Ambientato temporalmente nel 1815 quando Edmond Dantès, giovane marinaio, sbarca a Marsiglia con speranze e prospettive di una imminente felicità: è pronta per lui la nomina a capitano del Pharaon e il fidanzamento con la bella Mercédès. Ma una denuncia anonima manda in pezzi i suoi sogni e le sue prospettive: invece del matrimonio e la carriera lo attendono una dura reclusione di quattordici anni in una prigione del castello d’If. La disperazione lascia con il tempo il posto a un’incontenibile sete di rivalsa. Evade dal carcere e assume l’identità del ricco e misterioso conte di Montecristo grazie alla scoperta di un tesoro nascosto la cui esistenza è rivelata dall’abate Faria, patriota italiano, suo compagno di reclusione ed infaticabile pianificatore di evasioni. Lo stesso Faria rivela ad Edmond i particolari del complotto del quale è rimasto vittima ed i nomi dei suoi nemici. Edmond diventa un implacabile giustiziere. La sua vendetta verso i calunniatori che con la loro denuncia tante sofferenze gli hanno procurato sarà metodica e raffinata, spesso usando le loro stesse armi.

Fu pubblicato a puntate nel 1845-46 sul “Journal des Débats”. Diversamente dalla abituale routine di Dumas, che lo vedeva avvalersi della collaborazione di sei o sette “ghost writer” al suo servizio (nel XIX secolo in Francia venivano detti “nègres”), la trama di Il conte di Montecristo spetta interamente a Dumas, che redasse una prima stesura tenendo conto delle sue esperienze di viaggio. Auguste Maquet, che era il più noto ed efficiente tra i suoi collaboratori, intervenne eliminando le troppe divagazioni e costruendo l’orditura definitiva. Questo tipo di collaborazioni, che costituivano un metodo ben congegnato e perfettamente funzionante, portò alla scrittura di un gran numero di romanzi destinati ai “feuilletons” ufficialmente scritti da autori molto attivi attorno alla metà del XIX secolo.

Ma Dumas rimane forse l’unico a continuare a riscuotere le simpatie dei lettori, e questo grazie ad una abilità decisamente fuori del comune nel rendere appassionante ogni soggetto e maestosi oltre che drammaticamente umani i suoi personaggi principali. Tanto che Il conte di Montecristo gode di ristampe e nuove traduzioni ancora in anni recenti. Pur non avendo, infatti, le stesse aspirazioni di cambiamento sociale – che caratterizzano per esempio I misteri di Parigi di Sue per rimanere nell’ambito del romanzo-feuilleton – i romanzi di Dumas recano evidente il segno della sensibilità dell’epoca e della sua forte energia tesa a realizzare ambizioni spesso fuori misura e che proprio per questo restano incompiute e sfumate di malinconia. In Edmond, al momento di appartarsi dal mondo nel quale non ha più imprese da compiere, umiltà e rimorso sembra abbiano il sopravvento sull’orgoglio.

La traduzione dalla quale è tratto questo e-book è anonima del 1850. Se pur datata è complessivamente abbastanza corretta e senza tagli importanti. La ridondanza e verbosità tipica dell’originale – caratteristiche sottolineate da Umberto Eco in Elogio del Montecristo – è sostanzialmente mantenuta. Eco aggiunge che queste cattive qualità spinte oltre il limite del ragionevole portano il romanzo a sfiorare il “sublime dinamico” e giustificano il successo che ha avuto e continua ad avere a distanza di oltre un secolo e mezzo. Da segnalare che, come in molte altre edizioni dell’epoca – ma riproposte anche in anni recenti da Mondadori attribuendo la traduzione a un non meglio identificato E. Franceschini – Faria è scienziato ma non abate; anche altre connotazioni “religiose” relative a vari personaggi sono eliminate. Tra le traduzioni recenti da segnalare quella di Vincenzo Latronico e quella di Gaia Panfili entrambe filologicamente molto più corrette.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Il 28 Febbraio 1815 la vedetta della Madonna della guardia dette il segnale della nave a tre alberi il Faraone che veniva da Smirne, Trieste e Napoli. Come è d’uso, un pilota costiere si partì tosto dal porto, e passando vicino al castello d’If, recossi a bordo del naviglio fra il capo di Morgiou, e l’isola di Rion. Quindi, come parimente è uso, la piattaforma del forte San Giovanni si ricoprì di curiosi; poichè è sempre un avvenimento di grande importanza a Marsiglia l’arrivo di un bastimento, soprattutto poi quando questo sia stato come il Faraone, costrutto, attrezzato, stivato nei cantieri della vecchia Phocée, ed appartenga ad un armatore della città. Frattanto il naviglio avanzava; aveva felicemente superato lo stretto formatosi da qualche scossa vulcanica fra l’isola di Calasareigne e quella di Jaros; ed oltrepassato Pomègue, procedeva col suo gran corpo sotto le tre gabbie in relinga, ma tanto lentamente, e con andamento sì tristo, che i curiosi, con quell’istinto che presagisce le disgrazie, l’un l’altro si domandavano quale infortunio fosse
accaduto a bordo. Ciò non pertanto gli esperti alla navigazione riconoscevano che se un qualche accidente era avvenuto, questo non sarebbe stato al materiale del bastimento, poichè se procedeva lentamente lo faceva peraltro con tutte le condizioni di un naviglio eccellentemente governato. La sua ancora era gettata, i pennoni di bompresso abbassati, e vicino al pilota che si prestava a dirigere il Faraone nella stretta entrata del porto di Marsiglia, stava un giovinotto di rapido gestire, che con occhio vivo invigilava ciascun movimento del naviglio, e ripeteva ogni ordine del pilota.

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