Il poemetto fu composto negli anni 1931 e 1932 e pubblicato nel 1934 dalle edizioni della rivista genovese “Circoli” diretta dal poeta Adriano Grande che del Descalzo era estimatore. La definizione giusta per questo testo sarebbe “prosa poetica”, ma certamente il confine tra poesia e prosa diventa in certi casi quanto mai sottile. La forma “poesia” non è data tanto dalla disposizione in versi bensì dallo spirito che anima il poeta o lo scrittore. Come disse Ovidio in un verso rimasto giustamente famoso “Est deus in nobis agitante calescimus illo” [Ovidio-Fasti-VI-5]. L’ispirazione poetica prende quindi avvio da qualcosa di interno all’uomo, forse di origine divina.

Rispetto ai suoi testi precedenti (Uligine, Risacca) Descalzo realizza un’opera di ammodernamento e, attraverso una scrittura distesa tipica della prosa, continua in pratica ad adattarsi alle leggi del verso. Il testo consta di 54 stanze o lasse; in esse sono condensati tre decenni (l’autore aveva trent’anni quando compose questo lavoro) della storia di un’anima attraverso le sue lotte, protesa verso un avvenire dove non c’è spazio per le illusioni. Si tratta peraltro di un’autobiografia, a tratti desolante, ma dove l’amore per la natura e per la propria terra, stretta tra gli scogli e le colline (tra le agavi e i corbezzoli), la scoperta della vita d’officina, si alterna con la volontà di vittoria nei momenti di sconforto che si frappongono sul cammino. La sofferenza del vivere attraverso l’esigenza di approfondimenti interiori ha come sfondo il paesaggio ligure.

Pur non avendo avuto alcuna guida [Guida non m’ebbi nè a pari con me procedette alcuno.] il desiderio principe dell’autore sarebbe quello di confortare qualcuno [Zone d’ombra in me stesso proteggo geloso e pur m’illumino in volto e pure ho imparato a sorridere. Più di tutti vorrei dispensare la luce.]. Appare forse come un messaggio cristiano, ma credo travalichi una semplice idea religiosa per presentarsi invece come messaggio sociale di carità e fratellanza. La comunicazione di sentimenti universali consente di ritrovare una nitida e chiara freschezza pur all’interno di una concreta corposità sempre incline a sottili interiorizzazioni.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Logori nomi al nostro vivere d’oggi, parole tarde per improvvisi pensieri, voci stantie per balenii d’idee, scialbi suoni per improvvise immagini, nulla che fissi e sovrasti l’incognita della mente. Nostra vita sedotta da tumultuosi fermenti: ci sentiamo sospinti contro vertici eccelsi, dardi di sogni lontani. Intatta giovinezza che non morrà ci sospinge; nessuna parabola: un retto percorrer di spazii, eredità di antiche forze, superamento di attuali energie. Non ha nomi. Mondo che compie il suo ciclo, il nostro, ed evade. Dietro, una scia che si chiude.

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