Pubblichiamo una recensione di Alessandro Cartoni del romanzo “Tornerai ogni mattina” di Samuele Galassi (ed. Cento Autori, 2008)
Il romanzo d’esordio di Samuele Galassi, Tornerai ogni mattina, (edizioni Cento Autori,15 euro) riesce ad imporsi, nonostante la mole delle pagine e uno sbiadito plot noir, proprio grazie ad una forte essenzialità linguistica. Il minimalismo spaesante di Galassi riverbera a fondo, come una specie di lente deformante, le zone abusate della nostra quotidianità (nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’esistenza), rivelandone gli elementi alienanti, nevrotici, massificati, soffocanti, perturbati e perturbanti.
In sé la storia potrebbe anche essere banale: Agostino Roi rappresentante di articoli d’ufficio, è stanco di un rapporto di coppia (con la moglie Margherita) che lo consuma a poco a poco. Stremato, decide di uccidere «Marghe», titolare di una agenzia di viaggi, ma questa, come in un film di cassetta degli anni Ottanta, il mattino dopo è ancora nel letto, viva e vegeta, e tutto ricomincia come prima. Ogni volta da capo.
Quello che colpisce, ovviamente, è la personalità di Agostino, integrato solo in apparenza nella sua vita borghese, ma in fondo distante da tutto e anche un poco dalle sue scelte. Non bisogna però farsi sviare dal carattere timido, quasi diafano del protagonista, perché Roi esprime un sarcasmo al vetriolo quando guarda la vita e il mondo, se stesso e gli altri. Il suo essere continuamente alla ricerca di un ordine (l’ossessione dei notiziari Onda verde), di una forma di pulizia (l’amore per il cloro e le piscine), la curiosità per la vita degli istinti (la visione dei documentari sugli animali sui canali a pagamento), la passione per gli stereogrammi (che rivelano in occulto il segreto disegno della vita) ce lo rendono in definitiva simpatico E se è vero che la sua ossessione tanatologica gli fa sfiorare la personalità psicotica, è altrettanto vero che la sua personalissima analisi dei comportamenti degli altri – a partire da quelli della moglie Marghe e di Manuel, suo amico commercialista – rivela al contrario una potente e insperata vis filosofica.
In effetti di Roi si può dire tutto ma non che manchi di visione filosofica delle cose come quando annota: «I luoghi di cui si parla nei servizi dedicati alle vacanze e quelli di cui si parla nei servizi dedicati agli incendi, alle esplosioni e alla stragi sono gli stessi, e contemporaneamente è come se si trovassero su universi diversi, paralleli. Si va al mare nelle spiagge dove la notte vengono raccolti i cadaveri dei clandestini, si sguazza nelle piscine degli agriturismi a due passi dai boschi in fiamme, si nuota negli atolli dove sono stati fatti esperimenti nucleari, si viaggia verso la villeggiatura sfrecciando accanto ad ammassi di corpi e lamiere, si fa il trenino nella sala da ballo della nave durante la crociera, mentre la prua fende nere distese di petrolio tra cadaveri di pesci e gabbiani. Sono mondi che si sfiorano senza mai toccarsi: proprio come nei telegiornali, dove i servizi sono infilati uno dopo l’altro, e non sembrano pezzi dello stesso puzzle. Il mondo è complesso, il mercato è isterico, il tempo è schizofrenico».
È dunque questa naturale attenzione alla complessità a fare di Agostino un soggetto attento ma «superfluo» come lui stesso dice di sé, oppure analitico ma «bamboccio», come lo qualifica la moglie, o anche cazzuto ma «fuori moda» come lo vorrebbe il suo commercialista Manuel che è invece l’esempio del Peter Pan patetico alla ricerca dell’eterna giovinezza. Con la consapevolezza un po’ pirandelliana che la realtà nulla altro è se non una «pupazzata» gigantesca dove ognuno di noi gioca un ruolo prestabilito e veste una maschera sociale, Roi può dire in faccia ai suoi «istruttori di realtà»: «Non sono io che non riesco a vedere le figure negli stereogrammi. Sono gli altri che non riescono a sfocare la realtà fino a vedere che non è altro che una distesa piatta e confusa di puntini colorati».
Dalla buona lezione di stile di Galassi, si stagliano con efficacia allegorica le situazioni grottesche dei due ciccioni in piscina, dei dialoghi con la sorella, Michela, dei litigi furiosi e sarcastici con Marghe, delle passeggiate sulla riviera a Ferragosto coi fuochi pirotecnici, oppure ancora della festa in piedi a casa di Manuel dove ognuno è chiuso in una solitudine delirante e sembra far capolino il ricordo di personaggi allucinati alla Bret Easton Ellis.
Illuminante in questo senso un microdialogo con la sorella Michela «Come ti trovo. In realtà mi sembra proprio di non trovarti. Come se fossi altrove. Dove ti trovi esattamente?» Per un attimo mi trema impercettibilmente il mento. Alzo una mano verso il braccio di Michela, le stringo piano l’omero affettuosamente. «Un po’ qui e un po’ là. Sparpagliato nel tempo».
Alla fine rimane in bocca il sapore malinconico e quasi nichilista di un’estate che non finisce, che non riesce a finire, che galleggia sulla superficie delle cose e le scolora, togliendo loro lo spessore abusato e rivelandone però la sostanza autentica. La quale tuttavia ha molto a che fare con le zanzare e con la putrescenza del mondo contemporaneo, con la nostra ignavia, e con la grande insensatezza che ci circonda.
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