Il picco spaccato ossia la notte dei morti
di
Pietro Giuria
tempo di lettura: 17 minuti
I
Nella riviera di Ponente presso Savona, è un’allegra terricciuola, che Foscolo chiamerebbe ben a ragione festante di vendemmia per le colline pampinose che la circondano. Mettendoti alquanto per un sentieruccio che sale il monte, ti si spiegherà innanzi un panorama veramente incantevole, quasi la natura abbia voluto far prova, in breve quadro, di tutte le sue bellezze; qui il pallido degli ulivi che armonizza col verde cupo dei vigneti e coll’oro degli aranci; qui viali lunghissimi, pergolati, fontane zampillanti, palazzi marmorei da larghe gradinate e maestosi portici, che paiono opera delle fate, od una pagina delle Mille ed una notte eseguita dalla natura e dall’arte; giardini che ti rendono testimonianza ed immagine degli Orti delle Esperidi; quindi l’arco del littorale da Genova a Savona, popolato di città e villaggi, l’orizzonte purissimo che si stende quanto l’occhio può trarre, e che si chiude solamente col mare. Alla sera udrai il canto della villanella che si raccoglie nel suo rustico casolare biancheggiante tra i vigneti e tra gli ulivi; e la canzone monotona e pur commovente del marinaio che mette in punto la sua navicella.
Questa terra è Albisola.
Ma la natura ama talvolta i contrasti piú vivi e piú bizzarri; diremmo, in linguaggio figurato, che il sorriso amoreggia colle lagrime; che la rosa destinata a ornar la fronte della giovane fidanzata, s’apre talvolta accanto al mirto e a’ piedi del cipresso.
Continuando a salire per la montagna, la terra, quasi colta da subita maledizione, si scolora, inselvatichisce, e le umane abitazioni scompaiono; pochi sterpi o piante selvatiche, specialmente di pini, allignano tra quelle zolle nude e sassose; ma il cucuzzolo della montagna è spoglio affatto di vegetazione e ribelle ad ogni coltura. Se a qualche contadino che ivi passi per avventura, ti farai a chiedere come si chiami quella vetta cosí ardua, cosí brulla, cosí solitaria, ti risponderà non senza un brivido, esser desso il Picco spaccato, e affretterà il passo per discostarsene. La montagna, squarciandosi dall’ime viscere in parti eguali, aprì nel mezzo una voragine, donde l’occhio si ritrae quasi impaurito da quella profondezza e desolata solitudine. Non filo d’erba, non canto d’uccello, non vestigio di piede umano; qualche cosa di misterioso, di sinistro, di morto, di segregato dalla natura vivente, sta pur nel fondo di quell’abisso; e quando i membri s’accavallano all’intorno della vetta del Picco, componendosi a mille forme strane e fantastiche; quando il vento rimugge nella voragine, e l’ombre della notte se ne levano cupe, taciturne, gigantesche, il cuore ti si stringe per inusitata tristezza, per una specie di paura che la parola non può esprimere. E antica tradizione, tenuta per verità inconcussa fra i contadini dei dintorni, che la notte del 2 novembre, ossia la notte dei morti, le anime degli annegati, degli uccisi, degli insepolti e di coloro specialmente che non posano in terra sacra, passeggino nel fondo di quell’abisso, vestite di cappe nere, in lunga processione, con cerei ardenti, e cantanti salmodie funebri. I contadini asseriscono averle vedute, aver udito quel salmeggiare nel silenzio della notte; ed aggiungono che alcuni cani dei dintorni ivi cacciati o smarritisi, non si videro ricomparire mai piú.
Certo, questo racconto è frutto dell’ignoranza e della superstizione; ma la convinzione profonda di quegli uomini e la tendenza prepotente del nostro spirito alle cose meravigliose e terribili, non sono indegne d’uno studio filosofico. La credenza d’anime affannate, che non possono riposar nella tomba, ed errano, escluse dal cielo e dalla terra, è quasi universale. Ne siano esempio, anche in altra religione e diversità di costumi, que’ strani uccelli del Bosforo detti dai musulmani anime dannate che debbono espiare pellegrinando i loro delitti; che volano continuamente dalle bocche del mar Nero alle sponde della Troade; che, agitati dalla tempesta, si rifugiano tra i cipressi del cimitero di Scutari, e cantano lamentevolmente col singhiozzo dell’agonia.
Fra le popolari tradizioni che riguardano il Picco spaccato, dobbiamo accennar quella delle fiammelle amorose, che vengono a riposarsi sopra quel monte, una volta all’anno, la notte del 2 novembre.
II
Tutti sanno che nel medio evo, i legni barbareschi devastavano il littorale d’Italia colle loro subite scorrerie nei paesi marittimi, e strascinavano via armenti ed uomini; sicché i poveri villaggi, esposti all’impeto di que’ ladroni, doveano stare a continua guardia, fortificarsi con torricciuole e ripari, di cui si veggono tuttavia gli avanzi lungh’esso le spiaggie. S’erano perciò istituite compagnie di frati della Misericordia, che andavano elemosinando, per recarsi quindi in Barberia a riscattare gli schiavi; e la banca di San Giorgio in Genova rimase a lungo egregio monumento di carità civile e religiosa.
Trasportiamoci adesso in que’ tempi e nel ridente villaggio d’Albisola.
Faceva un tramonto bellissimo, quale si vede unicamente nelle riviere; e un gruppo di marinai presso la spiaggia, allestivano il sartiame e le vele d’una navicella, nella cui bandiera ondeggiava l’imagine della Madonna, salutata col titolo di Stella del mare.
Poco distante dal lido, sotto l’ombra d’un pergolato che i raggi del sole, declinando, imporporavano sul dinanzi d’una casuccia, povera, ma spirante quella festività, quella mondezza, indizio del severo e virtuoso vivere de’ suoi abitanti, sedeva presso l’arcolaio una giovinetta ed un marinaio. Ben si vedeva dall’espressione del volto e dagli atti loro, che erano immersi in malinconici, ma soavi ragionamenti, e che quell’ora era l’ora d’un addio.
— Tu ben sai, mia buona Lisa, le dicea il giovane stringendole la mano per consolarla, sai pur troppo che non possiamo dormir tranquilli, quando si scoprono di lontano quei cani d’infedeli e di rinnegati. D’altronde, nascemmo in mare; il mio vecchio padre, agonizzante, volle che lo adagiassero alla vista del mare; egli era uno di quei valorosi che combatterono sopra il vascello di Doria, là, nell’acque di Lepanto, dove ruppero la baldanza dei musulmani. Mi raccomandò di combatterli ovunque e in qualunque numero io li incontrassi; e mi trasmise, per unica eredità, questo cencio di bandiera; ma è la bandiera di Lepanto che pendea all’albero maestro della sua nave!…
— Sì, Benso mio, rispondeva la giovinetta con un misto d’orgoglio e di tenerezza; sì, mio Benso, tu sei valoroso come tuo padre. Mi ricordo di quel giorno, in cui, tra il furore della tempesta, corresti primo allo scampo di quegli infelici che stavano per naufragare; e rigettasti il danaro che poi t’offerivano; eppur si dice che fossero nemici…
— Sì, dopo averli salvati, andremo a combatterli all’arrembaggio; ma quando gridano misericordia… è onore di marinaio stender loro la mano a costo della propria vita!
— Oh mi ricordo, riprendeva la giovane con un soave entusiasmo, e stringendo anch’essa la mano del suo innamorato, mi ricordo che accorsi anch’io tra le fanciulle del villaggio; e che ti vidi, di mezzo alla folla, tutto stillante d’acqua, inginocchiato all’altare della Madonna. Non so perché allora mi sentissi commossa sino alle lacrime, e tutta conturbata; oh da quel giorno, io pregava piú ardentemente all’altare dove ti vidi…
— Sì, mia buona Lisa, e a quell’altare saremo tra poco marito e moglie; il curato ha già annunziato le nostre nozze.
La giovinetta fiammeggiò in volto, abbassò gli occhi, e le sue lunghe palpebre si inumidirono tacitamente; ma rallegrata da un sorriso del suo fidanzato.
— Ho tessuto, rispondeva ella rasserenandosi, ho tessuto un bel grembialino appunto per quel giorno; ho trapunto io stessa il velo bianco che mi porrò in capo la prima volta… ma chi sa quando?…
— Tra pochi giorni sarò di ritorno; la Madonna ci aiuterà; ma intanto…
— Sospenderò il mio velo a quell’altare sino al momento del tuo ritorno; ogni mattino vi recherò un mazzetto di fiori raccolti nel mio orticello; alla sera, cantando le litanie sul sagrato della chiesa, penserò al mio Benso; mi porrò al tuo posto…
E qui la Lisa ruppe in lacrime a lungo trattenute, e pianse anch’egli l’intrepido marinaio.
Oh godete, anime sventurate, di questi supremi istanti! inebriatevi per l’ultima volta di queste amare e tremende gioie! Crudeli esigenze inventate dagli uomini non si frappongono tra di voi; piangete almeno liberamente! La buona giovane amò Benso senza avvedersene, perché l’avea conosciuto valoroso e pio; e l’ardito marinaio, fra i titoli di famiglia che poteano elevarlo agli occhi della sua fidanzata, ricordava con orgoglio quel cencio di bandiera, lacerata dalle bombe musulmane, unico tesoro che suo padre gli avea trasmesso.
Per distrarre il pensiero della Lisa da qualche amaro presentimento, il giovine marinaio si cavò di seno quella preziosa reliquia, e la depose, con un anello, nelle mani della sua fidanzata.
— Custodite voi questi pegni, mia buona Lisa; saranno essi l’ornamento, la ricchezza della nostra casa.
Lisa baciò l’anello; ed ivi a pochi momenti, la era sola, colla fronte chiusa fra le mani; e la navicella del suo Benso già scompariva fra le tenebre dell’orizzonte.
III
La giovinetta, rimasta sola colla vecchia madre, sospese il velo nuziale in voto alla Vergine; chiusa nella sua cameretta, con un pensiero sempre fitto nel capo, presso l’arcolaio ristava talvolta, senza avvedersene, a mezzo dell’opera; e intanto il filo si aggrovigliava. Alla sera venia anch’essa coi vicini sul sagrato della chiesa; metteasi al posto di Benso, e vedea modo che la luce della lampada non le battesse sul volto; avresti detto che piangeva sommessamente. Ogni giorno precedea l’aurora per salire la collinetta; e là seduta, guardava il mare; guardava con una specie d’invidia gli uccelli pellegrini che sorvolavano sopra di lei, avviandosi a quella parte dove era scomparsa la navicella del suo fidanzato. Un atroce presentimento le pesava sull’anima; temea ella stessa d’interrogarlo. Oh il tempo scorre pur lento, monotono, pieno di larve per un cuore innamorato che lo misura co’ suoi palpiti!
Ma finalmente spuntò una vela nell’orizzonte piú lontano; il sole, tramontando, la percuoteva. — Oh son essi! gridò una voce; e gli abitanti del villaggio trassero a calca sul lembo estremo della spiaggia; la capannetta della chiesuola suonava a festa.
Il legno si avvicina; son essi; rispondono al saluto; puntano i remi gagliardamente; balzano sull’arena, vincitori dei Barbareschi; ma Benso non vi è. Bisbigliano all’orecchio dei compagni, che il buon giovine, lanciatosi primo all’arrembaggio, o cadde o rimase prigioniero, poiché il naviglio de’ nemici già vinti fu protetto nella fuga da un altro legno di ladroni che sopraggiunsero. Il volto della Lisa, già sicura de’ suoi danni, si contrasse stranamente; i nerissimi suoi occhi si fissarono con un’immobilità spaventevole; non disse parola, non pianse, ma le arterie delle sue tempia battevano violentemente e tradivano la quiete apparente, minaccevole de’ suoi lineamenti.
Quella Lisa cosí scherzevole, cosí ammirata nelle feste e nelle danze del villaggio, disdegnava la compagnia delle amiche, e cercava nascondersi allo sguardo di tutti. Ma talvolta fu veduta nel fitto della notte, mentre la tempesta imperversava piú fieramente, sola, seminuda, scarmigliata, correre alla spiaggia; porgea l’orecchio al sibilare del vento, al gemer cupo delle acque spezzate tra gli scogli; e lo strillo dell’alcione che aleggia con lento volo sulla schiuma dei marosi, la scosse subitamente quasi ella udisse la voce del suo Benso. Povera Lisa! Tu siedi nella notte che ti circonda sull’aspra punta di quello scoglio; la tua nera capigliatura, sconvolta dal turbine, è stillante per lo spruzzo dei flutti; né senti il freddo soffio dell’aquilone che ti flagella nel petto. Chi può dire la tempesta che ti freme nel cuore, e l’amarezza delle tue lacrime che cadono su quel macigno; le tue lacrime d’innamorata, le piú cocenti, le piú crudeli che ciglio umano possa versare!
La vecchierella, inconsolabile per il lento consumarsi della sua cara figliuola, finì i suoi giorni, accorciati dal cordoglio; e Lisa, rimasta sola, scomparve dal villaggio.
Taluni affermarono d’averla intraveduta, in abito di marinaio, sopra una galea genovese che facea vela per Barberia. Si recava forse ella stessa in que’ paesi per aver sentore di Benso, per riscattarlo, offerendosi in iscambio di lui? Altri sospettarono, che dall’alto dello scoglio, dove spesso solea raccogliersi, fosse caduta in mare; ma le acque non rigettarono alcun cadavere.
Rimanea solo il velo nuziale della povera Lisa sospeso all’altare della Vergine; trascorse un anno, e i nomi di Lisa e Benso erano affatto dimenticati.
IV
La sera del 2 novembre, mentre i buoni terrazzani stavano accolti nella chiesa parrocchiale, e salmeggiavano per i loro defunti – forse in quel giorno il cuore di qualche sventurato si ricordò di Lisa e di Benso, che l’anno prima, giovani, fidanzati, aveano pregato nella stessa chiesa – entrò, sul far della notte, una giovine pellegrina, e senza badar punto ai circostanti, si recò difilata ai piedi dell’altare della Madonna. Il volto di lei era abbrunito dal sole, estenuato dai patimenti e dalla fatica, e coperto d’un pallore che tenea del marmoreo. La pellegrina, poco osservata, poco distinta nell’oscurità della chiesa, abbassò il volto sulla balaustrata e restò immobile.
Finirono le salmodie funebri; si spensero i lumi intorno al feretro, situato in mezzo alla chiesa; la folla uscì, scomparve; e tutti si raccolsero nelle loro umili abitazioni, dove brillarono ben presto mille lumicini. Ma le casette del povero Benso e della Lisa erano oscure e deserte; l’erba vestia le pietre del limitare.
La pellegrina, che il nostro lettore avrà già riconosciuta, rimasta sola, sorse in piedi, e risoluta staccò il suo velo dall’altare della Vergine. Ma in quell’atto, che le parve quasi profano, guardò l’imagine benedetta; quell’imagine ancor bella e sorridente, come ne’ dì felici in cui solea recarle il mazzetto di fiori raccolti nel suo orticello. La rimirò tacitamente, e il suo cuore s’empiè di lacrime. Era pur dessa quell’imagine cui avea sempre affidati gli affetti piú soavi nei giorni felici della sua giovinezza, e le ansie piú crudeli nella sua solitudine! Ed ora, nel rivederla, le sorgeva viva nell’anima la ricordanza del passato. Si era già scostata alcuni passi dall’altare, quando tornò addietro per salutarla ancora una volta; inginocchiatasi, le fissò in volto le sue pupille aride, rilucenti come per febbre; strinse al petto le sue mani estenuate, senza moto, senza parola. Grosse stille di sudore che bagnavano la sua fronte e cadevano sul marmo dell’altare, esprimean sole lo stato indescrivibile di quell’anima.
Finalmente uscì di chiesa.
Come altrove abbiam detto, è tradizione popolare, trasmessa di generazione in generazione, che la notte del due novembre, le anime degli affogati, degli uccisi, di quanti non riposano in terra benedetta, facciano una processione nella voragine del Picco spaccato. Lisa lo credea anch’essa fermamente; e per giungere quella notte, s’era affrettata a gran passi nel doloroso suo ritorno. Dopo aver cercato inutilmente il suo Benso per terre e per mari, disperata di rivederlo mai piú tra i vivi, giungea in patria quella sera, e non sí tosto uscì di chiesa, corse, sola, non vista, verso la casa del suo fidanzato; guardò le finestre semiaperte, scassinate dalla pioggia e dai venti; chiamò Benso piú volte a nome, e quindi si inginocchiò sulla soglia.
— Questa notte, dicea fra se stessa, lo vedrò, certo, cogli altri morti, sotto il Picco spaccato; ben egli riconoscerà la sua Lisa da questo velo che mi porrò in capo; mi apposterò sul loro passaggio; distinguerò la sua voce, quella voce cosí soave che mi suona ancora nel cuore; distinguerò i suoi sguardi sotto il cappuccio. — È vero che son mutata — soggiungea quindi, osservandosi con un triste raccoglimento; — la mia gioventù è appassita, oh! ma Benso mi ama; non mi rigetterà il mio Benso. — Ricomponeasi i capelli, quasi fosse aspettata ad un convegno d’amore; e qualche cosa di strano, di sinistro si svelava ne’ suoi moti e piú ne’ suoi sguardi. Le fibre del suo cervello, lungamente affaticate, parea si spezzassero; il cuore solo era intero, con tutta la tremenda vita de’ suoi affetti e delle sue ricordanze.
E Lisa s’avviò verso il monte.
La solenne malinconia di quel giorno, lo squillo funebre della campana parrocchiale, che si udia tratto tratto portato dal vento, accrescea terrore misterioso alle tenebre di quella notte. L’inverno prematuro avea spogliata la montagna del poco verde che talvolta la rallegra nella stagione dei fiori; negri nugoloni faceano ghirlanda alla cima del Picco; il vento, che mugolava nella valle, strascinava le aride lappole pei nudi fianchi della montagna; mentre il flutto marino rispondeva da altra parte, spezzandosi lamentoso tra gli scogli. Chi avrebbe osato avventurarsi per que’ sentieri, in quell’ora, in quella notte? – Eppur Lisa s’inerpicava, salia a gran passi, tra la boscaglia, tra i sassi, coi piedi sanguinosi, le braccia innanzi, colla forza della disperazione, dell’amore, coll’impeto vigoroso della pazzia che piú non sente la fatica, lo strazio del corpo. S’arrampicava, mentre il vento le spingea indietro la sua nera capigliatura tra le pieghe svolazzanti del bianco velo, che avea imagine di lenzuolo funebre. Alcuni contadini che dalle loro capanne la travidero nella sua corsa, si strinsero gli uni agli altri, mormorarono una preghiera e la credettero un’anima smarrita che s’affrettava al suo convegno.
La misteriosa apparizione salì in cima del Picco, e scomparve dall’altra parte nel pendio del burrone. Tutto tacque, e la notte regnò cupa, terribile, solitaria piú che mai.
V
Ai primi raggi del mattino, alcuni contadini, passando poco discosto dalla cima del Picco, videro una sembianza di donna, che Ossian avrebbe rassomigliata a tenue forma di nebbia, seduta sopra un macigno, a capo chino e colle braccia incrocicchiate sul petto. I suoi capelli, cosa strana! di subito incanutiti e cospersi dalla rugiada, ondeggiavano agitati dalla brezza mattinale. Stettero in forse se dormisse o fosse morta: ma rinfrancatisi si avvicinarono, la scossero dal suo letargo, e vedendola semiviva, la sorressero, la condussero al villaggio. La povera giovane levò due occhi senza sguardo, tacita, immemore di se stessa, e li seguì macchinalmente senza avvedersene.
Avrete già indovinato che questa infelice era la Lisa, e la Lisa divenuta pazza!
Dio sa come passasse quella notte e in quel precipizio; si osservò acconciamente che i pazzi reggono ai travagli fisici, a sferza di sole, a freddo di pioggia, piú che altri non potrebbe nella chiarezza del suo giudizio. Questa povera creata, abbandonata dalla ragione, ha dunque ancor tanta forza, e solo per soffrire!
La Lisa tenea sempre quel suo velo nuziale; se lo ricomponeva in mille foggie; guardava il suo anello, piangeva e sorrideva e mostrava ai passanti il brano della bandiera di Lepanto, quell’avanzo di gloria nelle mani d’una fanciulla impazzita per amore!…
— Oh l’ho veduto, dicea spesso con impeto convulsivo; l’ho veduto il mio fidanzato! riconobbi il suo sguardo; alzò il cappuccio. – Oh era ancor bello il mio Benso, benché pallido ed abbrunato! Riconobbe anch’egli la sua Lisa, mi chiamò a nome, e mi disse che il curato aveva già annunziate le nostre nozze. – Oh sí; mi sono ricamata per quel giorno un bel grembialino! — E qui sorrideva, e talvolta stendeva le braccia come a persona che avesse innanzi; i suoi occhi s’empievano di lacrime, e traverso quelle lacrime la sua intelligenza parea affacciarsi all’orrenda notizia de’ suoi mali.
Talvolta si recava sul sagrato della chiesa, e fosse pur buia la notte e minaccioso il tempo, quell’infelice cantava le litanie; e la sua voce avea qualche cosa di solenne e di commovente.
Il cuore non ci regge a descrivere i lunghi e molti patimenti della povera Lisa; quella gioventù vigorosa, già cosí florida, coi capelli incanutiti! Quell’anima pura, ardente, appassionata, superstite alla sua ragione, ma sempre fedele al suo amore!
Visse parecchi mesi, finché Dio, negli arcani suoi disegni, accettò il sacrifizio di quella povera vita. Ma Lisa, prima di morire, rinsensò; conobbe le antiche sue compagne; si ricordò di Benso, di quel pergolato, di quell’ora mestissima e suprema del suo colloquio. Ma una lunga notte parea frapporsi nella sua memoria, una notte piena di sogni spaventevoli, dove caddero i suoi pensieri, rotti e scatenati. Giunta ai momenti estremi, baciò l’anello nuziale; stese sul letto quel suo velo; pregò per l’anima di Benso, per quella di sua madre, per la propria che li avrebbe riveduti tra poco; e questo pensiero richiamò ancora un sorriso sulle morte sue labbra.
Povera Lisa, chi onorerà la memoria del tuo coraggio, dell’amor tuo, del lungo tuo patire?
Anch’io sedetti sopra la cima di quel Picco, e pensava meco stesso a quant’anime, nate ad alte cose, privilegiate, ben tristamente! dalla natura, passarono sconosciute con tanto peso di dolore! Allora mi fu raccontato, che ogni anno, la notte del 2 novembre, ricomparisci col tuo fidanzato. Due fiammelle bellissime, serpeggianti vengono ad abbracciarsi su quella vetta. Una d’esse accorre dal mare, strisciando leggerissima sopra la spuma dei flutti; è questa l’anima di Benso che sorge dal sepolcro nelle arene del mare, dove cadde combattendo i Barbareschi. L’altra fiammella che muove subito ad incontrarla, è l’anima della povera Lisa che abbraccia finalmente il suo fidanzato. Queste due fiammelle, aree pellegrine, sdegnano di frammischiarsi alla volgar turba dei morti; ma seguendo il gentil costume degli amanti, si raccolgono in disparte; si aggirano di balza in balza; e i mille guizzi e graziosi serpeggiamenti delle due fiammelle, sono forse parole arcane, soavi amplessi di quelle anime affannate, cui la morte almeno ha riunite. Ma appena un barlume antelucano rischiara l’orizzonte, scompaiono, e il luogo ritorna arido, solitario, e direi quasi spaventevole.
Fine.
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TITOLO: Il picco spaccato ossia la notte dei morti
AUTORE: Pietro Giuria
CURATORE: Rigoli, Aurelio
NOTE: Racconti popolari che, nella prima metà dell'Ottocento "rinomati scrittori italiani" (Pietro Giuria, Emanuele Celesia, F. Ramognini) recuperarono dalla tradizione orale e trasposero in prosa d'arte, per la ben nota raccolta di Angelo Brofferio "Tradizioni italiane".
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Racconti popolari dell'Ottocento ligure. - Palermo : Edikronos, 1981. - 2 v. ; 17 cm. - vol. 1.: 203 p. - vol. 2.: 226 p. - (I Contastorie)
SOGGETTO: FIC027080 FICTION / Romantico / Brevi Racconti