Il terzo romanzo del ciclo Roma Gialla (del quale ciclo già abbiamo pubblicato in questa biblioteca Manuzio i primi due, Gli orecchini di Stefania e L’ultima notte) racchiude in sé un qualcosa di incompiuto che consente di immaginare che l’autore – anche in questo caso Ferri usa lo pseudonimo Leandro – avesse in animo di offrire a lettrici e lettori un ulteriore capitolo di questa “saga”.
Ritroviamo ovviamente gli stessi personaggi, anche se con risalto diverso: i protagonisti dei primi due romanzi rimangono spesso sullo sfondo e in primo piano giungono dei comprimari che pure già avevamo ben conosciuto. Il seguire le vicende dei nuovi protagonisti non sminuisce comunque l’interesse per chi legge dell’evoluzione delle peripezie dei personaggi principali dei precedenti due romanzi.
Da un punto di vista letterario si direbbe quasi che Ferri cerchi, non senza un qualche successo, di proporre in Italia le fortune del romanzo alla Gaborieau, che probabilmente negli ultimi decenni del XIX secolo mancavano e che gli imitatori, anche successivi, non hanno corredato di una qualità significativa. Mi pare si possa dire comunque che questa terza puntata del ciclo Roma Gialla non regga il confronto con le prime due, nonostante la trama si svolga con interessanti colpi di scena, sempre indice della capacità inventiva dell’autore. L’azione è meno incalzante, talvolta la dispersione in troppi particolari, appunto “alla Gaborieau”, appare spesso casuale e ingiustificata, il finale sembra quasi troncato, cosa appunto che fa presagire la volontà di fornire un ulteriore seguito, o, forse, la stanchezza dell’autore a seguire ulteriormente le sue “creazioni”.
Biancalanoce, le cui gesta di truffatore avevamo seguito ne L’ultima notte, è ora reporter del giornale “Cronaca Nera”, e in questa veste ritrova il suo vecchio datore di lavoro, sempre il medesimo duca reazionario e senza un soldo. L’ambiente sembra abbandonare del tutto le sale dorate della nobiltà per stabilirsi in maniera definitiva nei più sordidi bassifondi sociali nei quali l’azione di persone senza alcun tipo di scrupoli può svolgersi con maggior naturalezza. Biancalanoce (La Noce, adesso come giornalista…) non ha certo abbandonato le sue attività ambigue di ricattatore, segretario infiltrato e ladro. Ma il furto di antichi gioielli di inestimabile valore è inserito nella narrazione in maniera improvvisa, senza alcuna logica e sembra quasi che l’autore voglia affrettare il termine del romanzo rinunciando all’adeguata preparazione e a uno svolgimento coerente.
Tuttavia le descrizioni restano tinteggiate con efficace potenza tanto che il ladro-giornalista-segretario Biancalanoce non manca di suscitare in chi legge una ben meritata repulsione per la sua fredda e calcolata malvagità. Mancano invece quasi completamente, e questo è un altro pregio, le minuziose descrizioni e le sfumate lungaggini tipiche dei romanzi d’appendice dell’epoca – il romanzo fu pubblicato infatti, prima di essere raccolto in volume, sul “Caffaro” a puntate – e questo impartisce al testo caratteristiche di piacevole lettura e di opportuna sobrietà.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
La tramontana cruda e frizzante spazzava dagli interstizi dei ciottoli la polvere e la gente dai marciapiedi. Via delle Convertite, in quella sua breve gala del palazzo Marignoli, che ne forma tutto un lato, in contrapposto dell’altro lato che ha bottegucce e finestre da capoluogo di circondario, era malinconica per il velo grigio ferreo dell’ombra glaciale, mentre piazza San Silvestro nella giocondità della luce solare rideva tutta, luccicante dei riflessi metallici delle vetture da nolo schierate in fila. Battuti dal sole meridiano i riverberi bianchi delle lanterne mandavano raggi e sprazzi argentei e nervosi, mentre gli ottoni dei finimenti dei cavalli ardevano tranquillamente col tono giallo e nello splendore caldo dei riflessi d’oro.
Per il Corso passava la solita processione di carrozze e di venditori ambulanti che offrivano ad alta voce giornali, lacci di seta per gli occhiali, orari delle ferrovie, anelli per le chiavi, carta e buste, volumi a un soldo della letteratura sfortunata. Le modiste e le sartine, seguite dalle bambine che portano le scatole delle vesti e dei cappelli, non si fermavano davanti alle mostre quella mattina. Il tempo era troppo rigido. I giovinotti passavano col bavero rialzato, il bastone cacciato in una delle tasche del pastrano e le mani sprofondate in tutte e due, senza curarsi nè delle sarte che vestono le donne, nè delle altre che aiutano le sartine nella nobile missione di far tutto il contrario con gli uomini.
Scarica gratis: Il duca di Fonteschiavi di Giustino Ferri.