La libertà
di
Cesare Pavese
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L’amico Alessio mi confessa che non ama i bambini. Non perché siano seccanti, mi dice, ma perché soltanto a guardarli si capisce che vivono in un mondo che non è il nostro e vedono sentono ascoltano tutt’altro che noi. Qui sulla spiaggia ce ne sono molti; parliamo, beninteso, di quelli che hanno piú di tre anni, che vanno, che giocano per conto loro. Ce ne sono dei deliziosi, specialmente i biondini; qualcuno strilla, fa lo sciocco, scappa. Ma qualcuno, a volte, si ferma, ritto davanti al mare, guarda la sabbia, la tenta col piede nudo, oppure si siede in attesa: sono queste le pose che arrestano Alessio.
Un vero livore gli danno i piú grandi verso i sei, gli otto anni. Perché questi non soltanto vivono a modo loro ma sanno anche rendersene conto, e lo squadrano dall’alto in basso, valutandolo. I piccini, se non sono convinti della sua faccia, tutt’al piú scappano o si mettono a strillare; ma questi altri non cedono, non hanno motivo di cedere: lo guardano o, peggio, di guardarlo non si degnano.
— E adesso che cosa farai, – dice un giorno a mio figlio, che s’era appeso a un ramo trasversale d’ulivo e non sapeva piú né tornare al tronco né lasciarsi cadere. Finí che si lasciò cadere e poi finse di non potere piú drizzarsi e cominciò a mugolare, e Alessio senz’avvicinarsi lo guardò tra spaventato e astioso.
— Ci ho gusto, – si dissero a vicenda, Alessio con rabbia, e l’altro saltando in piedi, ma fu Alessio che rimase male.
Alessio è sposato ma non ha figli. Sua moglie racconta alla mia che non fanno nulla per non averne. Sono convinto che se avesse un figlio non ci vedrebbe piú che per i suoi occhi, ma tant’è, non ce l’ha, e passa il tempo a odiarne la razza.
— Non è che gli voglia male, – mi disse una volta. Ne avevamo davanti tutta una banda che confabulavano giocando a carte sulla sabbia. – Guarda che facce. Sembrano giocatori di professione. Quello che spaventa in questa gente è che, non essendo responsabili, si comportano come se lo fossero. Perché quello lí magro si è legato il fazzoletto a piegabaffi? Non è soltanto imitazione. Hanno altri motivi. Non li sanno neanche loro. E quando saranno uomini agiranno in conseguenza.
Effettivamente, quando passeggiamo con Alessio, la spiaggia che un momento prima era soltanto baccano e serenità, si trasforma in un limbo di anime inquiete, di attimi silenziosi che isolano ciascuno, piccolo o grande, e gli dànno un’angoscia, un disagio che non appaiono a fiore del volto ma si ricorderanno.
Parlavamo dei bambini. E Alessio è ossessionato dall’idea che, nella sua incoscienza, ogni bambino va sperimentando e auscultando dentro di sé gli istinti, le velleità, le voci che seguirà una volta adulto. Secondo Alessio è mostruoso che in un’età di mero gioco, di umori e capricci irresponsabili, si vada formando, come si forma sott’acqua un corallo, tutto lo schema del contegno futuro. S’infervora in questo discorso. Evidentemente parla di sé.
Mio figlio non ha l’aria di tendere l’orecchio alle voci dell’istinto. È un poco canaglia e burlone, ma non ha doppi fondi. Pensa soltanto a divertirsi e a fare i tuffi. Alessio dice che a sette anni lui era tale e quale.
— Vedi, – mi spiega, – non è che in quest’età si abbia coscienza di se stessi, e si ragioni sui propri atti per chiarirsene il valore. È evidente. Non per niente i ragazzi vivono in un mondo diverso dal nostro. I ragazzi non pensano, agiscono. Per questo si chiamano istintivi. Ma è proprio questa scelta innocente che avviene dentro di loro: per esempio davanti a un pericolo, uno piange, l’altro scappa, l’altro si butta a terra, l’altro fischia; e loro non lo sanno, ma, uomini, faranno lo stesso.
— Macché. E la libertà?
Alessio dice che della libertà se ne infischia e che non vuole sentirne parlare. Ha di queste uscite brusche; e poi, magari dopo mezz’ora, ritorna sul discorso e tende a scusarsi. Ciò gli succede anche con la moglie, che ha l’aria sempre un poco spaventata. – Alessio, – lei dice, – per voler bene ha bisogno di agitarsi. Poi se ne vergogna –. Mia moglie che la conosceva prima del matrimonio, come io conoscevo Alessio, seppe da lei una truce storia di stravizi cui l’amico si dava a ogni intoppo del loro amore. Anch’io ne ero al corrente, ma non l’aveva mica detto a me l’amico che l’amarezza degli stravizi gli serviva a farsi perdonare e redimere dalla fidanzata. Alessio ha gli occhi azzurri, e quand’è avvilito non si può senza commuoversi vedere come li rivolge distratto. E lui lo sa.
L’altro giorno che punii mio figlio perché aveva fatto non so che, Alessio mi chiese: – Dove va, adesso?
— Va sotto la scala a fare il cane bastonato, – risposi. Lui allora, uscendo con me, prese a raccontarmi che quand’era bambino di sei-sette anni faceva lo stesso. – Certe volte ero contento se mi picchiavano, perché cosí mi sentivo disperato e potevo guardare fieramente il cielo, o rinchiudermi col gatto sul balcone e piangergli sulla schiena. Nessuno sapeva che in quel momento tutti i miei, e il paese, e il mondo intero, esistevano soltanto per torturarmi e che questo piacere era cosí grande che non l’avrei cambiato con i baci di nessuno. Potevo farlo allora, era una cosa innocente. Ma chi si accorga di ripeterlo a quindici anni, a diciotto, a venticinque, e nell’avvilimento si lasci andare come una spugna nell’acqua, è ancora un innocente, o è un disgraziato? La natura non si smentisce.
— Diciamo che è un sentimentale.
Alessio storse la bocca. – C’era dei giorni che dicevo «Sí, papà» e intanto pensavo come sarebbe stato bello levargli la cravatta e scannarlo. Questo ti sembra sentimentale?
— Evidentemente.
Ma Alessio sa che scherzo volentieri, e non si offese. Mi disse invece che mio figlio stava assaporando in quegli istanti le sofferenze di tutta la vita futura. Eravamo sulla spiaggia e mi distrassi a guardare i corpi distesi. C’era un gruppo di ragazzi che discutevano qualche loro gioco; riconobbi parecchi amici di mio figlio, ma lui non lo vidi. Cercai mia moglie: era distesa prona sulla sabbia e si rosolava le spalle. Scambiai ancora qualche parola inquieto; poi non mi tenni piu. Dissi ad Alessio di aspettarmi all’ombrellone e tornai a casa.
Ricordo che a Guido avevo dato un secco schiaffo in pubblico, mantenendo il viso impassibile come usa in questi casi; e lo schiaffo era stata la conclusione di un lungo armeggío di occhiate tese intercorso tra noi. Già la sera prima c’era stata tempesta per un’altra monelleria, e ormai capivo che il ragazzo poteva anche trovarsi nello stato d’animo descritto da Alessio. Lo cercai nel cortiletto, nella casa vuota – le camere disordinate e spoglie di quando si è tutti alla spiaggia. Vidi i suoi calzoncini su una sedia, ma lui non c’era.
Infastidito ma col cuore che batteva, stavo per uscire, quando udii uno scricchiolio nel cortile. Levai gli occhi. Come non l’avevo veduto prima? Mio figlio se ne stava appollaiato sul tetto del cesso con le ginocchia sotto il mento, e guardava non guardava me e la strada. Abbronzato com’era aveva un viso impassibile.
— Che fai? – gli chiesi.
Guido lasciò passare un istante e rispose con un grugnito.
— Perché sul cesso?
— Niente.
Si guardò con ostentazione le punte dei piedi. Io non sapevo piú che dire; soprattutto non volevo che capisse che ero venuto a cercarlo.
— Tua madre ti cerca, – dissi.
Guido sorrise sdegnoso. Un sorriso che, cosí di sotto in su, non gliel’avevo mai veduto.
— Non vai a fare il bagno?
— Lasciami stare, – brontolò Guido, e quel sorriso dileguò nel semplice broncio che conosco. Non soltanto sdegnoso ma nel lampo degli occhi c’era stato qualcosa di crudele, di cattivo. Sapevo bene che a parlargliene l’avrei soltanto fatto mentire. E perciò mi accontentai di pigliarlo con le buone e di dirgli che venisse a giocare e aiutarlo a scendere.
Ricordo che Guido fu caritatevole e non ebbe l’aria di trionfare per la sua vittoria. Ma questo è proprio nel carattere descritto da Alessio.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La libertà
AUTORE: Pavese, Cesare
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze
TRATTO DA: Racconti / Cesare Pavese. - Torino : Einaudi, [1994]. - 525 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)