Le avventure di Sherlock Holmes
Il cavallo di corsa
di
Arthur Conan Doyle
tempo di lettura: 36 minuti
— Temo assai, Watson, di dovervi lasciare – disse Holmes, un mattino in cui facevamo assieme colazione.
— E dove andate?
— A Dartmoor, a King’s Pyland!
La notizia non mi sorprese. Anzi mi stupivo come il mio camerata non fosse stato ancor chiamato per istruire quel caso straordinario, il grande argomento delle conversazioni in tutto il Regno-Unito.
Durante tutta la giornata precedente, il mio compagno non aveva fatto che agitarsi e andare e venire per la casa, accarezzandosi il mento, corrugando le ciglia, colmando ed esaurendo la sua pipa, assolutamente sordo alle mie domande ed osservazioni. Man mano che comparivano gli erano stati spediti tutti i giornali, ma non vi aveva gettato che un’occhiata. E tuttavia a dispetto del suo mutismo sapevo benissimo ciò che egli ruminava. Non v’era in quel momento che un’interrogazione soltanto per tutti, ed era tale da eccitare le di lui facoltà analitiche.
Quel problema, era la strana scomparsa del famoso stallone il favorito della Corsa di Vessex e la fine tragica del suo conduttore.
Quando dunque lo udii annunciare ch’egli partiva pel teatro del dramma, non ne fui affatto stupito.
— Verrei molto volontieri con voi – dissi – se non ci vedeste inconveniente alcuno.
— Mio caro Watson, voi mi fareste un grande favore, e credo non sarebbe tempo perduto. Vi sono in questo affare delle particolarità straordinarie. Si tratta forse di un caso unico. Non abbiamo credo che il tempo necessario per giungere al nostro treno a Paddington. Durante il tragitto potrò meditare ancora sul fatto. Fareste bene a munirvi delle vostre eccellenti fumelles di campagna.
E fu così che circa un’ora dopo, noi eravamo, Holmes ed io, seduti in uno scompartimento di prima classe, in cammino per Exeter. Holmes era immerso nella lettura rapida di un carico di giornali presi alla stazione. Avevamo passato la stazione di Reading quando egli gettò sul sedile l’ultima gazzetta, e mi offrì il suo porta sigari.
— Corriamo bene – disse, sporgendo il capo alla portiera, poi consultando l’orologio – noi facciamo cinquantatrè miglia e mezzo all’ora (circa 87 chilometri).
— Non ho osservato i segnali dei quarti di miglio.
— Io neppure. Ma su questa linea i pilastri telegrafici sono collocati a distanza di 60 yardi, e il calcolo è facile. Suppongo che avrete meditato su quest’assassinio di John Straker e sulla scomparsa di Silver Blaze.
— Vidi ciò che ne vien detto sul Telegraph e il Chronicle.
— È uno di quei casi in cui l’arte del ragionamento deve applicarsi più alla scelta e all’esame dei dettagli più minuziosi, che alla ricerca di nuove testimonianze. La tragedia fu tanto poco comune, tanto completa, tocca nei loro interessi tante persone che noi abbondiamo anzi d’indicazioni e congetture. La difficoltà stà nell’eliminare le fioriture dei teorici e dei reporters per non tener conto che dei fatti innegabili. Martedì mattina, io riceveva dei telegrammi, contemporaneamente dal colonnello Moss, il proprietario del cavallo, e dall’ispettore Gregory, che istruisce il processo e m’invita ad assisterlo.
— Martedì mattina – esclamai – e oggi siamo a giovedì. Perchè non partiste subito?
— Perchè avevo una speranza, mio caro Watson, ciò che temo è più frequente di quanto si crede, riferendosi ai vostri apprezzamenti.
Il fatto è che non credevo possibile che il cavallo più pregevole d’Inghilterra rimanesse a lungo perduto, specialmente in una regione tanto poco abitata quanto il Nord di Dartmoor. Di momento in momento, attendevo la notizia che il suo rapitore fosse l’assassino del conduttore. Ma quando però un giorno ancora fu trascorso, compresi che dovevo entrare in scena. Forse il tempo non fu perduto.
— Dunque avete formato la vostra teoria?
— Almeno ho formato una collezione di fatti essenziali della causa. Ve li esporrò perchè nulla è più utile per dilucidare un enigma, che il discuterlo con altra persona, e se voglio trovare in voi un utile cooperatore, debbo pure indicarvi il mio piano di operazioni.
Mi gettai comodamente nel mio sedile, e, accendendo il mio sigaro, ascoltai Holmes, il quale, inclinato verso di me, incominciò a descrivermi gli avvenimenti della notte.
— Silver Blaze è un prodotto del famoso Somony, e si è formato una riputazione altrettanto brillante del suo antenato. Ora egli conta cinque anni, e vince tutti i premi pel colonnello Moss, suo fortunato proprietario.
Al momento della catastrofe egli era il primo favorito per la coppa di Vessex, e la sua sorte era tre contro uno. È molto apprezzato dagli sportsmann e non li ha mai ingannati. In tali circostanze è ben naturale che si abbia avuto un grande interesse ad impedirgli di correre martedì. E ciò era stato temuto a King’s Pyland, perchè tutte le precauzioni erano state prese per custodir bene il favorito. Il fantino John Straker, fu per tre anni jokey del colonnello Moss, poi divenuto troppo pesante per correre, fu nominato palafreniere delle stesse scuderie, e sempre il suo padrone trovò in lui un servo buono e zelante. John Straker aveva sotto i suoi ordini tre garzoni soltanto, perchè lo stabilimento è piccino e contiene quattro cavalli in tutto. Abitava una piccola villa non lungi dalle scuderie e vi viveva molto agiatamente colla moglie ed una vecchia serva. I dintorni di quella dimora sono alquanto solitarii, ma ad un miglio verso il nord vi sono delle ville fabbricate da un imprenditore di Tavistock, e che sono ricercate dagli ammalati per la salubrità dell’aria.
Tavistock è situata a due miglia verso l’est, e, separata da paludi; a una distanza press’a poco eguale si trova il più grande stabilimento di allevamento di Mapleton, appartenente a lord Backwater e diretto da Silas Brown.
Dall’altro lato delle paludi non vi sono quali abitanti, che alcuni zingari.
Questa era la situazione lunedì ultimo scorso al momento della catastrofe.
Nella sera i cavalli erano stati esercitati e bagnati come al solito, e le scuderie erano state chiuse alle nove. Poi due dei palafrenieri erano rientrati in casa per cenare in cucina mentre il terzo era rimasto di guardia nelle scuderie. Qualche minuto dopo, la serva Edith Baxter, gli portò la sua cena composta di agnello bollito. Ella non gli aveva portato da bere, perchè la scuderia era sfornita d’acqua ed era strettamente proibito all’uomo di guardia il bere vino o liquori.
Siccome era molto buio, e la strada attraversava uno stagno, la ragazza aveva preso seco una lanterna.
Si trovava a circa 30 metri dalle scuderie quando un uomo comparve a un tratto sotto ai raggi della sua lanterna dicendole di arrestarsi. Ella vide che era un signore vestito in bigio con cappello di feltro. Portava delle uose e aveva in mano un pesante bastone armato di una grossa palla. Ciò che la spaventò più di tutto fu l’estremo pallore e la stranezza delle sue maniere. Doveva avere circa trent’anni.
— Potreste dirmi ove mi trovo – chiese. – Ero quasi rassegnato a dormire nello stagno quando scorsi la vostra lanterna.
— Vi trovate presso alle scuderie di King’s Pyland – ella rispose.
— Oh! davvero, quale fortuna! Probabilmente dunque è alla guardia delle scuderie che voi portate questa cena, poichè da quanto suppongo essa deve dormire là sola questa notte. Spero vorrete accettare il prezzo di un nuovo vestito non è vero?
Prese allora dal suo gilet un viglietto piegato e proseguì:
— Se ora voleste consegnare ciò a quel ragazzo, domani voi avreste il più grazioso costume che mai avete bramato.
Spaventata da quei modi strani, la ragazza si avviò frettolosamente, senza rispondere, verso la finestra dove di solito ella passava la cena.
Questa era già aperta, e Hunter era seduto nel vano dinanzi un piccolo tavolo. Come ella ricominciava a narrare al domestico ciò che le era avvenuto, quell’ignoto si avvicinò.
— Buona sera – disse guardando dalla finestra. – Vorrei dirvi una parola.
La ragazza assicura come parlando egli tenesse celata nella mano una carta.
— Che volete da me? – chiese il palafreniere.
— Vengo a proporvi un buon affare. Voi avete due cavalli iscritti per la corsa di Vessex: Silver Blaze e Bayard. Datemi le previsioni della scuderia e voi nulla ci perderete. È vero che alle prove Bayard potrebbe rendere all’altro 100 metri su 1000 e che tutti i jokey hanno scommesso per lui?
— Ah! voi siete uno di quei bricconi del diavolo – esclamò il palafreniere. – Voglio farvi vedere come vengono ricevuti a King’s Pyland.
E ciò dicendo, corse verso la nicchia per sciogliere il cane. La ragazza fuggì verso la casa, ma correndo si volse e vide l’uomo curvato alla finestra.
Però quando qualche minuto più tardi Hunter stava per slanciarsi su lui col cane, il briccone era scomparso e malgrado tutte le sue ricerche Hunter non potè scoprirlo.
— Un istante – dissi. – La guardia aveva chiusa la scuderia prima di partire?
— Benissimo, Watson, benissimo – mormorò il mio compagno. – Questo punto mi parve tanto importante che inviai ieri un telegramma a Dartmoor per assicurarmi del fatto. La porta era stata chiusa, e la finestra era troppo stretta perchè si potesse introdursi di là.
Hunter attese la venuta dei suoi compagni per inviare un messaggio al proprietario. Alla narrazione di quanto era avvenuto, Straker si mostrò molto inquieto, quantunque non comprendesse completamente il significato dei fatti. Ciò lo lasciò tormentato, e destandosi verso un’ora del mattino mistress Straker lo trovò occupato a vestirsi.
Egli le spiegò che l’ansietà l’aveva tenuto desto fino allora e che non poteva resistere al desiderio di visitare le scuderie per accertarsi che i cavalli vi fossero ancora. La moglie lo supplicò di non andare, perchè la pioggia batteva contro i vetri ed annunciava un tempo spaventevole, ma nulla egli volle udire e, preso il suo mackintosh, se ne andò.
⁂
Mistress Straker destandosi alle sette s’accorse che il marito non era ritornato. Si vestì in fretta e mandò la serva alle scuderie.
Questa trovò la porta aperta e all’interno vide, piegata in una seggiola, la guardia Hunter. Pareva dormire profondamente. Il posto del favorito era vuoto, e nessuna traccia v’era dell’allevatore.
Subito furono destati i due grooms che avevano dormito nel fienile sopra la selleria. Nulla essi avevano udito durante la notte, perchè essi hanno il sonno molto duro.
Hunter che era di certo sotto l’azione di un sonnifero, perchè nulla potè destarlo, fu abbandonato per correre sulle traccie dell’assente.
Tutti avevano sulle prime sperato che l’allevatore, per una od altra ragione avesse condotto via il cavallo per fargli fare un po’ di esercizio, ma quando ebbero esplorato tutto il circuito dall’alto di un monticello, essi non videro nè il favorito, nè il suo padrone, e distinsero un oggetto che loro fece presentire una tragedia.
A un quarto di miglio dalle scuderie, il soprabito di John Straker era sospeso a un ramo, e, qualche passo più lontano, in una incavatura del terreno, giaceva il cadavere dell’infelice John Straker. Era stato colpito brutalmente al capo con arma molto pesante, e alla gamba aveva una ferita lunghissima fatta da una lama tagliente.
Era chiaro che Straker s’era difeso disperatamente contro i suoi assalitori, perchè gli fu trovato nella mano destra un piccolo temperino, il cui manico era tutto intriso di sangue, e nell’altra mano raggrinzata teneva un foulard di seta nera che la ragazza riconobbe come quello appartenente all’incognito della sera precedente.
Hunter, destandosi, lo riconobbe anch’egli. Ciò che del pari fu dimostrato si è che l’uomo aveva messo qualche droga negli alimenti di Hunter per impedirgli di vegliare. Dall’abitazione al luogo della lotta, si osservavano molte traccie del cavallo scomparso.
Malgrado le promesse ricompense a chi avrebbe ricondotto Silver Blaze, ancora non se ne ebbe notizia alcuna, e tutti gli zingari di Dartmoor sono sorvegliati davvicino. Le indagini hanno dimostrato che la cena di Hunter conteneva una notevole quantità di oppio, mentre le persone che in casa condivisero la stessa cena non risentirono alcun cattivo effetto.
Tali sono i principali fatti, spogli da ogni fioritura e raccolti pure il più semplicemente possibile
Ora vi recapitolerò ciò che la polizia credette bene di fare: Il caso fu affidato all’ispettore Gregory, un ufficiale molto competente; se un po’ meglio egli fosse stato dotato sotto il rapporto immaginativo, potrebbe pretendere a un posto molto elevato. Al suo arrivo ha subito trovato e arrestato l’uomo sul quale pesano tutti i sospetti.
Gli fu facile rintracciarlo, perchè abitava una di quelle ville che ho di già menzionato.
Il suo nome è Fitzroy Simpson.
È un uomo di una buonissima famiglia, ma dissipò la sua sostanza al turf, ed è ora bookmaker nei clubs di Londra. Fu trovato nel suo libro di conti che i suoi paris salivano a cinque mila lire contro il favorito. Nel momento del suo arresto, riconobbe d’esser venuto a Dartmoor nella speranza di avere qualche indicazione sui cavalli di King’s Pyland, ed anche su Desborough il secondo favorito che si trova sotto la custodia di Silas Brown, nelle scuderie di Mapleton.
Non cercò negare di avere agito come vi dissi, ma dichiarò essere venuto senza alcun cattivo intendimento e semplicemente per ottenere quelle informazioni di prima mano.
Divenne pallidissimo al vedere la sua cravatta, e fu affatto incapace di spiegare la presenza di quell’oggetto nelle mani del cadavere. I suoi abiti madidi tradivano la sua uscita notturna e la sua canna, un vero spaccatesta, era appunto l’arma che, con colpi ripetuti poteva aver ucciso l’allevatore.
D’altra parte il temperino trovato in mano a costui dimostrava che uno almeno degli aggressori doveva essere ferito, e su quell’uomo non v’era traccia alcuna di ferita.
— Ora Watson, voi ne sapete tanto quanto me, e se voi potete aprirmi la mente a qualche idea, ve ne sarò infinitamente obbligato.
Avevo ascoltato col più grande interesse la narrazione di Holmes; quantunque la maggior parte di questi fatti mi fossero già noti, non avevo abbastanza apprezzato la loro importanza relativa o il loro rapporto fra essi.
— Non è possibile, dico, che la ferita di Straker possa essere stata fatta dal suo proprio temperino, nella lotta convulsiva che segue ordinariamente un colpo al cervello.
— È più che possibile, anzi probabile, disse Holmes, e in tal caso uno dei più forti argomenti in favore dell’accusato, scompare.
— Temo che, qualunque sia la tesi che noi stabiliamo, essa non incontri gravi obbiezioni. Da quanto veggo, la polizia immagina che quel Fitzroy Simpson dopo avere dato qualche droga al groom si sia introdotto coll’aiuto di una seconda chiave nelle scuderie, e vi abbia preso il cavallo per farlo scomparire.
Simpson deve avergli messo la briglia perchè nella selleria essa non v’è.
Portando via il cavallo egli lasciò aperta la porta e fu attraversando lo stagno ch’egli sarà stato sorpreso dall’allevatore. Una lotta avrà naturalmente seguito quell’incontro e Straker, ucciso sul colpo, non avrà potuto ferire il suo avversario con quel temperino.
Il cavallo ha dovuto essere allora condotto via dal ladro, a meno che non sia sfuggito durante la lotta. In tal caso non può essere lontano.
Questa è la versione ammessa dalla polizia, e per quanto impossibile possa sembrare, le altre versioni lo sono ancor più.
Credo però che troverò facilmente la spiegazione dell’enigma, quando sarò sul posto, ma fin’allora nulla davvero potrei affermare.
Fu soltanto verso sera che noi raggiungemmo la piccola città di Tavistock, situata al centro del largo distretto di Dartmoor.
Fummo ricevuti alla stazione da due gentlemen.
L’uno, grande e forte, con capelli e barba molto folti, aveva degli occhi azzurri singolarmente penetranti, mentre l’altro era piccino, vivace, e portava una redingote, delle uose, e un monocolo.
Quest’ultimo era il colonnello Moss, lo sportman ben noto; l’altro, un uomo che si è fatto rapidamente un nome nel servizio della questura inglese, l’ispettore Gregory.
— Sono felice del vostro arrivo, signor Holmes, disse il colonnello. L’ispettore qui presente ha fatto tutto ciò che v’era a fare, ma voglio usare di tutti i mezzi per vendicare quel povero Straker e ritrovare il mio cavallo.
— Nulla avete più scoperto? chiese Holmes.
— Sono dolente di dovervi annunciare che non ho molto progredito, disse l’ispettore. Noi qui abbiamo una vettura scoperta. Se voi volete venire, parleremo di tutto questo andando a visitare i luoghi prima che non sia notte completa.
Un secondo più tardi, noi eravamo seduti in un comodo landeau, e rapidamente traversavamo la bella città di Devonshire. L’ispettore Gregory, tutto compreso del suo soggetto, incominciò a parlarne con grande vivacità, e Holmes lo interrompeva soltanto di tratto in tratto per fare una osservazione o una interjezione.
Il colonnello frattanto stava adagiato in fondo alla vettura col cappello abbassato sogli occhi, mentre io ascoltavo con interesse i due agenti della questura. Gregory esponeva la sua teoria, che quasi sotto ogni punto era conforme a quanto Holmes aveva predetto.
Le carichenota 1stringono Simpson da ogni lato, egli osservò, e credo realmente ch’egli sia il nostro uomo. Riconosco però che l’evidenza è precariamente circostanziale e che noi dobbiamo avere delle prove più convincenti.
— Che pensate del temperino di Straker?
— Noi abbiamo concluso che si era ferito da sè nella sua caduta.
— Amico mio, il dottor Watson, ha emesso la stessa opinione. Se così è, è una nuova prova contro l’accusato.
— Senza dubbio. Non aveva su lui alcuna traccia di ferita. Le prevenzioni sono certamente molto forti contro di lui. Ha un grande interesse nella scomparsa del favorito; è sospettato di avere avvelenato il groom; è uscito certo durante la pioggia; aveva un’arme e la sua cravatta fu trovata in mano al cadavere. Ritengo noi abbiamo bastanti prove per presentarci a un giurì.
Holmes tentennò la testa.
— Un abile difensore distruggerebbe subito queste prove. Perchè avrebbe portato via il cavallo? Se voleva impedirgli di concorrere, bastava ch’egli lo ferisse ove si trovava. Fu trovata una seconda chiave delle scuderie in suo possesso? Quale è il farmacista che gli vendette l’opium? E sopratutto come forestiere avrebbe potuto nascondere un tal cavallo? Che dice rapporto al viglietto che volle dare alla servetta per consegnarlo al palafreniere?
— Dice ch’era una banconota di dieci lire. Ne fu trovata una nella sua borsa. Le altre vostre obbiezioni son più facili a risolversi di quanto non sembri.
Non è la prima volta ch’egli vien qui, ha di già soggiornato due estati a Tavistock. L’oppio impiegato deve essere stato acquistato a Londra, e della chiave si sarà disfatto dopo il colpo. Quanto al cavallo, è forse in fondo a qualche vecchia miniera là negli stagni.
— E la cravatta, la riconobbe come sua?
— Sì, ma dice di averla perduta. Noi raccogliemmo un nuovo elemento capace di dimostrare ch’egli portò via il cavallo dalla scuderia.
Holmes drizzava gli orecchi.
— Delle traccie di zingari furono scoperte a un miglio circa dal luogo dell’assassinio, queste dimostrano ch’essi accamparono là nella notte di lunedì. Martedì essi erano partiti. Si può dedurre da ciò che qualche accordo potè esservi fra quella gente e l’assassino e che trassero il cavallo ben lontano da qui.
— Ciò è possibile.
— Si sta frugando nello stagno. Ed esaminai le scuderie e gli alberghi di Tavistock per un circuito di 10 miglia.
— Credo comprendere che non lungi da qui v’è un secondo stabilimento di allevamento.
— Sì, ed è un punto che non dobbiamo trascurare. Essi avevano interesse alla scomparsa del favorito, perchè «Desborough» il loro cavallo è valutato secondo nei pari.
— È noto come Silas Brown ha scommesso per quest’ultimo, e non era l’amico del povero Straker.
— Noi abbiamo esaminato le sue scuderie e nulla di sospetto fu scoperto.
— E nessun interesse lega Simpson allo stabilimento di Mapleton?
— Nessuno.
Holmes si affondò nella vettura e la conversazione cessò.
Qualche minuto dopo il conduttore ci mostrò una graziosa villetta a mattoni rossi guernita di una veranda. Un po’ più lungi, separato da una prateria, si trovava un edificio coperto di tegole bigie.
Nelle altre direzioni, si scorgeva la distesa degli stagni colorati dei pruneti, che si diffondevano all’orizzonte, tagliati solo dal campo di corsa di Tavistock, e da un’agglomerazione di case che indicavano il posto delle scuderie di Mapleton.
Scendemmo tutti, tranne Holmes, che, cogli occhi fissi al cielo, pareva interamente assorto nei suoi pensieri.
Soltanto quando lo toccai, egli si alzò bruscamente e balzò dalla vettura.
— Scusatemi, disse, volgendosi verso il colonnello Moss, che lo guardava un po’ sorpreso. Sognavo desto. Dicendo così, aveva uno strano bagliore negli occhi, e come io ero abituato a suoi modi, m’avvidi subito ch’egli seguiva una nuova pista, ma di più non potei indovinare.
— Vorreste forse veder subito il luogo del delitto, signor Holmes? disse Gregory.
— Preferirei rimanere qui per esaminare qualche dettaglio. Straker fu trasportato qui, presumo.
— Sì, è in alto. L’inchiesta incomincia domani.
— Fu al vostro servizio per molti anni, colonnello Moss?
— E non ebbi che a lodarmi sempre di lui.
— Presumo che avrete fatto l’inventario delle sue saccocce, subito dopo avvenuto il delitto, ispettore?
—Tutto quanto ho trovato fu messo nella sala. Volete venire?
— Con piacere.
Entrammo tutti in una sala e l’ispettore aprì una scatola di stagno, quadrata, e depose varie cose sul tavolo. V’era una scatola di fiammiferi, un pezzo di candela, una pipa in radice di rosa segnata A.D.P., una borsa in pelle di foca contenente una mezz’oncia di tabacco Cavendish, un orologio d’argento e una catena d’oro, cinque sovrane in oro, un porta-matita in alluminio, qualche carta, e un coltello a manico d’avorio a lama molto flessibile, marcata Weiss e C., Londra.
— Quel coltello è molto singolare disse Holmes, esaminandolo minuziosamente. Conclusi dal sangue che vi si trova, che doveva essere fra le mani del cadavere. Voi dovete conoscere questa specie di istrumento, Watson?
— È ciò che noi chiamiamo uno strumento da cateratte, dissi.
— Lo credo anch’io. La lama molto delicata è fatta per operazioni di questo genere. È una strana idea di portare con sè un’arma simile, sopratutto quando non si può chiuderla nella saccoccia.
— La punta era garantita da un pezzo di sughero, che fu trovata presso il corpo, disse l’ispettore.
— La moglie ci disse che questo coltello si trovava sul lavabo e che lo prese prima di lasciare la stanza.
Era una povera arma, ma è probabilmente ciò che avrà trovato di migliore pel momento.
— Molto possibile. Che contenevano quelle carte?
— Tre di esse sono delle fatture di foraggio. – Un’altra contiene delle istruzioni del colonnello Moss. V’è pure un conto di modista di trentasette scellini, proveniente dalla signora Lesurier de Bonstrettnota 2, e inviata a Guglielmo Derbyshire. Misternota 3 Straker ci spiegò che questo Derbyshire era un amico di suo marito e che la sua corrispondenza veniva talvolta spedita qui.
— La signora Derbyshire mi pare poco economa, disse Holmes guardando il totale. Ventidue ghinee mi sembrano una bella somma per una sola teletta. Però credo che nulla più di nuovo qui ci rimane a sapere, e faremmo bene visitare il luogo del delitto.
Uscendo dalla sala, vedemmo una donna che ci attendeva. Si avanzò verso noi e posò la mano sul braccio dell’ispettore: gli occhi aveva dilatati come sotto l’impressione di un orribile fatto.
— Li avete trovati? Li avete trovati? domandò.
— No, mistress Straker. Ma il signor Holmes è venuto da Londra per aiutarci e faremo tutti quanto sarà possibile.
— Vi ho di certo incontrata a Plymouth in una garden-party or fa qualche tempo, mistress Straker, disse Holmes.
— No, signore, v’ingannate.
— L’avrei giurato, però. Voi indossavate un abito in seta bigio argento guernito di piume di struzzo.
— Non ebbi mai un abito simile, rispose la signora.
— Allora mi sarò ingannato, disse Holmes.
E, facendo delle scuse, seguì l’ispettore nella strada. Dopo aver traversato un piccolo tratto di acque stagnanti, giungemmo ove era stato scoperto il cadavere. Sull’orlo del buco scorgemmo il cespuglio di ginestre, sul quale il mantello era stato gettato.
— Non vi fu vento durante la notte, credo, disse Holmes.
— No, ma piovve molto forte.
— In tal caso il mantello non avrebbe potuto volare fino al cespuglio. Vi fu dunque posato.
— Sì, vi era completamente posato.
— Voi pungete la mia curiosità. M’accorgo che il terreno fu molto calpestato. Molti curiosi debbono essere venuti qui nella notte di lunedì.
— Feci porre una stuoia di giunchi, e nessuno camminò altrove.
— Benissimo.
— Ho qui in questo paniere una delle scarpe che Straker portava allora, un’altra di Fitzroy Simpson, come una impronta del ferro di Silver Blaze.
— Avete davvero superato voi stesso, mio caro ispettore, disse Holmes prendendo il paniere, e, scendendo nel buco, posò la stuoia più nel centro. Poi si sdraiò in tutta la sua lunghezza e, appoggiando il mento alle mani, esaminò attentamente il terreno calpestato stendendovisi dinanzi.
Ma egli di repente esclamò:
— Che è questo?
Era un cerino semi esaurito, e ch’era tanto sporco di fango che lo si avrebbe preso al primo momento per un pezzetto di legno.
— Non so davvero come io non l’abbia veduto, disse l’ispettore confuso.
— Era affatto invisibile, sepolto nel fango. Io neppure l’avrei trovato, se non avessi immaginato trovarlo.
— Come! Voi speravate trovare questo cerino?
— Sì.
Ritirò allora le scarpe dal paniere e le adattò alle impronte del terreno. Poi scalò l’orlo del buco e si cacciò fra i pruni e i cespugli.
— Credo nulla più troverete, disse l’ispettore. Esaminai accuratamente il terreno sopra una discreta estensione in tutte le direzioni.
— Non vorrei assolutamente ricominciare un esame che voi già avete fatto, disse Holmes. Ma preferirei passeggiare un poco tra le paludi prima di notte affine di conoscere bene il mio piano per domani, e intascherò questo ferro da cavallo perchè ritengo che mi porterà fortuna.
Il colonnello Moss, un po’ impaziente dal metodo tranquillo col quale l’amico mio procedeva al suo esame, disse guardando il suo orologio:
— Vorrei che voi ritornaste con me, ispettore, bramerei consultarvi sopra varii punti, per esempio se non sarebbe opportuno il far radiare il nome del cavallo dalla lista della corsa?
— Non farò questo, esclamò Holmes; nulla deve essere mutato al programma.
Il colonnello salutò dicendo:
— Sono molto felice di avere la vostra opinione signore. Ci troverete nella casa del povero Straker quando avrete finito la vostra tournée, e potremo allora ritornare insieme a Tavistock.
Ciò detto il colonnello se ne andò coll’ispettore, mentre Holmes ed io proseguimmo la nostra passeggiata fra gli stagni.
Il sole già declinava dietro le scuderie di Mapleton; la lunga pianura inclinata a noi dinanzi si coloriva d’oro e il chiarore della sera si rifletteva sui cespugli in tinte più ricche e più fosche.
Ma quello splendido paesaggio era affatto perduto pel mio compagno, completamente assorto nei suoi pensieri.
— Ecco il cammino, Watson. Lasciamo per un istante la questione dell’assassinio di Straker, per non occuparci che del cavallo rubato.
Supponendo ch’esso sia fuggito durante o dopo la tragedia, ove potrebbe essere stato? Il cavallo è un animale poco amante della solitudine; fu lasciato in balìa di sè stesso, deve essere ritornato nelle scuderie di King’s Pyland, oppure a Mapleton. Perchè sarebbe rimasto negli stagni? In ogni caso vi sarebbe stato veduto.
Perchè i zingari lo avrebbero preso? Quei poveri diavoli sono talvolta molto innocenti delle colpe che loro vengono imputate, perchè hanno paura della questura.
Essi non potevano sperare di vendere una tale bestia, e avrebbero corso dei grandi rischi nulla guadagnando. Tutto questo è chiaro.
— Ove è dunque allora?
— Dissi già ch’esso deve essere a King’s Pyland o a Mapleton. Non è a King’s Pyland. dunque è a Mapleton. Prendiamo questa ipotesi come vera per vedere ove essa ci condurrà. Questa parte degli stagni è come l’ispettore ce lo fece osservare, dura e asciutta. Ma guardando, da qui a Mapleton, si scorge un po’ più lontano una profondità alquanto lunga, che dovette essere molto umida nella notte di lunedì. Se la nostra supposizione è giusta, il cavallo sarà passato di là, e potremo seguirne le traccie.
Durante questo dialogo noi avevamo camminato alquanto celeremente, e raggiungemmo in breve il luogo in quistione.
Alla domanda di Holmes presi il lato destro, mentre egli prendeva il lato sinistro, ma non avevamo fatti cinquanta passi che l’odo emettete una esclamazione e farmi dei cenni. Egli m’indica allora la traccia dei passi d’un cavallo profonda nella terra umida, e il ferro che seco egli aveva portato combacia esattamente colle impronte.
— Vedete ciò che sia l’immaginazione, disse Holmes. È una qualità che manca a Gregory. Noi immaginammo ciò che realmente è avvenuto, abbiamo agito dietro a queste supposizioni, e tutto quanto prevedemmo è reale. Proseguiamo.
Attraversammo il fondo paludoso, e camminammo circa un quarto di miglio sopra un terreno erboso.
Il terreno si affondò quindi di nuovo e rivedemmo le traccie. Indi sparvero durante un mezzo miglio, ma per mostrarsi di nuovo presso a Mapleton.
Fu Holmes che il primo le ritrovò, e me le indicò con un gesto trionfante. I passi di un uomo si distinguevano perfettamente accanto ad altre impronte.
— Il cavallo era solo innanzi? dissi.
— Sì, era solo, ma che veggo?
La doppia traccia volgeva bruscamente verso King’s Pyland. Holmes fischiò e noi seguimmo l’orma che attentamente egli esaminò.
Guardando un po’ di fianco, vidi, con immenso stupore, le stesse impronte provenienti da opposta direzione.
— Un buon punto per voi, Watson, mi disse l’amico quando gli ebbi indicata la mia scoperta, voi ci risparmiaste una lunga corsa. Seguiamo l’orma che ritorna.
Non dovemmo seguirla a lungo. Finiva dove incominciava un pavimento di asfalto che conduceva alle scuderie di Mapleton. Come ci avvicinavamo, vedemmo giungere un groom.
— Non abbiamo bisogno di curiosi qui, egli disse.
— Vorrei farvi una domanda, disse Holmes, introducendo il pollice e l’indice nel taschino come per prendervi una mancia. Non potrei vedere il signor Silas Brown domani alle cinque del mattino?
— Nessuno sa ciò ch’egli fa, nè dove egli sia, perchè è sempre il primo alzato. Ma eccolo, signore, vi risponderà meglio lui stesso. Non verrei accettare il vostro denaro dinanzi a lui, perchè il mio posto è troppo buono. Più tardi se vorrete.
Come Holmes rimetteva nel taschino la moneta che vi avea tolta, vide un vecchio gentleman uscire dallo stabilimento. Egli aveva in mano un frustino da caccia.
— Che c’è John? esclamò il personaggio. Non ho tempo di chiaccherare. Andatevene pei vostri affari. E voi, che diavolo vi conduce qui?
— Vengo a chiedervi dieci minuti di abboccamento, mio caro signore, disse Holmes colla voce più tranquilla.
— Non ho tempo di chiacchierare con un ozioso. Non vogliamo forestieri qui. Uscite, o vi lancio i cani alle calcagna.
Holmes si curvò verso lui e gli sussurrò qualche parola all’orecchio. L’allevatore trasalì.
— È una menzogna, un’infernale menzogna, gridò.
— Bene. Ma volete proseguire l’abboccamento in pubblico oppure volete che entriamo in casa vostra?
— Oh! venite… se volete.
Holmes sorrise.
— Non mi aspetterete che qualche minuto, Watson, disse. Ora signor Brown sono a vostra disposizione.
Attesi venti minuti, e quasi tramontava il giorno quando l’allevatore e l’amico mio ritornarono. Una enorme trasformazione era avvenuta nella persona di Silas Brown. Era mortalmente pallido, e grosse stille di sudore gli imperlavano la fronte.
Il frustino gli tremava nella mano come un ramoscello agitato dal vento.
I modi insolenti e arroganti aveano dato luogo a un atteggiamento di cane battuto.
— Le vostre istruzioni saranno fedelmente eseguite. Tutto sarà fatto.
— Non si tratta d’inganninota 4, disse Holmes guardandolo. L’altro fremette leggendo in quello sguardo una minaccia.
— Oh! no, siate tranquillo. Egli si troverà là. Lo cambierò prima o no?
Holmes riflettè un poco, poi ridendo disse:
— No, nulla fate, vi scriverò. Ma non frodinota 5, diversamente…
— Oh! potete fidarvi, farò come dite.
— Sì, ritengo anch’io. Avrete mie notizie domani. Dicendo queste parole, se ne andò senza fare attenzione alla mano tremante che l’altro gli porgeva e ci avviammo verso King’s Pyland.
— Ho ben di rado veduto un’unione più assortita di codardia e di arroganza quale in mastro Silas Brown, disse Holmes ritornando.
— È lui dunque che ha il cavallo?
— Cercò sulle prime di negare, ma gli descrissi così bene ciò ch’egli fece questa mattina, da farlo convinto ch’io l’abbia spiato. Voi osservaste la punta quadrata delle scarpe sulle impronte della strada? Eh! le sue vi corrispondono esattamente. Nessun domestico avrebbe acconsentito a fare una simile cosa. Gli descrissi in qual modo, essendosi alzato il primo di tutti secondo la sua abitudine, egli abbia veduto un cavallo ignoto vagare per gli stagni. Come avvicinandolo, ne fu stupito.
Perchè egli riconosceva dalla macchia bianca sulla fronte, che il caso gli aveva dato in possesso il solo cavallo capace di battere quello sul quale aveva scommesso.
Gli spiegai pure che il suo primo impulso era stato di riconoscerlonota 6 a King’s Pyland, indi che il pensiero di poter nasconderlo fino alla fine delle corse, gli aveva fatto cambiare opinione, e ch’era ritornato con lui a Mapleton.
— Ma le sue scuderie furono visitate.
— Oh! di un vecchio astuto par suo non si dovrebbe fidarsi.
— E voi osate lasciare il favorito in suo potere nel momento in cui tanto interesse avrebbe a nuocergli?
— Mio caro amico, egli lo custodirà come la pupilla dei suoi occhi. Sà ch’è il solo modo di ottenere il suo perdono.
— Il colonnello Moss non parmi troppo disposto a far grazia in nessun caso.
— Il colonnello nulla ci ha da vedere in tutto questo. Vedete che agisco a modo mio, e non dirò più di quanto mi converrà. È il vantaggio di un agente di questura privato.
Non so se lo osservaste Watson, ma il modo di agire del colonnello Moss fu meno che cortese a mio riguardo. Mi piace divertirmi un poco a sue spese. Non ditegli nulla di questo.
— Non lo farò certo senza il vostro permesso.
— Malgrado tutto, è una questione molto insignificante paragonata a quella dell’assassinio di Straker.
— E siete deciso a far ricerche sull’assassino?
— Tutt’altro, perchè riprenderemo subito la ferrovia per Londra.
Fui meravigliato della risposta del mio amico. Non potevo credere ch’egli volesse abbandonare una inchiesta che tanto felicemente era incominciata, e questo dopo qualche ora. Non potei ricavare da lui alcuna spiegazione fino al nostro ritorno all’abitazione dell’allevatore. Il colonnello e l’ispettore ci attendevano al parlatorio.
— L’amico mio ed io ritorniamo in città coll’express di notte, disse Holmes. Porteremo via un buonissimo ricordo della bella città di Dartmoor.
L’ispettore spalancò gli occhi. E le labbra del colonnello si piegarono ironicamente.
— Voi disperate già di arrestare l’assassino del povero Straker, disse.
Holmes alzò le spalle e rispose:
— Questa cosa è troppo oscura. Spero però che il vostro cavallo correrà martedì, in ogni caso, tenete il vostro jockey pronto per questo giorno. Potrei avere la fotografia del signor John Straker?
L’ispettore ne tolse una dalla basta e la porse a Holmes.
— Mio caro Gregory, voi preveniste ogni mio desiderio. Bramerei ora fare una o due domande alla domestica, se favorite aspettarmi un istante.
— Debbo dire che questo détective di Londra mi ha un poco sconcertato, disse bruscamente il colonnello Moss, mentre il mio amico lasciava la stanza. Siamo allo stesso punto di quando egli arrivò.
— Avete almeno la sicurezza che il vostro cavallo correrà?
— Sì, ne ho l’assicurazione, egli rispose alzando le spalle, ma preferirei avere il cavallo.
Volevo difendere il mio amico, quando egli ricomparve nella stanza.
— Ora, signori, sono pronto a seguirvi a Tavistock.
Un mozzo di scuderia ci aprì la porta della vettura; al vederlo Holmes parve assalito da un’idea, perchè gli chiese:
— Voi avete degli agnelli al pascolo, non è vero? Chi li custodisce?
— Io, signore.
— Nulla è accaduto a qualcuno di loro in questi ultimi giorni?
— Sì, ve ne sono uno o due che zoppicano da poco tempo.
Vidi che questa risposta molto soddisfava Holmes, perchè si stropicciò le mani.
— Questo è molto importante, Watson, egli disse stringendomi il braccio. Gregory, richiamo la vostra attenzione su questa strana epidemia fra gli agnelli. In cammino, cocchiere.
Il colonnello Moss sorrise: con espressione che dimostrava la debole opinione ch’egli aveva nell’abilità del mio compagno, ma vidi che l’attenzione dell’ispettore era stata eccitata.
— Questa circostanza vi pare importante? disse.
— Oh sì, importantissima.
— È il solo punto sul quale voi possiate attirare la mia attenzione?
— V’è pure la strana condotta del cane durante la notte.
— Il cane non si mosse in quella notte.
— Ebbene! appunto questo è strano, osservò Sherlock Holmes.
⁂
Quattro giorni dopo, Holmes ed io eravamo di nuovo in cammino per Winchester, affine di assistere alle corse della Coppa di Vessex. Il colonnello Moss ci aveva dato convegno fuori della stazione, e ci fece salire nella sua vettura.
I suoi modi verso di noi erano molto freddi.
— Non ho notizia alcuna del mio cavallo, disse.
— Suppongo che potreste riconoscerlo se lo vedeste! chiese Holmes.
Il colonnello rispose molto tediato:
— Sono vent’anni che mi occupo di cavalli, ed è la prima volta che una tale domanda mi viene fatta. Un bimbo riconoscerebbe Silver Blaze alla sua macchia bianca e al suo piede anteriore macchiato.
— Come vanno le scommesse?
— È una cosa strana. Avreste potuto ieri avere quindici sopra uno, ma poi la quota non fece che discendere, e in questo momento potreste appena tenere tre contro uno.
— Hum! disse Holmes. Si deve sapere qualche cosa – è cosa certa.
Entrando nel recinto, lessi sul programma delle entrate:
Corse di Wessex: per cavalli dai quattro ai cinque anni, entrata cinquanta sovrane, con premio di 1000 sovrane. Secondo premio 300 lire, terzo premio 200 lire.
Distanza 1 miglio e 5|8.nota 7
1. The Negro, del signor Heath. Berretto rosso, giacchetta canella.
2. Pugilist, del colonnello Wardlaw. Berretto rosa, giacchetta bleu e bianca.
3. Desborough, di lord Back Water. Berretto e maniche gialle.
4. Silver Blaze, del colonnello Moss. Berretto nero, giacchetta rossa.
5. Iris, del duca di Balmoral. Righe gialle e nere.
6. Nasper, di lord Singleford. Berretto porpora, maniche nere.
— Abbiamo ritirato il nostro secondo cavallo, fidandoci completamente alla vostra promessa, disse il colonnello, ma che sento? È mai possibile? Silver Blaze è favorito.
— Cinque a quattro contro Silver Blaze, si gridava nei ranghi. Cinque a quattro contro Silver Blaze! Cinque a quindici contro Desborough! Cinque a quattro sul campo delle corse.
— La lista è completa, esclamai. Son qui tutti sei.
— Tutti sei son qui? Ma allora il mio cavallo correrà, gridò il colonnello tutto agitato. Ma io non lo veggo. I miei colori non sono passati.
— Cinque soltanto passarono. Ecco il sesto!
Mentre parlavamo vedemmo un cavallo baio escire dal recinto del pesage, montato dai colori ben noti al colonnello.
— Non è il mio cavallo, gridò il proprietario. Quella bestia non ha macchie bianche sulla fronte. Che faceste, signor Holmes?
— Lasciateci prima vedere ciò che avverrà di questo, disse il mio amico senza turbarsi. Egli guardò qualche minuto col cannocchiale.
— Benissimo! La partenza è molto bella! Egli esclamò di repente. Giunge alla curva.
Dalla nostra vettura potevamo perfettamente vedere tutto il campo delle corse.
I sei cavalli erano talmente vicini l’uno all’altro che un tappeto avrebbe potuto tutti coprirli, ma a metà strada i colori gialli delle scuderie di Mapleton si avvantaggiarono, e i corridori non erano ancora innanzi a noi che già lo stallone Desborough era secondo e quello del colonnello prendeva la testa. Esso giunse primo di sei lunghezze. Iris del duca di Balmoral fu cattivo terzo.
— La corsa è per me, è cosa certa, gridò il colonnello passandosi la mano sugli occhi. Ma non riconosco nè la testa nè i piedi della bestia. Non credete signor Holmes, che questo mistero durò abbastanza?
— Certo, colonnello, ora tutto comprenderete, venite, andremo a vedere la bestia insieme. Eccola, egli proseguì entrando nel «pesage», dove i proprietari e i loro amici avevano soltanto il diritto di entrare. Fategli lavare la testa e il piede collo spirito di vino, e rivedrete il vostro vecchio «Silver Blaze» come prima.
— Sono letteralmente sbalordito!
— Lo ritrovai in mano di una specie di usuraio, e mi presi la libertà di farlo correre appunto nello stesso travestimento nel quale era stato nascosto.
— Voi avete compiuto delle meraviglie, mio caro signore. Il cavallo non subì alcun danno. Non fu mai meglio di così in sua vita. Vi debbo un milione di scuse per avere dubitato della vostra abilità. Mi rendeste un gran servigio ritrovando il mio cavallo. E voi me ne rendereste uno più grande ancora se poteste mettere la mano sull’assassino di Straker.
— È cosa fatta, disse tranquillamente Holmes.
Il colonnello ed io lo guardammo con stupore.
— Lo avreste scoperto? ove trovasi allora?
— Qui.
— Che dite? Qui?
— In compagnia nostra, in questo momento.
Il colonnello arrossì di collera e disse:
— Riconosco d’esser vostro debitore, signor Holmes. Ma però ciò che voi dite mi appare come un brutto scherzo, o come un insulto.
Sherlock sorrise.
— Oh! – disse – non penso affatto ad implicarvi nella quistione, colonnello. Il vero assassino sta dietro a voi.
Ciò dicendo, Holmes mosse qualche passo e posò la mano sul collo lucente del puro sangue.
— Il cavallo? – dicemmo noi.
— Sì, il cavallo. Ma vi dirò che esso ha per sè la giustificazione della legittima difesa e che John Straker era un miserabile il quale abusava della vostra fiducia. Ma sento la campana, e siccome sono un po’ cointeressato nella seconda corsa, vi pregherò di rimettere a più tardi questa spiegazione.
⁂
A sera ritornando a Londra, eravamo soli nel nostro scompartimento. E, senza dubbio, il viaggio dovette sembrare molto breve al colonnello quanto a me.
Holmes, difatti, ci spiegò il dramma tal quale era avvenuto il lunedì sera nelle scuderie d’allevamento di Darmoor, e il modo in cui tutto egli avea scoperto.
— Confesso – disse – che le teorie che avevo formato secondo i rapporti dei giornali erano completamente false. Epperò, si poteva trovarvi delle indicazioni esatte, sapendo svincolarle dai tanti dettagli che nascondevano la loro vera natura. Fu colla convinzione della colpevolezza di Fitzroy Simpson ch’io venni a Devonshire, quantunque l’evidenza non mi apparisse completa. Scopersi il valore della circostanza di quel famoso ragoût d’agnello, pensandovi durante il nostro tragitto in vettura. Dovete rammentare la mia distrazione, perchè rimasi nella vettura quando voi eravate scesi. Ero occupato nel domandarmi come avessi potuto lasciar passare un punto tanto importante.
— Devo dire – disse il colonnello – che anche adesso mi domando ciò che bastò ad aiutarvi.
— Fu il primo anello della mia catena d’induzioni. L’oppio in polvere ha un leggero sapore, non sgradito, ma molto percettibile. Questa droga mescolata a qualsiasi altro cibo non avrebbe mancato d’essere riconosciuta. Col piatto di ragoût d’agnello l’ostacolo scompariva. Ora, difatti, non era in potere di un estraneo come Fitzroy Simpson, il far servire tale piatto nella famiglia dell’allevatore, e supporre ch’egli fosse stato portatore di tale polvere precisamente il giorno in cui questo cibo veniva servito – era cosa più inverosimile ancora. Dunque Simpson era e fu posto fuori di causa e concentrammo tutta la nostra attenzione su Straker e sua moglie, le sole persone in caso d’aver avuto per cena il ragoût d’agnello.
Altra osservazione: l’oppio deve essere stato sparso non sul ragoût, ma unicamente sulla porzione del garzone di scuderia che solo ne risentì gli effetti. Ma allora chi potè toccare questo cibo senza essere veduto dalla domestica?
Prima di risolvere tale questione, avevo cercata e trovata la spiegazione del silenzio del cane, perchè invariabilmente una deduzione ne conduce ad un’altra. Il racconto dell’incidente di Simpson mi avea appreso che la scuderia era custodita da un cane, e questo malgrado la presenza di un estraneo, non aveva abbajato in modo da destare i grooms nel granaio. Dunque il visitatore notturno dovea essere famigliare all’animale.
Da queste deduzioni ero venuto a credere che soltanto John Straker potea essere l’autore del rapimento del cavallo. Ma con quali intenzioni avea egli potuto agire? Certo per uno scopo disonesto, diversamente non avrebbe dato il sonnifero al groom.
Il difficile era scoprire il vero motivo di questa condotta.
Non sono rari gli esempi di allevatori che colla complicità dei bookmakers puntano delle forti somme contro il proprio cavallo e facendo tutto il possibile per impedire alla bestia di giungere prima al segnale.
Talvolta questo si ottiene con un truc di jockey, o con altro mezzo più sicuro e più astuto. Speravo che il contenuto delle tasche di John Straker mi ajuterebbe a formare una conclusione. E non m’ingannai.
Non avrete dimenticato lo strano coltello trovato in mano del cadavere: era un istrumento che nessuno poteva pensare di prendere come arma offensiva o difensiva. Ma, come ve lo dissi, il dottore Watsonnota 8, esso viene impiegato specialmente nelle operazioni chirurgiche più delicate. Ebbene, era precisamente per un’operazione che il coltello in questione doveva servire quella notte. Colla vostra grande esperienza in materia di sport, saprete senza dubbio che si può, senza che nulla veggasi, praticare un leggiero taglio al garretto di un cavallo in modo da farlo zoppicare molto leggermente, e potere attribuire questo zoppicamento a un reumatismo o ad uno sforzo sopravvenuto durante gli esercizii.
— Ladro! miserabile! esclamò il colonnello.
— La bestia al contatto del coltello nel suo garretto certo dovea dibattersi e nitrire, e così destare i dormenti. Perciò Straker, non avendo la scelta, dovea operare all’aria aperta, lungi dagli occhi indiscreti.
— Dio, quanto fui cieco! – esclamò il colonnello. – Ecco perchè gli occorsero le candele e gli zolfanelli.
— Evidentemente! Ma esaminando il contenuto delle sue saccoccie, non vi scopersi soltanto il metodo del delitto, ma ben anche i motivi che lo guidarono.
Come uomo di mondo, colonnello, voi sapete che nessuno ha l’abitudine di occuparsi dei conti altrui. Ne abbiamo abbastanza dei nostri.
Trovando di queste fatture nelle tasche dell’allevatore, immaginai che costui conduceva una vita a partita doppia, che aveva il peso di una seconda famiglia.
Vidi dal genere delle fatture che nella faccenda entrava una signora, e che questa signora doveva avere dei gusti molto costosi. Per quanto generoso possiate essere coi vostri servi, è poco probabile ch’essi guadagnino di che pagare delle toilettes di venti ghinee alle loro mogli.
Senza lasciargli sospettare la mia intenzione, interrogai destramente Mistress Straker rapporto all’abito, e appresi così che il dono non era stato per lei. Presi allora nota dell’indirizzo del sarto, perchè ben sospettavo che mostrandogli la fotografia di Straker, sarei convinto sulla identità del gentleman che si era presentato sotto il nome di Derbyshire.
Allora tutto mi fu facile. Straker aveva condotto il cavallo in una curva del terreno affinchè il suo lume non fosse veduto. Simpson aveva perduto la sua cravatta scappando, e Straker l’avea raccolta forse coll’idea di servirsene per bendare la ferita dello stallone.
Arrivato sul posto, quando Straker avrà voluto arrischiare la sua operazione, il cavallo molto ombroso, si sarà spaventato di quella brutta luce, e collo strano istinto d’ogni animale all’avvicinarsi d’un pericolo, si sarà dibattuto poi sarà fuggito lanciando un calcio alla fronte di Straker. Questi, malgrado la pioggia, aveva ritirato il suo mackintosh per procedere alla sua delicata operazione e nel momento in cui esso cadde sotto il calcio, il coltello gli entrò nella coscia. Tutto ciò è chiaro?
— Voi siete davvero stupefacente. Si direbbe abbiate assistito a tutta la scena – esclamò il colonnello.
— Un’ultima spiegazione mi rimaneva a trovare. E non era facile, lo confesso. Ero sicuro che un uomo astuto quanto Straker non avrebbe voluto intraprendere il suo colpo senza esservisi prima esercitato con un po’ di pratica.
Scorgendo gli agnelli, mi venne l’idea di fare al pastore la domanda che sapete, e con mio grande stupore la risposta confermò la mia supposizione.
Al mio ritorno da Londra, mi recai presso il fornitore della toilette, questi riconobbe Straker come un buon cliente chiamato Derbyshire.
Mi disse pure che la moglie del suddetto doveva avere delle tendenze aristocratiche. Il resto si indovina:
Straker, indebitato fino al collo dalle esigenze della signora, cercò la sua salvezza in questa misera mariuoleria.
— C’è una cosa che voi non avete spiegata, disse il colonnello. Ove trovaste il cavallo?
— Esso era sequestrato e curato da uno dei vostri vicini. Ci sarebbe forse qualche cosa a ridire da questo lato, ma dovetti promettere che non si andrebbe più in là colle ricerche, e che vi sarebbe amnistia.
Eccoci giunti a Clapham Junction, parmi. Se volete farmi l’onore di entrare in casa mia, fumeremo uno sigaro e potrò comunicarvi qualche altro particolare che vi potrà interessare.
Fine.
nota 1 – Nell’originale: “The net is drawn pretty close round Fitzroy Simpson”, in italiano “La rete si stringe intorno a Fitzroy Simpson”. [Nota per l’edizione elettronica Manuzio]
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nota 2 – Nell’originale: “of Bond Street”, cioè “di Bond Street” [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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nota 3 – Nell’originale: “Mrs. Straker” [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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nota 4 – Nell’originale: “There must be no mistake”, cioè “Non ci devono essere errori” [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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nota 5 – Nell’originale “tricks” cioè “scherzi” [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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nota 6 – Nell’originale: “to lead him back”, cioè “ricondurlo” [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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nota 7 – Nell’originale: “one mile and five furlongs”, dove il “furlong” è una unità di misura pari a 1/8 di miglio, cioè 201 metri [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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nota 8 – Nell’originale: “It was, as Dr. Watson told us, a form of knife” cioè in italiano “Era, come vi disse il dottor Watson, un tipo di coltello” [Nota per l’edizione elettronica Manuzio].
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il cavallo di corsa
AUTORE: Arthur Conan Doyle
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Le avventure di Sherlock Holmes : romanzo illustrato. - Milano : Tip. Edit. Verri, 1895. - 160 p. : ill. ; 20 cm.
SOGGETTO:
FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti
FIC022000 FICTION / Mistero e Investigativo / Generale