane dal mio principale? – dissi in tono bonario.
— Sì, dietro una sua chiamata. Che c’è di nuovo?
— Il notaio Duplessis vorrebbe avere più precisi particolari sulla vostra vita, e ciò per ricerche che vi riguardano e che vi gioveranno certamente.
— Particolari sulla mia vita? Ma io non ho alcuna intenzione di rivelarli. Il notaio Duplessis mi disse che il signor Campbell prima di morire aveva scritto una memoria per me. In quella memoria vi saranno certamente tutte le spiegazioni richieste… Del resto tutto ciò mi interessa poco. E non è ancora detto che io debba e voglia accettare un’eredità dal signor Campbell.
— Come? La manna che cade dal cielo osereste rifiutarla?
— Potrebbe anche darsi – rispose fieramente il giovane con un lampo negli occhi. – Trovo strano tutto ciò. Ben volentieri mi sono recato stamane dal notaio, ma non sono disposto a muovermi d’un passo per entrare in possesso di qualsiasi somma che mi venga dal signor Campbell. Ripetete pure questo al signor notaio, nel caso che si tratti di una eredità.
— Io non so veramente di che cosa si tratti – dissi bonariamente, e gettai gli occhi in giro con una mossa significativa.
— Comprendo quel che pensate in questo momento – disse il giovine sorridendo.
— Come? Che penso?
— Voi pensate che io sono un pazzo a rifiutare un’eredità, mentre… non nuoto nella ricchezza. Ma sappiate che io sono indifferente alle ricchezze, ciò che mi importa è la sola ricerca della verità.
In quel momento io pensai di cambiare tattica. Questo giovane non mi riusciva antipatico; era una di quelle figure interessantissime, che seducono anche sapendo che celano qualcosa di misteriosamente malvagio.
Scossi il capo ripetute volte, poi dissi:
— Signore, io vi comprendo. Voi amate la scienza e siete povero; per conoscere la vita forse voi sacrificate molte ore dei vostri più bei sogni… come me.
— Come voi? – disse il giovane guardandomi.
— Sì… io debbo lavorare da mane a sera in un oscuro studio di notaio, mentre il mio sogno è di dedicarmi alla scienza. E mi dedico come posso…
— A che scienza?
— Oh! Voi mi darete del pazzo! – dissi con accento di modestia.
— Dite, dite… Voi incominciate ad interessarmi.
Presi la palla al balzo e proseguii:
— Mi occupo di una scienza che non esiste ancora ed alla quale non ho ancora trovato il nome: una scienza di cui sono il fondatore e l’unico seguace.
Mentre terminavo di pronunciare queste parole, la porta si aprì ed entrò una donna.
— Vi chieggo scusa… ritorno subito… Una povera donna che viene per un consulto…
— Fate pure, dottore – dissi – non ho fretta.
Agle e la donna entrarono nell’altra camera. Il dottore chiuse la porta.
Appena fui solo, io mi alzai e mi avvicinai allo scrittoio di Agle, per gettarvi sopra un’occhiata.
V’erano molti fogli premuti da un libro: presi il libro: era la traduzione d’una opera tedesca del celebre Bünz: «Le deviazioni della volontà». Lo aprii a caso: il volume si aprì spontaneamente a pag. 309, perchè ivi vi era un pezzo di carta messo a guisa di segno. Mi caddero sotto gli occhi queste parole: «d’altronde tutte le mie esperienze fatte in proposito, tendono a dimostrare che qualsiasi individuo, per quanto premunito e scettico, è capace di subire la suggestione purchè questa sia ripetuta… La ripetizione è la base della suggestione lenta. Un pensiero ripetuto diventa atto appunto perchè è ripetuto… Una idea fatta entrare in un cervello deve dare per risultato matematico un atto o fisiologico od esterno».
E più sotto: «Immenso è il potere dell’autosuggestione. Io giungo persino a credere che non solo la maggior parte delle malattie nervose, ma anche molti casi di morte sono dovuti all’autosuggestione…».
Chiusi rapidamente il volume: la porta si era riaperta.
Congedata la donna, il dottore mi chiese scusa e mi disse:
— Qual è dunque la scienza di cui vi occupate e di cui siete il fondatore ed il seguace?
— Voi mi darete del pazzo… È meglio non parlarne, – dissi facendo atto di alzarmi.
— Sappiate, amico mio, che io non dò mai del pazzo a nessuno – rispose il dottore trattenendomi. – Il concetto di pazzia è errato: non vi sono pazzi a questo mondo: vi sono uomini che ragionano differentemente da noi, con una logica diversa: ecco tutto!…
Fingendomi vinto da quella insistenza soggiunsi:
— Ebbene, la scienza che io studio accanitamente da anni, ha per oggetto la trasformazione dell’io.
— La trasformazione dell’io? Non vi comprendo bene.
— Ecco, mi spiego: l’unità dell’io è una assurdità, l’uomo è un aggregato di molti io: una colonia di io. Orbene la mia scienza si applica a far trionfare su una persona un io piuttosto che un altro.
— Ciò che mi dite non mi riesce nuovo; mi riesce nuova invece l’applicazione: perchè volete cambiare la personalità?
— Perchè? Perchè quand’io avrò il mezzo di trasformare la personalità, potrò arrivare a tutto: io posso trasformare il mondo a mio piacimento.
Il dottor Agle mi guardava fissamente e silenziosamente.
— Mi seguite? – dissi. – Quand’io potrò a mio piacimento cambiar l’io dei miei simili sarò il loro padrone.
— Ma con quale mezzo voi potete fare ciò? – domandò bruscamente, quasi con veemenza il dottor Finimoor Agle.
— Con quale mezzo? Ma è ovvio, colla suggestione. È l’uovo di Colombo.
Il dottore si alzò e gridò:
— Ma allora, mio signore, voi non fate che copiarmi.
— Copiarvi? – dissi. – Anche voi…
— Da dieci anni io studio questo problema… La suggestione è la più grande forza della natura: è diffusa nel mondo come l’etere, è l’essenza stessa della vita, è il principio di ogni esistenza, e chi sa condensarla, guidarla, è padrone del mondo… Voi, a che siete riuscito?
— Lo vedete… a nulla… a guadagnare cinque dollari al mese!
— Benissimo… io invece ho già avuto qualche risultato pratico. E che risultato!
— Lo so – risposi con semplicità guardando in viso l’interlocutore, – la morte di Edward Campbell.
Il dottore s’alzò di scatto, mi fissò con due occhi terribili: le sue labbra tremarono, mi guardò stupefatto per qualche minuto, indi disse con voce tremante.
— Come lo sapete?
— Lo so – risposi ancora con semplicità.
— Ma come lo sapete?
— Perchè mi piacque saperlo. Conoscete Cutt-Hardy? – domandai. Mi levai la parrucca, mi struccai.
— Cutt-Hardy! Siete voi! Era dunque un tranello? – ruggì il giovane.
— Chiamatelo come volete, dottore. Ma sedetevi. Voi dunque siete giunto a qualche risultato soddisfacente. Avete nientemeno che provocato un aneurisma a distanza. I miei complimenti. È una bella vittoria per la teoria del Bünz.
— Ma come lo sapete? – ripetè il dottore, pallidissimo. – Voi siete dunque più grande di quanto vi credevo?
— No: ascoltatemi: voi avete assassinato il signor Campbell con un’arma terribile: la suggestione. Questo è un trionfo della vostra scienza, ma è anche una vendetta.
Il dottor Agle incrociò le braccia al petto:
— Sì, è una vendetta! Una vendetta! Ma ascoltatemi, Cutt-Hardy, voi mi comprenderete; voi avete cuore, io lo vedo, io lo sento, ascoltatemi: fu una vendetta, e non me ne pento, e ricomincerei domani se fosse il caso. Dopo mi denuncerete, ma ascoltatemi.
III.
Il dottor Agle si asciugò il sudore che gocciolava dalla fronte e seguitò:
— Campbell era mio padre. A venticinque anni egli conobbe mia madre: io fui il frutto della loro unione libera. Ma appena io nacqui mio padre scomparve, adducendo per motivo la cattiva condotta di mia madre. Mia madre! Io ho adorato mia madre, sempre, io non oso nemmeno concepire il minimo sospetto sulla sua condotta. Era una vile scusa che Campbell tirava in campo per sottrarsi ai suoi doveri, per non riconoscermi. Mia madre, una santa donna che per solo cieco amore si era perduta con lui! L’abbandono fu per lei terribile. Invano supplicò, pianse; invano: era nella completa miseria: non aveva pane nè per me nè per lei. La povera martire morì di dolore e di fame quando io avevo quindici anni, dopo aver per anni ed anni supplicato il suo carnefice. Mi ricordo: un giorno ella mi condusse in casa di Campbell, con un sotterfugio riuscimmo a penetrare nel suo palazzo, io mi gettai alle ginocchia di mio padre… Ebbene? Ebbene, fummo fatti scacciare dai servi… E due anni fa io volli parlargli; volli sapere se in quell’animo indurito si era fatto strada il rimorso: andai da lui con un altro sotterfugio. Egli minacciò ancora di farmi scacciar dai suoi servi. – Vostra madre, disse, era una donna venduta! – Che avreste fatto voi, Cutt-Hardy? Io volli schiaffeggiarlo: non lo feci. La mia vendetta doveva esser più crudele, più raffinata. Campbell doveva servirmi da esperienza psicologica. Io avrei soddisfatto la mia scienza ed il mio bisogno di vendetta. Ed incominciai la vendetta. – Oh! fu una cosa semplicissima. Diedi a mio padre un anno di vita: gli scrissi una lettera in cui l’avvisai che il giorno 13 ottobre, alle ore 3 e 40, egli sarebbe morto vittima di un influsso misterioso, che nessuna potenza di questo mondo avrebbe potuto sottrarlo da una morte certa e precisa.
Il 13 novembre gli scrissi un’altra lettera dicendogli: Vi rimangono ancora 11 mesi precisi di vita. Non ridete, nè disprezzate quest’avviso: nessuna forza potrà impedire che si verifichi un fatto già previsto fin da questo momento. Il mese seguente scrissi: Ancora 10 mesi di vita: per quanto grande sia il vostro scetticismo, voi già dovete sentire nel vostro organismo il progresso del male. Il 13 gennaio scrissi: Ancora 9 mesi precisi di vita. In questo momento la malattia ha già insidiosamente fatto strada nelle vostre vene. Nessuna medicina vi potrebbe salvare. Ed il mese dopo: Ancora 8 mesi vi rimangono della vostra miserabile vita. Non vi sentite di quando in quando un tuffo al cuore? Ma voi ne ridete: non vale, l’assurdo si verificherà; statene certo. Il 13 marzo scrissi: Ancora 7 mesi: Le malattia fa progressi giganteschi; le vostre vene già sono turgide di veleno: non vi sentite battere le tempia? Ed il mese dopo: Ancora 6 mesi! Non avete constatato al vostro cuore un acceleramento di battiti? È la morte che batte precipitosamente alle porte della vostra vita. Preparatevi a morire; se avete qualche peccato, espiatelo. Ed il mese dopo: Ancora 5 mesi, nè un minuto di più nè un minuto di meno. Quale forza sovrumana potrebbe salvarvi? Nessuno, nessuno, potrà annientare il male che progredisce, che vi insidia. Il 13 giugno: 4 mesi! Il 13 luglio: 3 mesi. Già vi sentite a morire, non è vero? Il 13 agosto: Ancora 2 mesi di vita: già non sentite battervi sulle tempia l’ala della morte? Il 13 settembre: 1 mese! E finalmente il 13 ottobre: L’ora vostra è suonata! Alle 3 e 40 precise, voi morrete. Il vostro cuore si spezzerà. Quando la lancetta dell’orologio che tenete sul vostro tavolo indicherà quest’ora fatale, voi vi sentirete un freddo sudore e penserete: tutto ciò è assurdo, reclinerete il capo. Sarà l’ultimo vostro moto! Alle 3 e 40 precise il signor Campbell è spirato!
— Vittima di una assurdità, dottore.
— Sia pure, di un’assurdità.. ma la suggestione è appunto una forza che rende logica l’assurdità. Ed ora denunciatemi, se ne avete il coraggio, signor Cutt-Hardy.
— Il vostro delitto non è contemplato dal nostro codice; sarebbe inutile una denunzia, dottore. Ma vi consiglio di cambiare città, per non cader nelle mani del nipote. Egli amava molto suo zio…
— Ed io compiango questo giovane, questo mio cugino… ma io dovevo vendicarmi, lo dovevo, mi capite? Anch’io ero a mia volta sotto l’impero di una suggestione terribile. Non avrei potuto agire altrimenti. Attendevo con un’ansia mortale l’esito della mia terribile esperienza. Se questa fosse fallita io non avrei più creduto alla scienza. Se Campbell non muore all’ora indicata, io rinunzio ai miei studi. Campbell è morto: pensavo, ma non son io che l’ho ucciso. Il suo rimorso l’ha ucciso: il fantasma di mia madre l’ha trascinato all’ora fatale nella tomba. Voi avete ragione: io andrò lontano, nè mai più mi vedrete. Il dottore mantenne la parola.
Fine.
Nota del traduttore
Herbert Bennet deve la sua nomea brillante di romanziere a Kutt-Hardy. Frequentatore assiduo, insieme a pochi altri intimi, delle serate di Kutt-Hardy egli ha udito dalla viva voce dell’eroe le avventure che traduciamo, avventure interessantissime che hanno appassionato il pubblico americano e che hanno valso al Bennet una fortuna invidiabile.
Kutt-Hardy è veramente il rivale di Sherlock-Holmes, anzi noi opiniamo che il metodo di indagine poliziesca sia molto più logica e sicura in Kutt-Hardy che non in Sherlock-Holmes. Questo personaggio dovuto alla fantasia veramente straordinaria di Conan Doyle è un poliziotto dilettante troppo intuitivo. Le sue trovate hanno troppo del provvidenziale e del mirabolante. Sherlock-Holmes, indovina troppo, deduce troppo poco. Ecco perchè Kutt-Hardy è per certi aspetti superiore al suo maestro, se pure Sherlock-Holmes si deve considerare come maestro del nostro poliziotto.
Le novelle che noi pubblichiamo in questa prima serie sono quasi tutte rapidissime: Bennet non si diffonde in descrizioni noiose ed inutili: egli dà, in poche pagine la materia di interi romanzi ed il lettore vi si diverte ed appassiona senza un minuto di sosta.
Questa prima serie delle avventure di Kutt-Hardy sarà senza dubbio letta avidamente in Italia, per modo che noi prepariamo con sicurezza la traduzione della seconda serie.
Il Traduttore
nota 1 – Nonostante il titolo e l’introduzione usino la grafia “Kutt-Hardy”, per tutto il resto del testo si trova invece Cutt-Hardy. Abbiamo quindi mantenuto questa particolarità ortografica, come abbiamo mantenuto anche altre particolarità ortografiche e di punteggiatura dell’autore – che, come è noto è l’italiano Giovanni Bertinetti, cosa che può evincersi persino dallo pseudonimo usato, che è parzialmente anagramma del vero cognome – limitandoci a correggere alcuni evidenti refusi come semplicisssimo/semplicissimo, evidentemenle/evidentemente, scienzato/scienziato. [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La pagina 309
AUTORE: Bertinetti, Giovanni [Herbert Bennet]
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Il rivale di Sherlock-Holmes / di Herbert Bennet. - Torino : S. Lattes e C., 1907. - 163 p. ; 19 cm.
SOGGETTO: FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti