Il dramma in tre atti fu composto nel 1892 e messo in scena in prima assoluta nello stesso anno al Theatre Royal Haymarket di Londra in lingua originale. La prima rappresentazione italiana si tenne nel marzo 1893 al Teatro Valle di Roma. Il costruttore Solness (Byggmester Solness) è dunque un’opera tarda di Ibsen (1828-1906) e questo emerge dai temi che qui l’autore norvegese svolge naturalmente legati ai timori dell’età matura: la paura di dover cedere la propria posizione ai più giovani; la diffidenza verso la persona sconosciuta, lo straniero; il timore di non essere più attraenti per l’altro sesso.

Il sospetto verso il nuovo che avanza si concretizza anche negando un riconoscimento di valore a chi potrebbe, con questo incoraggiamento, diventare indipendente e realizzare i propri sogni. Così Solness nega ogni aiuto al suo giovane collaboratore, il disegnatore Ragnar Brovik, fino al punto da far dubitare del talento del figlio lo stesso padre di lui, l’anziano architetto Knut Brovik, decaduto e divenuto assistente di Solness. Il costruttore non si ritirerà mai e non permetterà mai a Ragnar di lasciarlo. Ha bisogno di lui.

Knut, che è stato il maestro dell’imprenditore prima di divenirne l’umile assistente, conosce le vere capacità di Solness: solo per un ‘colpo di fortuna’ egli ha raggiunto, da garzone qual’era, fama e riconoscimenti, non certo per un’abilità tecnica da vero architetto, che in realtà non possiede. Ragnar ha, da alcuni anni, una fidanzata, Kaja, che, assunta anche lei da Solness, si è innamorata dell’affascinante costruttore. Questi ha il suo piano: la ragazza sposi Ragnar, lo distolga dai suoi progetti di indipendenza e restino entrambi a lavorare per lui.

Il dramma va avanti e Ibsen svela a questo punto quella che è l’inquietudine ed il tormento maggiore di Solness, la fonte di un suo profondo senso di colpa. Egli è diventato famoso e ricco, si è detto, ma il colpo di fortuna per la sua carriera è stato un terribile incendio che ha distrutto l’avita casa di famiglia e tutto il giardino, la vita dei suoi due figli neonati e la sanità mentale della moglie Alina. Da bravo ‘palazzinaro’, come si dice a Roma, ha sfruttato l’occasione, ha convertito quasi tutto il terreno che circondava la casa in terreno edificabile, lo ha lottizzato e ha costruito tante villette di sua fantasia: “da allora in poi tutto è andato a meraviglia”.

Sarà l’arrivo improvviso ed imprevisto di una giovane, Hilda, a portare a galla il vero e più profondo dramma dei due coniugi. È toccante come il costruttore, rendendosi sempre più conto di quanto la sua fortuna sia stata pagata dalle sofferenze della moglie, riflette a voce alta:

«SOLNESS. Sì. Io penso sopratutto ad Alina, poichè essa aveva la sua vocazione, come l’avevo io. (con un tremito nella voce) Ma è stato d’uopo che questa vocazione crollasse, si rompesse, andasse distrutta, perchè io arrivassi…. a questa specie di trionfo. Poichè è bene che sappia, che Alina fabbricava essa pure alla sua maniera.
HILDA. Essa? Davvero?
SOLNESS. (scuotendo la testa) Non si trattava ben inteso, di edificare, come me, delle case e delle torri.
HILDA. E di che, dunque?
SOLNESS. (con emozione) Di formare delle piccole anime di bambini, Hilda, delle anime di bimbi forti, nobili e belli, che potessero diventare più tardi anime d’uomini retti ed elevati. Questa era la vocazione di Alina… E tutto ciò adesso giace sotto terra… inservibile… inutile per sempre…. come le macerie d’una casa bruciata.»

Il rapporto con la giovane Hilda ha indubbiamente anche una valenza erotica – e su questo tema in particolare sono state imperniate molte mise en scène, spesso riducendo purtroppo le chiavi di lettura del dramma –, rapporto dell’uomo maturo con la bella ragazza giovane che mostra anch’esso la narrazione della difficoltà ad invecchiare dell’affermato imprenditore. La giovane, come molte delle donne di Ibsen, si sente una ”aquila in gabbia”, non accetta la menzogna, la dipendenza affettiva, ed è costretta, al caso, a trovare una via d’uscita nell’immaginazione e nella fantasia.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit del libro:

ATTO PRIMO
SCENA I
(Camera da lavoro semplicemente addobbata nella casa del costruttore Solness. Una porta a due battenti, a sinistra conduce nell’anticamera; una porta a destra mette alle camere interne della casa; una porta aperta nella parete in fondo, alla stanza da disegno. Sul proscenio, a sinistra, una scrivania con libri, carte, lettere e l’occorrente per scrivere. Vicino alla porta una stufa. Nell’angolo di destra un divano, un tavolo e due sedie. Sul tavolo una bottiglia d’acqua e un bicchiere. Un tavolo più piccolo con seggiolone e poltrona a dondolo sul proscenio a destra. Lampade da lavoro accese sulla scrivania nella camera da disegno, sul tavolo d’angolo e sullo scrittoio. Nella stanza da disegno siedono KNUT BROVIK e suo figlio RAGNAR, occupati in calcoli di costruzioni; presso lo scrittoio, nella camera da lavoro, KAJA FOSLI sta sfogliando il libro mastro. KNUT BROVIK è un vecchio magro con barba e capelli bianchi, porta un vestito nero un po’ usato, ma pulito. Ha gli occhiali, cravatta bianca un po’ ingiallita. RAGNAR BROVIK è sulla trentina, biondo, veste bene, con portamento leggermente curvo. KAJA FOSLI, è una fanciulla gracile, dall’aspetto delicato, sui vent’anni. Veste con cura; porta un para-occhi verde. Tutti e tre lavorano per un momento in silenzio.)
KNUT BROVIK. (si alza repentinamente, come angosciato, dal tavolo da disegno; respira affannosamente avanzandosi verso la porta aperta) In verità, non ne posso più.
KAJA. (avvicinandoglisi) Dunque, ti senti proprio male oggi, zio?

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