Dalla battaglia di classe alla guerra sui social, i gruppi della sinistra digitale si muovono tra ideali radicali e strategie di marketing politico, rivelando contraddizioni che minacciano di diluire la loro stessa essenza rivoluzionaria.
La sinistra contemporanea, un tempo radicata nelle piazze e nei luoghi di lavoro, si è reinventata in uno spazio virtuale, abbracciando la potenza della rete per diffondere i suoi ideali e organizzare le sue battaglie. Oggi, una moltitudine di gruppi italiani e internazionali animano i social media con un fervore che ricorda quello dei movimenti del passato, ma che tradisce una sostanziale differenza: la transizione da un’azione collettiva tangibile a una lotta digitale, frammentata e spesso autoreferenziale. Tra i protagonisti più noti troviamo i Democratic Socialists of America (DSA), la cui presenza online è tanto forte quanto disorganizzata, e gruppi italiani come il Nuovo Partito Comunista Italiano (NPCI), che riprendono e riadattano le retoriche del secolo scorso.
Questi gruppi, seppur diversi per origine e ideologia, condividono una modalità espressiva comune: una dialettica compulsiva e spesso indecifrabile, che parafrasa la prosa dei vecchi movimenti rivoluzionari. Si tratta di un linguaggio che cerca di affermare la propria autenticità ideologica attraverso il richiamo a concetti arcaici, ma che spesso risulta estraniante per chi non è già parte del circolo. Questa narrazione, sebbene affascinante nella sua radicalità, manca di concretezza e si perde in un mare di slogan che rischiano di non trovare mai una realizzazione pratica. Le nuove tecnologie e i social media, inoltre, sembrano aver sostituito la lotta di piazza con futuribili pseudorivoluzioni digitali, che si traslano in un ricettacolo di neoradical chic, più interessati all’estetica della protesta che alla sua efficacia.
Le finalità di questi gruppi, a volte, appaiono distanti dagli obiettivi originali della lotta di classe e della tutela del proletariato. Molte delle battaglie condotte, pur avendo una valenza sociale, sono percepite come più utopistiche che pragmatiche. Le campagne per la giustizia climatica, i diritti LGBTQ+ e l’abolizione delle forze dell’ordine, per quanto importanti, spesso si intrecciano in modo confuso con questioni economiche e di classe, creando un panorama di rivendicazioni che rischia di perdere coerenza e impatto. A livello globale, queste formazioni sono interconnesse in una rete che sembra pronta a esplodere, con alleanze fragili che si formano e si disgregano rapidamente, tutte accomunate da una retorica che disdegna, almeno in apparenza, il “Dio denaro”.
Mentre alcuni di questi gruppi mostrano segni di declino, incapaci di adattarsi alle nuove dinamiche politiche e sociali, altri sono in ascesa, spinti dalla crescente disillusione nei confronti dei partiti tradizionali. I Democratic Socialists of America, ad esempio, hanno visto una crescita significativa durante le campagne di Bernie Sanders, ma ora sembrano faticare a mantenere la stessa energia. Al contrario, realtà come il NPCI, sebbene più piccole e radicali, stanno guadagnando visibilità, anche se spesso per le ragioni sbagliate, come dimostra la recente controversia legata alla loro “lista di proscrizione” di presunti agenti sionisti in Italia.
In questo contesto, emergono gruppi occulti e paradossalmente capitalistici, che riescono a manipolare a proprio vantaggio le dinamiche della sinistra digitale. Queste entità sfruttano la strumentalizzazione e il sensazionalismo per compensare la loro marginalità intrinseca, spingendo la narrazione politica verso direzioni che finiscono per svuotare di contenuto le stesse rivendicazioni che sostengono di portare avanti. La recente iniziativa del nuovo Partito Comunista Italiano, con la pubblicazione di una lista di “agenti sionisti”, è un esempio emblematico di come la sinistra dei social possa essere manipolata, generando più scandalo che reale cambiamento.
A questo punto, è legittimo chiedersi se la sinistra dei social si sia arresa. L’entusiasmo e la militanza che hanno caratterizzato l’ascesa dei Berniecrats e delle prime ondate di socialismo digitale sembrano essersi trasformati in una sorta di cinico pragmatismo, dove il compromesso diventa la regola e la radicalità l’eccezione. È una sinistra che, pur criticando il sistema capitalistico, sembra talvolta accettarne le regole del gioco, cercando di sopravvivere in un ambiente dominato da algoritmi e visibilità a breve termine.
In definitiva, la sinistra digitale si trova a un bivio: continuare a evolversi, rischiando di perdere la propria identità, o riflettere su cosa significhi veramente essere rivoluzionari in un’epoca in cui la lotta di classe sembra un’eco del passato. Quale che sia la strada scelta, è chiaro che il futuro della sinistra non potrà prescindere da un profondo ripensamento delle sue strategie e dei suoi obiettivi. Senza una revisione critica, il pericolo è che il movimento si trasformi in un fenomeno di moda, più interessato a collezionare “like” che a cambiare il mondo.