Il gatto che se n’andava solo
di
Rudyard Kipling
tempo di lettura: 16 minuti
Sentite ciò che avvenne quando tutti gli animali domestici erano selvaggi. Il cane era selvaggio, e il cavallo era selvaggio e il bue era selvaggio e la pecora era selvaggia, e il porco era selvaggio – quanto più poteva selvaggio – e se n’andavano per foreste selvagge e umide nella loro solitudine selvaggia. Ma il più selvaggio di tutti questi animali selvaggi era il gatto, che se n’andava per conto suo, e tutti i luoghi gli erano eguali.
Naturalmente anche l’uomo era selvaggio, spaventosamente selvaggio. Non cominciò ad addomesticarsi che quando incontrò la donna che gli disse che non le piaceva quella sua vita così selvaggia. Essa scelse una bella caverna asciutta, sparse della sabbia pulita sul suolo, accese un bel fuoco di legna, appese una pelle secca di cavallo selvaggio, a coda in giù, a traverso l’apertura della caverna, e disse: “Asciugati i piedi, quando entri, chè ora abbiamo messo su casa”.
Quella sera essi mangiarono carne di pecora selvaggia arrostita sulle pietre roventi, e condita d’aglio selvaggio e ripiena di riso selvaggio e di fiengreco selvaggio e di coriandoli selvaggi; e ossa midollose di manzo selvaggio, e ciliege selvagge e granadiglie selvagge. L’uomo andò a dormire accanto al fuoco, sentendosi felice; la donna rimase in piedi a pettinarsi. Prese l’osso d’una spalla di montone e osservò gli strani segni che v’erano incisi, e gettò altre legna sul fuoco, e fece un incantesimo, il primo incantesimo sulla terra.
Fuori, nelle foreste umide e selvagge, donde si poteva vedere di lontano la luce del fuoco, si raccolsero tutti gli animali selvaggi, e si chiedevan che fosse.
Allora il cavallo selvaggio pestò gli zoccoli selvaggi e disse:
– O miei amici e miei nemici, perchè l’uomo e la donna hanno fatto quella gran luce in quella gran caverna e che vogliono farci?
Il cane selvaggio sollevò il naso selvaggio e fiutando odore di montone arrostito, disse:
– Andrò a vedere e osservare, e saprò; perchè mi sembra un’ottima cosa. Gatto, vieni con me.
– Cucù! – disse il gatto. – Io sono il gatto che se ne va solo, e tutti i luoghi mi sono uguali. Io non vengo.
– Allora non possiamo essere amici, – disse il cane selvaggio, e trotterellò verso la caverna.
Quando il cane selvaggio arrivò all’ingresso della caverna, sollevò la pelle secca di cavallo col naso e fiutò il buono odore dell’arrosto di montone, e la donna, guardando la scapola, lo sentì, e rise, e disse:
– Ecco il primo. Animale selvaggio delle foreste selvagge, che vuoi?
Il cane selvaggio disse:
– O mia nemica e moglie del mio nemico, di che cosa è questo buon odore nelle foreste selvagge? – Allora la donna raccolse un osso del montone arrostito e lo gettò al cane selvaggio, e disse:
– Animale selvaggio, uscito dalle foreste selvagge, prendi per assaggiare.
Il cane selvaggio addentò l’osso, che gli parve il più delizioso di quanti cibi avesse mai assaggiati, e disse:
– O mia nemica e moglie del mio nemico, dammene un altro.
La donna disse:
– Animale selvaggio, uscito dalle foreste selvagge, aiuta il mio uomo a caccia durante il giorno e guarda questa caverna durante la notte, e avrai tutte le ossa arrosto che vorrai.
– Ah! – disse il gatto, sentendo questo, – la donna è molto astuta, ma io son più astuto di lei.
Il cane selvaggio si fece avanti nella caverna e andò a mettere la testa in grembo alla donna, dicendo:
– O mia amica e moglie del mio amico, aiuterò il tuo uomo a caccia il giorno e la notte guarderò la vostra caverna.
– Ah! – disse il gatto. – Che stupidissimo cane!
E se ne ritornò nelle foreste selvagge agitando la coda, e camminando per conto suo. E non disse nulla a nessuno.
Quando l’uomo si levò disse:
– Che fa qui questo cane selvaggio?
E la donna disse:
– Non si chiama più cane selvaggio, ma il primo amico, perchè sarà nostro amico sempre, sempre e sempre. Conducilo con te quando vai a caccia.
La sera appresso la donna tagliò delle grandi bracciate di erba fresca sui prati, e l’asciugò innanzi al fuoco, così che odorava come fieno falciato allora, e si sedè all’ingresso della caverna; tagliò una lunga striscia dalla pelle di cavallo, guardò la scapola del montone e fece un incantesimo, il secondo incantesimo sulla terra.
Fuori nelle foreste selvagge tutti gli animali si domandavano che ne fosse del cane selvaggio, e finalmente il cavallo selvaggio scalpitò e disse
– Andrò io a vedere perchè non è ritornato il cane selvaggio. Gatto, vieni con me.
– Cucù! – disse il gatto. – Io sono il gatto che se ne va solo, e tutti i luoghi mi sono eguali. Non vengo.
Ma cautamente, molto cautamente, seguì il cavallo selvaggio, e si nascose dove poteva udir tutto.
Quando la donna vide il cavallo correre e impigliarsi nella lunga criniera, rise e disse:
– Ecco il secondo. Animale selvaggio, uscito dalle foreste selvagge, che vuoi?
Il cavallo selvaggio disse:
– O mia nemica e moglie del mio nemico, dov’è il cane selvaggio?
La donna rise, prese la scapola, l’osservò e disse:
– Animale selvaggio, venuto dalle foreste selvagge, tu non sei venuto qui per il cane selvaggio, ma per l’amore di questa buona erba.
E il cavallo selvaggio, scalpitando e inciampando nella lunga criniera, disse – È vero, dammi da mangiare.
La donna disse:
– Animale selvaggio, venuto dalle foreste selvagge, china la testa selvaggia, e porta ciò che ti dò, e tu mangerai l’erba meravigliosa tre volte a giorno.
– Ah! – disse il gatto udendo questo, – la donna è astuta, ma io sono più astuto di lei!
Il cavallo selvaggio piegò la testa selvaggia, e la donna la strinse nella cavezza, e il cavallo selvaggio respirò ai piedi della donna, e disse:
– O mia padrona e moglie del mio padrone, io sarò tuo servitore per amore dell’erba meravigliosa.
– Ah! – disse il gatto, udendo questo, – che stupidissimo cavallo!
E se ne ritornò nelle foreste umide e selvagge, agitando la coda, e andandosene via solo per conto suo. Ma non disse nulla a nessuno. Quando l’uomo e il cane ritornarono dalla caccia, l’uomo disse:
– Che cosa fa qui il cavallo selvaggio?
E la donna disse:
– Non si chiama più cavallo selvaggio, ma il primo servitore perchè ci porterà sempre, sempre e sempre da una parte all’altra. Cavalcalo quando vai a caccia.
Il giorno appresso, tenendo la testa bassa perchè le corna non inceppassero negli alberi selvaggi, la vacca selvaggia si diresse alla caverna, e il gatto la seguì, e si nascose come aveva fatto le altre volte; e tutto andò come le altre volte; e il gatto disse le stesse cose delle altre volte; e quando la vacca selvaggia ebbe promesso di dare il suo latte alla donna ogni giorno in compenso dell’erba meravigliosa, il gatto se ne ritornò nelle foreste umide e selvagge, agitando la coda, camminando nella sua solitudine selvaggia, appunto come le altre volte. Ma non disse mai nulla a nessuno. E quando l’uomo, il cavallo e il cane tornarono a casa dalla caccia, e l’uomo fece le stesse domande delle altre volte, la donna disse:
– Non si chiama più vacca selvaggia, ma la dispensatrice di buon cibo. Essa ci darà il tepido latte sempre sempre e sempre, ed io l’accudirò mentre tu e il primo amico e il primo servitore andrete a caccia.
Il giorno appresso il gatto aspettò per vedere se qualche altro animale selvaggio si dirigesse alla Caverna, ma nessuno si mosse nelle foreste umide e selvagge; e allora egli vi andò solo, e vide la donna che mungeva la vacca, e vide la luce del fuoco nella caverna e odorò l’odore del latte bianco e caldo.
Il gatto disse:
– O mia nemica e moglie del mio nemico, dove è andata la vacca?
La donna rise e disse:
– Animale selvaggio, venuto dalle foreste selvagge, ritorna nelle foreste selvagge, perchè ho annodato i miei capelli e ho messo da parte la scapola magica, e non abbiamo più bisogno di amici e servitori nella Caverna.
Il gatto disse:
– Io non sono un amico e non sono un servo. Io sono il Gatto che se ne va solo, e desidero di venire nella caverna.
La donna disse:
– Allora perchè non venisti col primo amico la prima sera?
Il gatto s’adirò e disse:
– T’ha il cane selvaggio detto qualche cosa di me?
Allora la donna rise e disse:
– Tu sei il gatto che se ne va solo, e tutti i luoghi ti sono eguali. Tu non sei nè un amico nè un servo. L’hai detto tu stesso. Va via, e cammina da te indifferentemente in tutti i luoghi.
Il gatto finse di essere triste e disse:
– Non debbo entrar mai nella caverna? Non debbo mai sedermi accanto al fuoco? Non debbo bere mai il caldo e bianco latte? Tu sei molto savia e molto bella. Non dovresti essere crudele neanche con un gatto.
La donna disse:
– Io sapevo d’essere savia, ma non sapevo d’esser bella. Così io farò con te un patto. Se io dico in tua lode una parola, tu puoi entrare nella caverna.
– E se ne dici due, di parole? – disse il gatto.
– Non le dirò mai, ma se ne dico due, puoi sedere accanto al fuoco nella caverna.
– E se ne dici tre? – disse il gatto.
– Non le dirò mai, ma se dico tre parole in tua lode, puoi bere il latte tre volte al giorno.
Allora il gatto inarcò il dorso e disse:
– Ora lascia la cortina all’ingresso della caverna, e il fuoco in fondo alla caverna, e il vaso del latte che sta accanto al fuoco, e ricorda ciò che ha detto la mia nemica e la moglie del mio nemico.
E se ne andò attraverso le foreste umide e selvagge, agitando la coda selvaggia e camminando selvaggiamente solo.
Quella sera quando l’uomo e il cavallo tornarono a casa dalla caccia, la donna tacque del patto stretto col gatto, perchè temeva che loro potesse dispiacere.
Il gatto andò lontano, molto lontano, e si nascose nelle foreste umide e selvagge nella sua solitudine selvaggia, per lungo tempo, finchè la donna dimenticò tutto di lui. Soltanto il pipistrello, il piccolo pipistrello che dormiva a testa in giù nella caverna, sapeva dove il gatto si nascondeva; e ogni sera il pipistrello se n’andava, volando, dal gatto, a informarlo di ciò che accadeva. Una sera il pipistrello disse:
– V’è un bambino nella caverna. È nuovo e roseo e grasso e piccino, e la donna lo ama molto.
– Ah! – disse il gatto udendo questo; – ma al bambino che cosa piace?
– Gli piace d’esser trastullato – disse il pipistrello. – E gli piace tutto.
– Ah! – disse il gatto. – Questo è il tempo.
La sera appresso il gatto traversò le foreste umide e selvagge e se ne stette nascosto presso la caverna fino all’alba, e l’uomo e il cane e il cavallo uscirono a caccia. La donna era affaccendata a cucinare quella mattina, e il bambino piangeva e la interrompeva. Così lo portò fuori dalla caverna e gli diede una manata di sassolini perchè si trastullasse. Ma il bambino continuava a piangere.
Allora il gatto sporse la zampa inguantata ed accarezzò il piccino sulla guancia, e quegli rideva. Il gatto si strofinò contro le grasse ginocchia del bambino, vellicandogli il mento con la coda e quegli rideva; e la donna udiva e sorrideva. Allora il pipistrello disse:
– O mia ospite e moglie del mio ospite e madre del figlio del mio ospite, un animale selvaggio venuto dalle foreste selvagge giuoca col tuo bambino.
– Benedetto l’animale selvaggio, chiunque sia! – disse la donna, premendosi il dorso – perchè questa mattina ebbi molto da fare ed esso m’ha reso un servizio.
In quello stesso minuto e in quello stesso secondo, la cortina di pelle secca di cavallo, messa a coda in giù a traverso l’ingresso della caverna, cadde a un tratto al suolo, forse perchè ricordava il patto fatto dalla donna col gatto; e quando la donna andò a raccoglierla, vide il gatto seduto a tutto suo agio nella caverna.
– O mia nemica e moglie del mio nemico e madre del mio nemico, – disse il gatto, – sono io. Tu dicesti una parola in mia lode, ed io posso stare nella caverna per sempre, sempre e sempre. Pure io sono il gatto che se ne va solo, e tutti i luoghi gli sono eguali.
La donna si sentì presa da una gran collera, ma si chiuse le labbra, e prese la conocchia e si mise a filare.
Ma il bambino piangeva, ed era diventato paonazzo perchè il gatto se n’era andato, e la donna non sapeva farlo tacere.
– O mia nemica e moglie del mio nemico e madre del mio nemico, – disse il gatto, – prendi un po’ del filo che hai filato e legalo al fuso con un sassolino, e trascinalo sul pavimento ed io ti mostrerò un giuoco che divertirà tanto il bimbo.
– Lo farò, – disse la donna, – perchè non ne posso più; ma non te ne sarò grata.
Così legò il filo con un sassolino al fuso, e lo tirò sul pavimento, e il gatto corse dietro al sassolino e lo carezzò con la zampa, e se lo fece rotolare di sotto, e lo inseguì tra le gambe posteriori e finse di perderlo, e poi a un tratto lo riprese con un balzo, e il bambino rideva, rideva, e si sforzava di afferrare il gatto, andando carponi sul suolo della caverna, finchè si sentì stanco e si sdraiò per dormire col gatto fra le braccia.
– Ora, – disse il gatto, – canterò al bambino una canzone che lo terrà addormentato per un’ora. – E cominciò a far le fusa in tono alto e basso, basso e alto, finchè il bambino s’addormentò. La donna sorrise, guardandoli entrambi, e disse: – Ti sei condotto a meraviglia. Non c’è dubbio, tu sei molto abile, o gatto.
In quello stesso minuto e in quello stesso secondo, cari miei, il fumo del fuoco nel fondo della caverna discese a nuvole dal tetto – puff! – perchè ricordava il patto ch’era stato fatto col gatto; e quando svanì il gatto s’era seduto a tutto suo agio accanto al fuoco.
– O mia nemica e moglie del mio nemico e madre del mio nemico, – disse il gatto, – sono io; giacchè tu hai detto una seconda parola in mia lode, io posso sedermi accanto al fuoco nel fondo della caverna per sempre, sempre e sempre. Pure io sono ancora il gatto che se ne va solo e tutti i luoghi gli sono eguali.
Allora la donna si mostrò molto, molto inquieta e si lasciò cader le trecce sulle spalle e mise altre legna sul fuoco e, ripresa la larga e grossa scapola di montone, cominciò a fare un incantesimo che le impedisse di dire una terza parola in lode del gatto. Era un incantesimo tranquillo e la caverna era diventata così tranquilla che un grazioso e piccolo topolino spuntò da un angolo e traversò il pavimento.
– O mia nemica e moglie del mio nemico, – disse il gatto, – quel topolino fa forse parte del tuo incantesimo?
– Uh! no, no! – disse la donna, facendo cadere la scapola e saltando sullo sgabello accanto al fuoco, reggendosi le trecce per paura che il topolino vi si aggrappasse.
– Ah! disse il gatto, in atteggiamento di vigilanza, – allora il topo non mi farà male, se lo mangio?
– Ah! – disse la donna reggendosi i capelli, – mangialo immediatamente e io te ne sarò grata.
Il gatto diede un balzo e acchiappò il topolino, e la donna disse:
– Mille grazie. Neanche il primo amico è così svelto. Tu sei molto saggio.
In quello stesso minuto e in quello stesso secondo, cari miei, il vaso di latte che stava accanto al fuoco si fece in due pezzi – ffft! – perchè ricordava il patto fatto col gatto; e quando la donna discese dallo sgabello, il gatto se ne stava tranquillamente a lambire il latte caldo e bianco, rimasto nel fondo rotto del vaso.
– O mia nemica e moglie del mio nemico e madre del mio nemico, – disse il gatto, – sono io. Giacchè hai detto tre parole in mia lode, io posso bere il latte bianco e caldo tre volte al giorno per sempre, sempre e sempre. Pure io sono ancora il gatto che se ne va solo, e tutti i luoghi gli sono eguali.
Allora la donna rise e diede al gatto una scodella del latte caldo e bianco e disse:
– O gatto, tu sei abile quanto un uomo; ma ricordati che il tuo patto non fu fatto con l’uomo e col cane, ed io non so che faranno essi al loro ritorno.
– Che m’importa? – disse il gatto. – Se io ho il mio posto accanto al fuoco nella caverna e il mio latte caldo e bianco per tre volte al giorno, non mi curo di ciò che diranno l’uomo e il cane.
Quella sera, quando l’uomo e il cane ritornarono alla caverna, la donna narrò loro del patto, mentre il gatto sedeva accanto al fuoco e sorrideva. Allora l’uomo disse:
– Sì, ma egli non ha fatto un contratto con me e con tutti gli uomini dopo di me.
Allora si cavò gli stivali e prese la piccola accetta di pietra (che fa tre); prese anche un pezzo di legno e un’ascia (che in totale fa cinque) e li mise in fila, dicendo:
– Ora faremo il nostro patto. Se non acchiappi i sorci quando sarai nella caverna, ti getterò appresso questi cinque oggetti quando ti vedrò, e così faranno tutti gli uomini dopo di me.
– Ah! – disse la donna, – il gatto è molto abile, ma non quanto il mio uomo.
Il gatto contò i cinque oggetti (che avevano un aspetto molto bitorzoluto) e disse
– Acchiapperò i sorci sempre, quando sarò nella caverna; pure sono ancora il gatto che se ne va solo, e fa lo stesso conto di tutti i luoghi.
– Non quando io ti son vicino, – disse l’uomo. – Se tu non avessi detto quest’ultima parola, io avrei messo da parte tutte queste cose per sempre, sempre e sempre; ma ora ti getterò dietro gli stivali e la piccola accetta di pietra (che fa tre) tutte le volte che t’incontrerò. E così tutti gli uomini dopo di me.
Allora il cane disse:
– Aspetta un minuto. Egli con me non ha fatto patti e neanche con tutti i cani dopo di me.
E mise in mostra i denti e disse:
– Se tu non sarai sempre cortese col bambino mentre io sarò nella caverna, ti correrò dietro finchè ti acchiapperò, e quando ti avrò acchiappato ti morderò e ti perseguiterò sugli alberi quante volte ti incontrerò. E così tutti i cani dopo di me.
– Ah! – disse la donna ascoltando, – il gatto è molto abile, ma non quanto il cane.
Il gatto contò i denti del cane (apparivano molto aguzzi), e disse:
– Sarò gentile col bambino mentre sono nella caverna, finchè non mi tiri la coda troppo forte, per sempre, sempre e sempre. Pure sono ancora il gatto che se ne va solo e tutti i luoghi gli sono uguali.
– Non quando ti son vicino – gli disse il cane. – Se tu non avessi detto quest’ultima cosa, io mi sarei chiusa la bocca per sempre, sempre e sempre; ma ora ti caccerò su un albero quante volte t’incontrerò. E così faranno tutti i cani dopo di me.
Allora l’uomo tirò gli stivali e la piccola accetta di pietra (che fa tre) al gatto, e il gatto si slanciò fuori della caverna e il cane lo perseguitò su un albero; e da allora in poi, tre uomini su cinque, sempre tirano degli oggetti al gatto, quando lo incontrano, e tutti i cani a modo lo cacciano su un albero. Ma il gatto, da parte sua, mantiene il patto. Acchiappa i sorci, ed è gentile coi bambini quando è in casa, se non gli tirano la coda troppo forte. Ma quando ha fatto questo, e a intervalli, e quando spunta la luna e viene la notte, egli è il gatto che se ne va solo, e fa lo stesso conto di tutti i luoghi. Allora se ne va nelle foreste umide e selvagge o sugli alberi umidi e selvaggi o sui tetti umidi e selvaggi, agitando la coda selvaggia e camminando in solitudine selvaggia.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il gatto che se n’andava solo
AUTORE: Rudyard Kipling
TRADUTTORE: Silvio Spaventa-Filippi
ILLUSTRAZIONI: Ugo Finozzi
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Il libro delle bestie / di Rudyard Kipling ; tradotto da S. Spaventa-Filippi ; illustrazioni di Ugo Finozzi. - Firenze [etc.] : Bemporad & figlio, [19..] – 165 p., [12] c. di tav. : ill. ; 25 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)