P. Barcellona, Il sapere affettivo
P. Barcellona, Il sapere affettivo

Pietro Barcellona, già membro del Consiglio superiore della magistratura e deputato alla Camera, è professore emerito di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo: Elogio del discorso inutile (Dedalo, 2010); Incontro con Gesù (Marietti, 2010); Viaggio nel Bel Paese. Tra nostalgia e speranza (Città aperta, 2010); (con F. Ventorino), L’ineludibile questione di Dio (Marietti, 2010); L’oracolo di Delfi e l’isola delle capre (Marietti, 2009); Il furto dell’anima. La narrazione post-umana (Dedalo, 2008). L’abbiamo intervistato a proposito del suo ultimo libro, Il sapere affettivo, edito da Diabasis nella collana Asteroidi (2011).

Il «sapere affettivo»: una nuova forma di sapere, o la riscoperta di qualcosa d’antico?
Come l’inconscio esisteva anche prima che Freud ne parlasse, ma in un certo senso è merito suo l’averlo fatto apparire, denominando qualcosa che non aveva ancora avuto un nome (pur essendo visibile in alcune sue manifestazioni), similmente il sapere è sempre stato affettivo, ma oggi emerge l’urgenza di riscoprirne il valore in contrapposizione alla conoscenza asettica, neutrale, oggettivante e disumanizzante dei saperi contemporanei. Si pensa tipicamente all’affetto come a uno strumento di conoscenza e non come a un oggetto di sapere; il sapere affettivo non è un sapere sugli affetti, ma un sapere che si produce attraverso l’affetto e ha dunque un valore epistemologico. È possibile conoscere attraverso l’amore, in un modo diverso da come si conosce attraverso la ragione.

In che senso il sapere affettivo è – come ha scritto – una «dimensione costitutiva della comprensione del mondo da parte dell’essere umano»?
Nel senso che la dimensione in cui l’uomo rappresenta se stesso e gli altri è essenzialmente una dimensione esistenziale e affettiva. Da quando l’umanità ha cominciato a scrivere la propria storia, molti millenni fa, gli affetti sono sempre stati un grande strumento di conoscenza. È ben visibile nella tragedia greca la consapevolezza che i greci hanno della forza e della pervesività dell’emotività, dell’affettività, della passione; la loro rappresentazione mostra quanto ne sia intrisa la stessa vita individuale e collettiva, anche su piano politico. L’uomo è stato sempre a contatto con questa dimensione; senza, non sarebbe quello che è. La dimensione affettiva trascende la dimensione biologica, e sicuramente non può essere afferrata in termini puramente scientifici perché non si presta a una descrizione esaustiva in termini scientifici. Non si può descrivere una passione profonda come insieme di reazioni chimiche elettriche e neurali. Bisogna ricordare che comprendere e spiegare sono due cose diverse; comprendere un meccanismo non vuol dire risalire alla profondità della causa prima, del movente reale di un’azione umana. Anzi, spesso la comprensione offusca – spacciandosi come sufficiente – la spiegazione vera e propria.

Parlare oggi di affettività fa scattare subito il sospetto dell’irrazionalismo. Come stanno le cose?
Della tragedia greca e della dialettica che la anima – nella quale non c’è nessun irrazionalismo, ma rappresentazione genuina delle dinamiche che sono oltre-razionali – ho appena accennato. In filosofia e in morale esiste una lunga tradizione che ha tentato di elaborare modelli sofisticati per ridurre l’emotività e le passioni sotto il controllo della razionalità. Ma il punto è che non esiste nessuna gerarchia tra la ragione e queste altre componenti della psiche umana; ogni gerarchia è artificiale. Si tratta di un’invenzione operata della potenza dell’astrazione, che è una forma di dominio della realtà e che permette di declinare affermazioni sul mondo in grado di ridurre la specificità individuale a puro contingente. La declinazione dei concetti astratti permette di stilizzare la realtà come una trama di puri rimandi logici, e questa è una forma di dominio.

Come rispondere all’arroganza di un sapere oggettivante che pretende di ridurre a nulla tutto ciò che esula dalla sua sfera?
Spingendo ciascuno ad acquisire un rapporto emotivo con se stesso. Questo ritorno dell’affettività e dell’amore non può realizzarsi in astratto, bensì nella relazionalità di un incontro, in cui due persone sono costrette a individuarsi reciprocamente sul terreno della comprensione profonda. È nell’incontro tra persone che può attuarsi la trasformazione reciproca in direzione dell’affettività. Viceversa, la tendenda dominante del mondo è all’individualizzazione e alla disumanizzazione. Solo l’esperienza salva. E l’esperienza è sempre personale, mai astratta.

Nella nostra epoca di narrazione tecnoscientifica, il sapere affettivo si propone come conoscenza che una volta tanto non è riservata agli esperti, ma è intrinsecamente aperta a tutti.
Non c’è dubbio su questo, perché non può esserci qui nessuna «competenza esclusiva». L’uomo rimane problema e mistero a se stesso, ci se ne accorge in prima persona quando si comincia – come ho fatto io molti anni orsono – a occuparsi di ciò che, specificamente umano, non si lascia ridurre a macchina: lì ho potuto verificare l’impossibilità di trovare interlocutori «istituzionali», i cosiddetti esperti, le cui risposte stereotipate non potevano essere sufficienti, mentre mi sono trovato a discutere spesso con colleghi e amici, quali ad esempio Massimo Cacciari – mio interlocutore privilegiato quando ci trovavamo insieme alla Camera dei Deputati.

Nel terzo millennio della riproducibilità tecnica e della ibridazione umana da parte della tecnica, è ancora possibile parlare di unicità dell’uomo e di realtà dotata di senso?
Questa è la posta in gioco. Secondo me, che scrivo su questo argomento e ci credo fermamente, è ancora possibile, ma non è possibile garantirlo in assoluto. L’uomo, come dicevo, è problema a se stesso anche in questi termini: egli può decidere di rinunciare alla sua libertà e alla sua unicità, arrivando perfino a credere alla narrazione neuroscientifica, secondo la quale è null’altro che macchina. L’uomo ha il proprio destino nelle sue mani; sta a lui prendere posizione in merito a questa fondamentale questione, assumendosene la responsabilità e vivendone, in prima persona, le conseguenze.


P. Barcellona, Il sapere affettivo, ed. Diabasis, Reggio Emilia 2011, pp. 173, euro 16.

Articolo precedenteFenomenologia eretica. E se un genio maligno ci ingannasse?
Articolo successivo“Ceneri e faville”
Paolo Calabrò
Laureato in scienze dell'informazione e in filosofia, gestisco il sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Ho collaborato con l'Opera Omnia in italiano di Raimon Panikkar. Sono redattore della rivista online «Filosofia e nuovi sentieri» e membro dell'associazione di scrittori «NapoliNoir». Ho pubblicato in volume i saggi: – Scienza e paranormale nel pensiero di Rupert Sheldrake (Progedit, 2020); – Ivan Illich. Il mondo a misura d'uomo (Pazzini, 2018); – La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell'umano di Maurice Bellet (Il Prato, 2014); – Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne (Diabasis, 2011) e 5 libri di narrativa noir: – Troppa verità (2021), romanzo noir di Bertoni editore (2021); – L'albergo o del delitto perfetto (2020), sulla manipolazione affettiva e la violenza di genere, edito da Iacobelli; – L'abiezione (2018) e L'intransigenza (2015), romanzi della collana "I gialli del Dio perverso", edita da Il Prato, ispirati alla teologia di Maurice Bellet; – C'è un sole che si muore (Il Prato, 2016), antologia di racconti gialli e noir ambientati a Napoli (e dintorni), curata insieme a Diana Lama.