Piccolo capolavoro di suspense scritto nel 1913 e chiaramente ispirato alla vicenda dei delitti di Whitechapel attribuiti a “Jack lo Squartatore”, la cui eco era ancora viva in quegli anni. Quello che lo rende unico è la prospettiva nella quale si trovano i coniugi Bunting, ex domestici e ora in gravi difficoltà economiche, con una piccola attività di affittacamere che non dà alcun frutto.

Quando le loro stanze vengono prese in affitto da un singolare personaggio, Mr. Sleuth, ovviamente sorvolano sulle inspiegabili stranezze del loro inquilino, che sono largamente compensate dal fatto che costui paga, e lautamente, in anticipo. E inizialmente il fatto che nello stesso periodo Londra cada in preda a una serie di orribili omicidi a danno di donne, normalmente alcoliste, non viene messo in relazione con le eccentriche richieste di Mr. Sleuth.

Ma presto Ellen Bunting inizia a essere scossa dal dubbio. Ogni volta che Mr. Sleuth esce per passeggiate notturne, il “Vendicatore” entra in azione. Mr. Sleuth legge ad alta voce versetti biblici che hanno sempre come tema argomenti poco edificanti riguardo alle donne, è rigorosamente vegetariano e astemio, possiede una misteriosa borsa che tiene accuratamente chiusa a chiave. E ad ogni sua uscita notturna, concomitante a un delitto del “Vendicatore”, seguono misteriosi “esperimenti” sul fornello a gas della sua stanza.

Il conflitto interiore dei coniugi (nella seconda parte del racconto anche Mr. Bunting è preso da sospetti simili a quelli della moglie, anche se mai, né dall’uno né dall’altro apertamente espressi) oscilla tra il dubbio di colpevolezza del loro inquilino e la necessità di sopravvivenza. Ellen capisce che se l’inquilino è colpevole e lei non fa nulla è come se ne fosse complice, si aggrappa quindi a indizi che lo scagionino e trema al pensiero che se lo denunciasse innocente perderebbe l’indispensabile introito dell’affitto.

Non trascurabile l’accento, che l’autrice non manca di porre, sul ruolo dei giornali nello scatenare il panico, per esempio evidenziando particolari assolutamente non accertati e dettagli impressionanti ma senza fondamento. I coniugi Bunting infatti, via via che il racconto procede, si affannano nella ricerca sempre più ossessionante di qualunque dettaglio, alimentati in questo anche dal fatto che un loro giovane amico è investigatore oltre che innamorato della figlia di Mr. Bunting. Questa storia d’amore alleggerisce sicuramente l’inquietudine che predomina nel racconto.

Fino alla fine la domanda sulla colpevolezza di Mr. Sleuth resta aperta. Nonostante gli indizi e un comportamento sospetto, rimane sempre possibile che egli sia solo quello che appare, cioè un solitario e innocuo eccentrico.

Non c’è da stupirsi quindi che questo soggetto sia tanto piaciuto ad Hitchcock da utilizzarlo per il suo primo grande successo del cinema muto (The Lodger). Film che ha avuto poi un remake nel 1944 ad opera di John Brahm e con la penultima interpretazione di Laird Cregar. Nel 1954 lo stesso soggetto sarà utilizzato per un ulteriore remake intitolato La mano nell’ombra che vede nei panni dell’inquietante inquilino un grande Jack Palance.

Traduzione italiana, del 1937, di Luigi Antonio Garrone, che era solito alternare la sua attività di attore caratterista con quella di scrittore, poeta e giornalista. Ci vorranno 62 anni prima che sia editata una nuova traduzione italiana a cura di Rosalia Coci.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Roberto Bunting e sua moglie Elena sedevano davanti al caminetto in cui ardeva un fuocherello acceso con molta parsimonia.

La stanza, per quanto la casa sorgesse in una triste e povera via di Londra, era tenuta molto pulita ed in meticoloso assetto, e chiunque si fosse affacciato all’uscio di quel salotto avrebbe pensato che i coniugi Bunting offrivano un quadro veramente idilliaco della vita matrimoniale. Bunting, comodamente abbandonato nella sua poltrona, col mento accuratamente raso, aveva l’aspetto di quel che, infatti era stato per molti anni: un onesto domestico di casa signorile.

Sua moglie non lasciava tanto scorgere le tracce del suo passato di cameriera; tuttavia lo si poteva indovinare solamente osservando il suo lindo abito nero, ed i candidissimi polsini assieme al non meno niveo collarino che le cingeva il collo.

Evidentemente, essi dovevano avere conosciuta una certa agiatezza, ed essere stati orgogliosi degli arredi acquistati con tanta cura: ogni cosa aveva un’aria di grande solidità, e non era difficile accorgersi che doveva essere stata acquistata in qualche asta di casa privata.

Così, le pesanti cortine di damasco rosso che isolavano il salotto dalla nebbia di via Marylebone, pur essendo costate quasi nulla, promettevano di durare per almeno altri trent’anni, come l’ottimo tappeto di Axminster che copriva il pavimento e come la comoda poltrona da cui ora Bunting fissava il fuocherello acceso sugli alari. Abito nero, ed i candidissimi polsini assieme al non meno niveo collarino che le cingeva il collo.

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