I racconti che sono presentati in questo libro non sono chissà che cosa, e non pretendono certamente di cambiare il mondo ma cercano solo di cogliere qualche piccolo e insignificante aspetto nascosto tra le pieghe della realtà, o dimenticato nelle tasche di qualcuno che anche lui cerca un posto dove andare e dove riconoscersi.

Per questo ho intitolato questo libro di racconti “interstizi”, che è una parola di uno di città, ma mi sono poi sentito in dovere di aggiungere il fatto che sono storie, narrazioni e fantasie come quelle che una volta si raccontavano in famiglia alla sera davanti al fuoco.

Lo stimolo per la scrittura è quasi sempre offerto dai luoghi. Quando si vive in un contesto e si osserva con occhio nuovo quello che accade, come sono e come operano le persone, che significato hanno le cose che fanno parte della loro vita, le loro abitudini, il rapporto delle persone con gli ambienti e con le emozioni, si riescono a cogliere aspetti della realtà che prima ti erano sfuggiti, a cui sembra non ti eri mai interessato. Nel caso di questi racconti i luoghi sono quelli dei paesi, delle campagne, delle colline, luoghi dove la città è qualcosa di cui si sente parlare ma è lontana, è complicata, è difficile da vivere. I luoghi si caratterizzano per una identità che si costruisce nel tempo e che spesso fa riferimento a un centro costituito da una piazza, da una chiesa, da un municipio a cui si può aggiungere una panetteria o un bar, come dice l’antropologo Marc Augé “dove gli itinerari singoli si incrociano e si mescolano, ove le parole si scambiano e le solitudini si dimenticano per un istante”.

In questi luoghi gli interlocutori sono i paesani, i contadini, i negozianti, gli artigiani e gli amministratori dei paesi, persone che ritengono che quelli siano i luoghi della loro vita. Ma può anche capitare di incrociare in quei luoghi persone che sono lì per lavoro o per caso, che magari stanno cercando una casa in campagna o l’hanno già trovata e che pur trattando e dialogando con le persone del posto, sono in qualche modo estranei, sono persone che non sono perfettamente in sintonia, che non sono allineati, non combaciano. E allora ti rendi conto che esistono spazi vuoti, che non sono di un mondo e neppure di un altro e che però si intrecciano, interagiscono e con la loro presenza ti fanno comprender cose che uno sguardo veloce e affrettato non ti avrebbe mai fatto cogliere.

Tutto nasce dal fatto che si dà sempre quasi tutto per scontato. Uno di campagna va in città come se niente fosse e poi si trova perso per le strade a senso unico, per i divieti, per le macchine che frenano improvvisamente e poi ripartono quando il semaforo sta diventando rosso, per il fumo, per il caldo o per le strade ghiacciate d’inverno. Ma anche uno di città che va in campagna gli sembra tutto facile, ma poi si trova perso se chiede indicazioni per trovare un negozio o una casa. Oppure va a una festa di paese e pensa di sentire le musiche che lui ama sentire nei locali di città e si trova una banda scassata con fisarmoniche e batterie. Pensa che i cani siano come quelli che vede nelle strade del suo quartiere che escono fuori a guinzaglio a fare i bisogni che il loro padrone diligentemente raccoglie e mette in un sacchetto e invece assiste a furibonde lotte dove spesso qualcuno ci lascia la pelle. Ma anche le persone, come si vestono e come mangiano, le cose di cui si interessano quelli di città e quelli di campagna possono generare disorientamento gli uni per gli altri.

Si può dire che tra i due mondi esista comunque qualcosa che li unisce ma ne segna al tempo stesso le differenze, ci sono delle minime soluzioni di continuità, delle piccole intercapedini, delle intersezioni, appunto. Che mettono in rilievo realtà diverse, culture diverse e tempi diversi che possono essere intesi come fasi di una transizione in corso o come segni di mondi diversi.

L’antropologo Marc Auge nel cogliere i segni della transizione, della trasformazione del passato verso la modernità ha scelto il termine di non luoghi, indicando alcuni spazi che sono generati dalle città in fase di evoluzione, ma non sono ancora città e non sono più campagna.  Come, ad esempio, i terreni incolti tra gli svincoli autostradali di cui ha scritto il paesaggista Gilles Clément, o i parchi a tema o quelle sfilate di supermercati o di outlet costruiti uno accanto all’altro su una strada d’ingresso degli abitati dove l’unica cosa che si può fare è arrivare in macchina parcheggiare e comprare.

I non luoghi sono generalmente attribuiti alla città, ma possono anche essere attribuiti a luoghi in trasformazione nelle campagne, dove i paesi sono lontani dalle autostrade e dalle linee ferroviarie, quei luoghi che la nuova antropologia chiama aree interne o paesi marginali, dove si svolgono storie che sembrano appartenere ad altri mondi. Come quelli descritti da Arminio, dal paesologo, che racconta di luoghi che si stanno trasformando e si collocano in una strana posizione perché assorbono dalla città modi di consumo e linguaggi ma sono nell’anima profondamente diversi, hanno conservato ancora qualcosa di antico, di un passato che aveva una solida identità e che, spesso, la sta perdendo.

Sono luoghi, persone e cose che hanno qualcosa dentro che deve essere colta con sensibilità e ironia, perché gli abitanti di quei paesi e i pochi contadini rimasti sono persone che guardano le cose, pensano, hanno sentimenti, emozioni che possono esprimere con animazione ma, in quel gioco di dare e avere che hanno con la città, non possono che esprimere con un certo distacco, segnando le differenze ma non attribuendogli particolare importanza.

Questi luoghi conservano ancora un rapporto particolare con la natura, con la vita degli animali, degli insetti e delle piante e questa dimensione vitale consente e facilita il fatto che le persone si comprendano reciprocamente e sentano di appartenere a un paese grande dove i paesaggi, comunque, ti prendono l’anima e ti fanno respirare, sia nei boschi e nei torrenti che su per le montagne o per le colline segnate dai filari di vite o nelle piane coltivate a riso o granoturco.

Ecco, i racconti di questo libro nascono da questi spunti di comprensione e incomprensione reciproca, dal fatto che il senso ecologico delle persone di città e di quelle di paese può avere punti in comune ma anche punti di partenza e di arrivo diverso, che i riferimenti culturali sono sfasati come temi e come cronologia.

Sono racconti, di paesi, di persone e di cose così, che hanno tra loro minime soluzioni di continuità, piccole intercapedini che, per chi viene dalla città in campagna (ma non escludo l’inverso) significa rendersi conto che esistono cose diverse e modi diversi di vedere le medesime cose.

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Cristiano Buffa
Cristiano Buffa (1949), attualmente è impegnato nella promozione di progetti di rete intercomunali finalizzati alla promozione del territorio. Esperto di architettura dell’informazione, già consulente e imprenditore nel settore della comunicazione con particolare riferimento alla progettazione di ecosistemi in cui risulta significativa la valorizzazione dei contenuti e la corretta interazione tra attori e contesto. Ha curato la riorganizzazione e l’attività editoriale dell’Archivio Storico Fiat ed è stato responsabile del settore comunicazione e immagine di Fiat Corporate; è stato altresì docente presso il Politecnico di Torino nelle materie del marketing e dei linguaggi della pubblicità, oltre che curatore di vari progetti editoriali, tra cui Enciclopedia della comunicazione per DeAgostini (2003) e autore dei recente volume sui piccoli produttori enogastronomici italiani Food Innovation (2019, Lupetti), del libro di racconti Terre di confine (2019, Albatros) e del libro di racconti Interstizi, Storie di paese, di persone e di cose così (2023, Ronzani).