La lampada spenta.
di
Alfredo Panzini
tempo di lettura: 7 minuti
Come è rimasta deserta la casa della nonna poi che è partito Max!
Ci si sente la voce del silenzio.
Max non l’ha neppur salutata la nonna, e si capisce perchè. Era felice: partiva in vapore col papà e con la mamma, e aveva una scatola di cioccolata. Ma quando fu in treno e finì la cioccolata e si stancò di vedere dal finestrino gli alberi fuggire domandò: “Siamo arrivati?”.
Max ha sei anni, e ignora le distanze.
La nonna è ritornata dalla stazione a casa con la bàlia e il fratellino di Max: una cosa ancora senza nome, che ondeggia candida sopra la spalla della bàlia.
Una vecchia casa di provincia, con architrave marmoreo dove è romanamente scolpito così: non ad iactantiam sed ad urbis decorem. I ciuffi dell’erba vetriola ombreggiano quella romanità. Le stanze sono maestose. Sopra le bussole delle porte vanno sbiadendo stemmi con vane leggende, oramai.
Il carretto di Max scorrazzava per quelle stanze.
Perchè «Max?». I genitori due anni fa lo portarono dalla gran città alla nonna con quel nome. Due anni fa la nonna tirava Max sul carretto per gli stanzoni. Anche quest’anno Max pretendeva che la nonna tirasse: ma la nonna non può.
— Perchè non mi tiri più, nonna?
Max ha sei anni, e ignora il tempo.
Ora il carrettino è lì abbandonato.
Vicino al carrettino giace inerte una barchetta vera, con la polena e due stelle comete. Odorava di pece e di resina. Con gran letìzia Max e compagni su la riva del mare la avean varata nella bella estate, e avean navigato con festose grida: «a Pola, a Trieste, a Fiume!» perchè essi conoscevano la geografia come il tempo, e come la distanza.
⁂
Ma la giovane bàlia in quel silenzio dell’antica casa si annoia. Deve svezzare il piccino dal latte, e perciò più che può sta lontana.
Sta nella scura cucina, e sopra l’acquaio estrae dal busto la mammella. Preme con le scure dita l’una e l’altra mammella, e mira con indolenza che pare lascivia, il latte scorrere sul viscido acquaio.
La nonna un po’ sorregge il bimbo nei primi passi per le grandi stanze. Ogni tanto il bimbo getta qualche grido gaio. Ma il silenzio dagli angoli lo rimprovera.
Ma il più del tempo la nonna tiene il bimbo davanti a sè, sopra un trapuntino, sopra il tavolo da lavoro.
Gli occhi della nonna guardano negli occhi del bimbo: quegli occhi liquidi mobili tondi dei bimbi, che girano attorno nello stupore della interrogazione, e pare che sappiano tutto.
Dietro i vetri chi è? Un passero che ha freddo. Dietro ai muri chi è? Il bimbo pare risovvenirsi: gonfia le gote. «Uf uf!» «Sì, il treno. Il babbo, la mamma, Max che sono lontani». E più lontano ancora chi è? Quelli che vivono in enigma.
La nonna ha insegnato al bimbo a piegare la manina e fare «addio». Fa vorticosamente «addio». Sorride. «Addio, addio, addio a quelli che sono lontani, e vivono in enigma.»
«E quello chi è?»
Sul comò, allo scendere della sera, una lampada ad olio svolge le carezze della pura luce entro le linee di una testa piegata, coronata di spine. È un gran Cristo spirante, chiuso entro una teca.
La balia, che non ha fatto scuole, non vuole entrare nella stanza della nonna dove c’è quella testa spirante. Ha paura. La nuora, che ha fatto molte scuole, non poteva vedere quel Cristo spirante. «I vivi, – ella diceva, – vogliono camminare, oggi, senza la compagnia dei morti. E l’olio, – aggiungeva, – si dà ai mobili e non alle lampade.»
Ma il bimbo non ha paura. Sorride. Fa con la manina «Addio, addio, addio!» a Colui che è effigiato or come infante, or come uomo trafitto e coronato di spine.
E ogni sera che il bimbo si addormenta, la nonna gli canta una vecchia nènia in cui risuona la voce di quaranta anni fa, quando così, similmente, addormentava nella cuna il figlio suo. Et libera nos a malo! Tutti gli angioli e i cherubini con le teste bionde e con le spade sono attorno alla cuna. O vane spade, o dolci fantasmi biondi del cielo! Grosse lagrime scendono giù per il volto del Cristo spirante.
⁂
Quando venne il novembre, il babbo è venuto a riprendere il bimbo.
Nella solitudine della notte, la nonna udì il sibilo del diretto.
Allora ella si levò piano: la vecchia fantesca dormiva; il bimbo dormiva; la balia sonnacchiava con le mammelle bagnate.
La mamma preparò al figlio il caffè. Stava in ascolto: sentì il passo di lui frettoloso nella via. Andò ella stessa ad aprire. «Il bimbo sta bene,» «Max, bene; andrà alla scuola dell’abicì; la nuora pure sta bene.»
La mamma versò al figlio il caffè così come quando, tanti anni fa, lui tornava al mattino dall’Università, dalla scuola del grande abicì. Allora aveva i capelli biondi: ora qualche filo bianco. Ma è ancora la vecchia tazza del caffè sul vecchio comò, e la mano che gli porge la tazza è ancora la stessa mano: ma un po’ più tremante.
La campanella lontana cantò ancor mattutino, e l’alba si svegliava nel cielo.
La mamma domandò al figlio se si sarebbe fermato tutta la settimana.
Oh, povera mamma, fuori del mondo! E gli affari? Appena sino alla sera si sarebbe fermato.
Poi quando il bimbo fu desto e lavato, la nonna lo vestiva: le calzine bianche, la camicina di bucato: le scarpine nuove, le prime scarpine.
— Cinque lire. E le suole sono cartone schietto!
— Si vede che anche in provincia i calzolai hanno progredito.
— La balia vuole il baliatico da mandare a casa; più un mese per il primo dentino.
— La balia è una perfetta contabile.
— Le volevo regalare due mie camicie di tela fine. Non le ha mica volute! Sono all’antica, – dice, – ancora coi bottoni. Eppoi non sono nuove….
— Conosce i suoi diritti.
— Poi hanno mandato questa carta delle tasse della casa. Mi pare che abbiano aumentato….
— Vuoi, cara, che diminuiscano?
— La casa avrebbe bisogno di qualche riparazione.
— Credo, mamma, che se cadesse, sarebbe un’economia.
— C’è anche il conto della rilegatura di quegli orecchini di tua moglie.
Poi quando il bimbo fu vestito, la nonna gli cantava la preghiera. Il figlio fumava.
— Panem nostrum quotidianum da nobis hodie, – diceva la madre.
— E poi? – diceva il figlio. – Che se ne fa del pane oggi la gente? Mi guardi, mamma? È una bella preghiera, ma ha fatto il suo tempo. Andava bene al tempo di Cristo quando non usava il shampooing, non usava la lima per far le unghie aguzze. Ed dimitte nobis debita nostra! Va alla banca a pagare un effetto col dimitte nobis….
Il bimbo rideva.
— Vedi, mamma, che ride anche lui? Non te ne avere a male, mamma. Oggi tutta la morale è ridotta ad una semplicità elementare. Occorre tanto pel bilancio. Come? Non so. Come si può. Occorre tanto.
— Non è bello quello che tu dici, figlio!
— Te la prendi con me? che c’entro io? È il bilancio! Il numero delle voci del bilancio è spaventoso. Metti poi due figli nel bilancio, un terzo in viaggio; e poi invece di prendertela con me, dirai che io sono più che bello, eroico!
⁂
Sono partiti alla sera. La nonna li ha accompagnati alla stazione.
Nell’attesa del treno, il bimbo si è addormentato su la spalla della nutrice.
— Non lo svegliare, – disse la madre al figlio. – Quando si sveglierà, non si ricorderà più. Sta attento alle arie del finestrino. Nella valigia grande vi sono i savoiardi, c’è la bottiglietta del brodo. Tutti i calzettini di Max sono stati accomodati.
E altro non aveva da dire.
Che cosa altro dire?
Quando i figli si allontanano senza gli Iddii, noi non abbiamo più niente da dire ai figli.
Il treno arrivò.
Voi non tremate quando il nero treno arriva? Buon segno! Ciò vuol dire che quelli che sono partiti, sono anche tornati.
Le ruote insensibilmente si mossero e dallo sportello la mano del figlio si staccò dalla mano della madre.
— State in pace, – ella disse.
E il treno sparì nella notte.
⁂
Ed ella ritornò alla sua casa sola, e finchè la sua mano era viva, versò l’olio nella lampada.
Bellaria, estate 1917.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: La lampada spenta
AUTORE: Alfredo Panzini
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle d'ambo i sessi / Alfredo Panzini - Milano : Treves, stampa 1920 - VIII, 186 p. ; 17cm.
SOGGETTO: FIC000000 FICTION / Generale