(voce di Luca Grandelis)

Siamo continuamente a caccia di ciò che è oggettivo e universale (democrazia, economia, religione), tanto che – quando non riusciamo a propinare teoreticamente le nostre convinzioni – le «esportiamo» con le armi.
Neanche la musica sfugge a questa attrazione. «La musica è universale?» si domanda Philip Ball nel suo L’istinto musicale (ed. Dedalo, 2011). Tuttavia, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare leggendo il sottotitolo, la musica sembra singolarmente refrattaria ad ogni tentativo di reductio ad unum. Infatti, a guardarle abbastanza da vicino, tutte le convinzioni che credevamo consolidate al riguardo vengono meno: culture diverse fanno musica in maniera diversa. Non è solo una questione di stile: cambiano le note, gli intervalli fra le note, perfino l’estensione dell’ottava non è uguale per tutti (si riteneva che l’ottava fosse qualcosa di «naturale» – alcuni continuano a farlo, anche se erroneamente: il libro spiega perché).
Dati di fatto che portano Ball a concludere che la musica non esiste affatto in maniera oggettiva fuori di noi (e noi non siamo delle macchine evolutivamente attrezzate per recepirla e fabbricarne di simile), ma è una costruzione della mente dell’uomo: la musica non è una sequenza di eventi acustici organizzati, ma una attività cerebrale basata sulla percezione, sul controllo, sulla ricostruzione e perfino sull’anticipazione (il nostro cervello calcola il probabile sviluppo della melodia ad ogni istante dell’ascolto).
La musica è dunque «naturale» soltanto nel senso che l’uomo è naturalmente in grado di interessarsene fin dalla nascita (perfino i neonati sembrano in grado di distinguere certe caratteristiche musicali). Ma non vi è alcuna musica che esista al di fuori o addirittura in assenza della mente umana: la musica – verrebbe da dire con le parole di Einstein sull’osservazione quantistica – è «una faccenda carica di teoria».
Quello di Ball è uno studio che spazia dalla teoria alla storia e alla filosofia della musica, passando per la psicologia della Gestalt. Tecnico quando occorre, ma scritto con grande chiarezza (supportata fra l’altro dall’abbondanza di grafici, tabelle e riquadri esplicativi) e con uno stile che invita alla lettura e sa quando catturare l’attenzione con aneddoti ed esempi (come quello del Miserere di Mozart), L’istinto musicale è interessante per il suo contributo alla nostra conoscenza (sovente limitata dalla nostra prospettiva culturale) della musica come «concetto umano» (e non come «fenomeno naturale»).


P. Ball, L’istinto musicale. Come e perché abbiamo la musica dentro, ed. Dedalo, 2011, pp. 508, euro 22.

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Paolo Calabrò
Laureato in scienze dell'informazione e in filosofia, gestisco il sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Ho collaborato con l'Opera Omnia in italiano di Raimon Panikkar. Sono redattore della rivista online «Filosofia e nuovi sentieri» e membro dell'associazione di scrittori «NapoliNoir». Ho pubblicato in volume i saggi: – Scienza e paranormale nel pensiero di Rupert Sheldrake (Progedit, 2020); – Ivan Illich. Il mondo a misura d'uomo (Pazzini, 2018); – La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell'umano di Maurice Bellet (Il Prato, 2014); – Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne (Diabasis, 2011) e 5 libri di narrativa noir: – Troppa verità (2021), romanzo noir di Bertoni editore (2021); – L'albergo o del delitto perfetto (2020), sulla manipolazione affettiva e la violenza di genere, edito da Iacobelli; – L'abiezione (2018) e L'intransigenza (2015), romanzi della collana "I gialli del Dio perverso", edita da Il Prato, ispirati alla teologia di Maurice Bellet; – C'è un sole che si muore (Il Prato, 2016), antologia di racconti gialli e noir ambientati a Napoli (e dintorni), curata insieme a Diana Lama.