Il ritorno

di
R. Remusat

tempo di lettura: 8 minuti


Un profumo squisito di abete si diffondeva nella sala da pranzo del dottore, ove le pareti e le porte erano ornate di tralci e ghirlande di alloro.

La tavola era preparata. La lucerna, sospesa al soffitto, proiettava la sua luce sulla tovaglia bianca, la porcellana, i fiori, i piatti di cristallo colmi di dolci fatti in casa – sulla frutta secca e sugli aranci.

Nella gran stufa di ghisa il fuoco schioppettava allegramente.

Le finestre, colle tende sollevate, lasciavano scorgere un bel paesaggio invernale; campi di neve ed alberi sui quali la brina scintillava al chiarore della luna.

Un bimbo e una bimba di una diecina d’anni circa, e una leggiadra giovinetta contemplavano la disposizione dell’ambiente, ch’era opera loro. Una aspettativa giuliva si leggeva sul volto dei bimbi, perchè non era lontano il momento in cui loro sarebbe permesso di ammirare l’albero del Natale eretto là nel salotto. La sorella maggiore sforzandosi di sorridere, però non perveniva a nascondere una grande tristezza. E il dolore suo era grande perchè si tergeva due lagrime che non aveva potuto trattenere.

— Che hai? esclamò il piccolo Arnaldo costernato. Come puoi piangere nel giorno di Natale?

Essa non ebbe il tempo di rispondere, perchè la moglie del dottore entrò, esaminò in fretta la stanza, poi andò verso la fanciulla che teneramente abbracciò. Lei pure aveva gli occhi velati di pianto.

— Elisa pensa come me a suo fratello, disse. Quale vuoto immenso crea questa assenza nei nostri cuori, in questo giorno santo! Speravamo egli ci fosse restituito per le feste, ma Dio non volle.

— Oh! mamma, esclamavano i due bimbi, egli ritornerà pel capo d’anno; vedrete, egli sarà qui per augurarvi il buon anno.

— Lo spero anch’io: ma non è però meno doloroso il veder deserto il suo posto alla nostra tavola in questo giorno… Figli miei, papà sarà contento di voi, perchè avete lavorato molto bene. Ora andate, e aspettate pazientemente la ricompensa, che vi darà l’albero di Natale.

Madre e figlia, uscirono per terminare la decorazione dell’albero, mentre i fanciulli correvano in giardino per uccidere del loro meglio la noia dell’aspettativa.

Essi pure erano felici al pensiero di rivedere il loro fratello maggiore, partito da due anni pel suo primo viaggio in mare. Ne rammentavano la bontà, il carattere allegro; però un cervellino bizzarro, che lo esponeva sovente alle rimostranze paterne, e faceva piangere la madre. Aveva voluto assolutamente farsi marinaio, avendo la tendenza pei viaggi e le avventure, e, per debuttare, si era imbarcato in un veliere diretto alle Indie e in China.

Era il secondo anno che il suo coperto mancava alla cena del Natale. La sua nave era attesa ogni giorno, al dire dei giornali: ma il mare era stato cattivo, varii naufragi erano stati segnalati. Ecco ciò che metteva sovente delle lagrime negli occhi della madre e della sorella maggiore, e delle nubi sulla fronte del padre.

Ma ciò che i bimbi ignoravano, perchè ad essi era stato sempre accuratamente celato, è che il loro fratello s’era imbarcato senza il consenso del padre, e quest’ultimo, uomo rigido quantunque buono, aveva giurato di mai accordargli il suo perdono. Dinanzi a lui il nome del figlio ribelle non veniva pronunciato: gli avrebbe procurato troppa emozione, diceva la madre ai due piccini, cui non voleva rivelare l’errore del figlio diletto. Essa pur attendendo febbrilmente il suo ritorno, sperava in qualche grazia del Cielo per ottenere il perdono del severo consorte.

I fanciulli avevano dato principio a una partita colle palle di neve, quando la porta del giardino si aprì per dar passaggio a un vecchio che aveva l’aspetto di un mendicante.

Portava una lunga barba bianca, un cappello a larghe falde gli nascondeva una parte del volto. Era ravvolto in un mantello rappezzato in più luoghi. Nè Arnaldo nè la sorella rammentavano di aver veduto mai nel villaggio quell’individuo: perciò provarono un senso di paura, quando lo videro venir loro incontro. Ma lo straniero li rassicurò dicendo:

— Non temete, io non sono che un povero diavolo senza famiglia e senza amici. Mi fu detto che avrei trovato qui gente caritatevole che non mi avrebbe negato un posto accanto al fuoco, e un piatto di zuppa. Accompagnatemi in cucina, vi prego; ho freddo e fame.

I bimbi non se lo fecero dire due volte. Corsero in cucina, ove una vecchia domestica sorvegliava la cottura dell’oca del Natale.

L’uomo reiterò la sua domanda.

— Sedetevi, disse la domestica. I padroni sono occupati; ma non ho duopo disturbarli per offrirvi da cena.

Il vecchio sedette senza togliersi il cappello e aprì una valigia che aveva tenuto nascosta sotto il mantello.

— Avvicinatevi, fanciulli, disse: guardate queste belle cose. Forse vi verrà il desiderio di comperarle: ho qui un piccolo fucile e una bambola che starebbero bene sul vostro albero di Natale. Ed ecco ancora dei foulards di seta provenienti dalla China, sì, dalla China, nè più nè mono, e questo coltello è del Giappone; mi furono fatti questi doni da un marinaio che fu in quei paesi.

— Come mio fratello! esclamò Arnaldo; anch’egli andò nella China; ritornerà fra breve e, senza dubbio, ci porterà altrettante meraviglie di laggiù.

In quel momento sopravvenne Elisa, tutta affannata; le occorrevano delle candele per l’albero del Natale. Vedendo l’uomo, si arrestò.

— È un girovago che porta una valigia colma di oggetti bellissimi, che vengono di molto lontano, dalla China e dal Giappone, le gridò Arnaldo; vieni, vieni a vedere!

La giovinetta si avanzò. Quando fu vicina a quel-l’uomo, egli le parlò sommessamente. Essa vacillo, frenò un grido, ed ebbe la forza di dire ai fanciulli:

— Andate, la mamma vi chiama.

I due fratellini se ne andarono a malincuore.

Elisa disse allora qualche parola alla vecchia domestica, che congiunse le mani esclamando:

— Dolce Gesù: è mai possibile?

Ma la fanciulla si posò un dito sulle labbra per imporle silenzio; poi fra lei e lo straniero seguì un conciliabolo sottovoce.

Però il momento d’illuminare l’albero si avvicinava. Arnaldo e la sorellina, di più in più agitati dalla febbre dell’attesa, correvano qua e là nella casa, indi si arrestavano alla porta del salotto origliando, guardando dalla serratura, nella speranza d’intravvedere qualche cosa degli splendori promessi. Elisa vi si era rinchiusa per accendere le candele. Il dottore e la moglie vennero alla lor volta, nel corridoio, ove a bella posta era stata soppressa l’illuminazione; attendevano coi loro due figlioletti che la porta si aprisse.

È un momento solenne. Nell’oscurità e nel silenzio si crede scorgere delle forme bianche, udire un lieve fremito d’ali, e si pensa agli angeli che visitano le nostre dimore, e depongono intorno all’albero i doni del divino Fanciullo…

Quella sera il dottore e la sua famiglia ebbero l’impressione molto distinta di bisbigli di passi sommessi, tanto che i due piccini si strinsero contro la madre, tremanti all’idea della presenza di un ospite invisibile.

Avevano già dimenticato il girovago rifugiato in cucina; perchè nelle campagne non è cosa rara che all’inverno un poverello venga chiedere da cena e si faccia albergare la notte.

Finalmente la chiave girò nella serratura, la porta si schiuse lentamente; nella luce fantastica delle candele rosse, bianche, gialle, il ceppo di abete si ergeva protendendo in ogni senso i suoi rami, che piegavano sotto il peso dei giuocattoli.

Grida di ammirazione echeggiarono, dominate in breve da uno acuto di angoscia, quasi di terrore, emesso dalla madre. Ella, accanto ad Elisa aveva veduto il figlio suo da tanto tempo atteso, e il cui arrivo la gettava in un turbamento estremo.

Fece l’atto di slanciarsi verso lui, ma il marito la trattenne con un gesto.

— Che significa questo? egli pronunciò.

— Papà! disse Elisa con voce supplichevole, voi sarete indulgente…. la santità di questo giorno vi disporrà al perdono!

Il figlio alla sua volta si avanzò.

Era un bel giovane di vent’anni, dal colorito bronzino, dai capelli bruni ondulati.

— Padre mio – disse – ho peccato verso di voi, ma spero nondimeno d’ottenere il mio perdono in questa festa di famiglia…. Se sapeste, era cosa più forte di me, dovevo partire, il mare mi soggiogava troppo, del pari che i paesi lontani. Oggi ritorno attirato dall’idea della famiglia, dal bisogno di rivedervi tutti. E ne attesto il cielo, voi non avete ad arrossire di me: ho saputo guidarmi, come ve lo dirà questa lettera del mio capitano, un onesto uomo che s’interessa a me, e che volle indirizzarvi una parola in favor mio.

Ciò dicendo, il giovane marinaio porse al dottore una lettera del capitano della sua nave, lettera in cui il vecchio lupo di mare faceva appello alla clemenza del padre, e tessendo del figlio il più bell’elogio.

Tutti gli occhi erano rivolti verso il dottore.

Quando egli ebbe letto la lettera fino alla fine, tossì; indi in tuono che voleva esser duro, chiese:

— Ah! ma vorrai almeno spiegarmi come entrasti qui? E tu, Elisa, facevi parte dunque del complotto? come osasti introdurlo a mia insaputa?

— Per introdurmi qui – disse il marinaio – ho indossato degli abiti da misero implorante la carità… la carità del perdono!

— Eri dunque tu il girovago?… – esclamò Arnaldo.

— Sì! ma in qual modo avreste potuto conoscermi colla mia barba bianca, cari piccini? Alla nostra buona Elisa venne in pensiero di farmi entrare di nascosto nella sala pensando che in quest’istante solenne il cuore di nostro padre non mi avrebbe respinto.

Il dottore tacque qualche istante.

L’emozione di quel giorno di festa, i pii sentimenti che lo invadevano, la vinsero sulla giusta sua collera, e disse:

— Bene, figlio mio, rimani con noi, il Signore vuole che in questo santo giorno i nostri cuori sieno congiunti.

In breve la gioia si palesò su tutti i volti e la madre potè finalmente gettarsi nelle braccia del figlio.

Allora, la vecchia domestica che aveva assistito, muta a quella scena, si avvicinò e disse:

— Signori, il pranzo è servito: mi presi l’arbitrio di aggiungere un coperto!

E mentre la famiglia passava nella sala da pranzo, e il giovine marinaio dava il braccio alla sua mamma raggiante la vecchia serva devotamente mormorò:

— Oggi, il Salvatore è nato; pace in terra!

Fine.


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TITOLO: Il ritorno

AUTORE: R. Remusat

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:

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TRATTO DA: Le avventure di Sherlock Holmes : romanzo illustrato. - Milano : Tip. Edit. Verri, 1895. - 160 p. : ill. ; 20 cm.

SOGGETTO:
FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti
FIC022000 FICTION / Mistero e Investigativo / Generale