Titolo: Il falsario – Operazione Bernhard, di Stefan Ruzowitzky, 2007
Titolo originale: Die Fälscher
Con: Karl Markovics, August Diehl, Devid Striesow, Dolores Chaplin, August Zirner, Marie Bäumer.
Sterline e dollari. Un fiume di danaro falso seppellirà i nemici. Così il Reich sull’orlo del baratro pensa di risolvere a loro favore il conflitto mondiale. Siamo nel 1944. Nel campo di concentramento di Sachsenhausen c’è un laboratorio segreto. I nazisti hanno rinchiuso in due baracche separate e dotate delle attrezzature necessarie i tecnici in grado di realizzare la colossale contraffazione.
Sono guidati da Salomon Sorowitsch (Markovics), falsario e viveur ebreo scovato e costretto a scegliere tra la morte sicura e la collaborazione. Stessa sorte per i prigionieri che lavorano con lui: un pasto, un letto pulito e la salvezza in cambio della loro opera. La scena è reale, la storia dell’»Operazione Bernhard» è vera. Il tono è di un docufilm drammatico, la cui valenza storica va oltre gli stereotipi relativi al genere guerra mondiale con nazisti «cattivi» all’opera nel tremendo campo di concentramento. Di riferimenti convenzionali qui ce n’è il minimo indispensabile, il resto è dato per risaputo. E’ invece portato in primo piano il conflitto delle coscienze, dei detenuti, consapevoli dell’impossibilità del sabotaggio se non a scapito della vita, e fra loro il famoso falsario «Sally», primo fattore, suo malgrado, dell’operazione.
Si trattava, come si sa dagli studi storici, di passare, dopo la produzione di 134 milioni di sterline in pezzi da 5, 10, 20 e 50, alla falsificazione del dollaro. E si pensò appunto al sommo «artista». Lo avevano «pescato» nel campo di Mauthausen dov’era prigioniero dal 1936. Che il vero Sally si chiamasse Smolianoff, ritrattista delle S.S. a Mauthausen e morto in Argentina negli anni ’60, poco importa.
Il valore del film sta soprattutto nella tensione che rappresenta, in quel profondo dilemma dei prigionieri, sospesi tra la vita e la morte, tra l’istinto di conservazione e la scelta morale. Prima che gli Alleati arrivino a liberarli, lo spettatore è chiamato a partecipare al dilemma. Il regista austriaco opera con stile discreto ma con deciso «idealismo» e fa sentire che i fatti hanno un’anima.