La scena rappresenta il sacro bosco che adombra le falde del monte Parnaso. Il verde dei folti lauri che lo compongono è ravvivato dai ridenti colori de’ frapposti fioriti cespugli, che vagamente lo distinguono. Si vede indietro alla destra una parte del monte suddetto col Pegasèo su la cima, sotto al cui piede scaturisce l’onda d’Ippocrene, che cadendo variamente dall’alto si raccoglie sul piano, e dalle aperture che lascia, dove è men densa la selva, si scoprono dalla sinistra in lontano le amene campagne della Focide.

Dall’incipit del libro:

TEOD.
Marziano amante! E il crederò? Di Marte
Fra gli studi indurito, or per un volto
Quel tuo gran cor sospira,
E, nutrito agli allori, ai mirti aspira?
MARZ.
Sì, Augusto, amo Atenaide, e son superbo
De’ miei nobili affetti. È ingrato al Cielo,
Che di sì bella in lei
Chiara parte di sé la terra onora,
Chi conosce Atenaide e non l’adora.
TEOD.
(Pur troppo il so!)
MARZ.
Dove fin or si vide
In beltà sì divina
Più modesta dottrina,
Più amabile virtù? Chi seppe mai
Destar, com’ella desta in ogni petto,
Con l’amore il rispetto: e al par di lei
Sempre regger su l’orme
Di ragion conduttrice
Quanto fa, quanto pensa e quanto dice?

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