I padroncini
di
Luigi Capuana
tempo di lettura: 8 minuti
— Madonna mia!… I padroncini!
Con le mani in tasca e il bastone sotto braccio, il pecoraio si era fermato ad aspettare al varco i quattro monelli che laggiù, in fondo alla strada, tiravano sassi a un albero di albicocco per farne cascare a terra le albicocchine immature. Le macchie di rovi, che formavano siepe da quel lato, e la fronda d’un grosso ulivo che sormontava il ciglione gl’impedivano di riconoscerli.
I quattro monelli poi non stavano fermi; si abbassavano per prendere i sassi da lanciare, si accapigliavano per raccorre le albicocchine cascate, giravano di qua e di là attorno all’albero per colpire – si capiva bene dai gesti – i rami più carichi; insomma pareva sguizzassero a posta per non farsi riconoscere.
Il pecoraio aveva assistito cinque buoni minuti allo strazio del povero albicocco dai cui rami veniva giù un nugolo di foglie e fronde per la grandinata di sassi che lo colpiva; poi non ne aveva potuto più e aveva gridato: — Oohh! Oohh! — in tono di minaccia. I monelli si erano fermati, avevano guardato in direzione della voce e, riconosciutolo, avevano risposto con un urlo di gioia:
— Pecoraio! Pecoraio!
E gli si erano slanciati incontro di corsa. Allora li aveva riconosciuti anche lui e subito gli era sfuggita quell’esclamazione : — Madonna mia!… I padroncini! — che non significava certamente un bell’elogio a quei monelli.
Infatti, ogni volta che i quattro figliuoli minori del padrone arrivavano alla fattoria, si poteva dire che arrivavano quattro diavoli scatenati.
E ogni anno, nel mese di maggio, il caso si dava tutti i sabati dopo pranzo. Venivano a piedi dal paesetto vicino, affidati alla custodia di un contadino che, non avendo voglia di correre come loro, spesso li perdeva di vista a metà di strada; e per quella mezza giornata e l’intera giornata della domenica, la fattoria era proprio messa sossopra senza un minuto di tregua. Galline e tacchini sbandati, inseguiti pei campi di frumento; asini fatti imbestialire da mazzi di spine introdotti sotto la coda; vitellini perseguitati a colpi di canna o di bastone, e che il ragazzo del bovaro stentava a rimenare in istalla; aratri trascinati attorno; carrettelle rovesciate pei burroncelli; zappe, tridenti seminati da per tutto, secondo il capriccio del momento. E non dico niente del saccheggio all’uva agresta, alle mele, alle susine immature, agli alberi di albicocco e di ciliegio; niente delle scalate ai tetti del casamento in cerca di nidi di passerotti. Come mai quei diavoletti non si facessero male, non ricevessero qualche calcio dalle bestie, anzi non si rompessero l’osso del collo, pareva proprio un miracolo. Ma i contadini avevano ordine di lasciarli fare; e li lasciavano fare brontolando però sotto voce, perchè poi toccava a loro rimenare al posto gli oggetti dispersi, rassettare e far sparire ogni traccia di quella specie di saccheggio.
Per ciò, al riconoscerli, il pecoraio aveva esclamato:
— Madonna mia!… I padroncini!
Egli era arrivato soltanto da una settimana alla fattoria, con le pecore che dovevano pascolare su per le colline e per la vallata dello Sgombo, e ricordava con spavento quel che gli era toccato di tollerare il maggio dell’anno passato.
Dopo pochi minuti, li vide scoppiare in mezzo alle pecore che pascolavano tranquille e che si sbandarono, impaurite anche dagli urli di gioia dei quattro ragazzi datisi ad afferrarle pei velli, per le corna, per le code, a rincorrerle chi di qua, chi di là.
— Ecco la ricotta! — gridò il pecoraio, per impedire che continuassero.
E alzando il braccio, mostrò il cestino che la conteneva.
— Bravo, pecoraio! La ricotta! la ricotta!
Gli saltarono addosso; ognuno voleva essere il primo a levargli di mano il cestino, e dava spinte, urtoni all’altro, urlando, ridendo; tanto che il pecoraio si sentì intenerito di quella allegra gazzarra fanciullesca, sorrise, abbassò il braccio e consegnò il cestino con la ricotta al maggiore, dicendo:
— Portatela alla fattoria; qui non c’è piatti.
E sospirò, come sollevato da un peso, quando li vide andar via di corsa, il maggiore avanti, col cestino in alto quasi fosse stato una spoglia di vittoria, e gli altri dietro, acclamanti, facendo sollevare un nugolo di polvere, peggio che se passasse per la via una mandra di capre.
* * *
Quell’anno i padroncini parevano presi da particolare affezione pel pecoraio e per le pecore.
La mattina, mentre egli si disponeva a mungere il latte, gli abbai del cane gliene preannunciavano l’arrivo; e tosto giungevano, ognuno munito di piatto, di cucchiaio e di una fetta di pane fresco, per mangiare la giuncata o la ricotta calda o semplicemente una zuppa di pane e latte.
Fossero rimasti tranquilli, non sarebbe stato niente. Ma volevano metter le mani dappertutto, mungere loro, e loro rimescolare il latte posto a scaldare, e loro far fuoco, e aiutare il pecoraio, cioè e imbarazzarlo nelle delicate operazioni del frutto, come egli diceva. Il poveretto doveva avere cent’occhi, cento mani per impedire che quei benedetti figliuoli non rovesciassero la caldaia o i secchi col latte.
Fin il cane di guardia si mostrava seccato del chiasso importuno, e ringhiava accoccolato davanti al pagliaio per impedire che coloro vi entrassero; pareva capisse che quei ragazzi avevano paura della bestia sciatta, pelosa e brutta che egli era.
Quella volta intanto, invece d’un giorno e mezzo, i ragazzi dovevano rimanere alla fattoria l’intera settimana. C’erano non so quali vacanze, e il babbo, forse per stare più tranquillo in casa, li aveva mandati in campagna.
Indurli a tornare alla fattoria, dopo mangiata la giuncata o la ricotta o la zuppa di latte, ogni mattina era una fatica.
— Vogliamo stare con voi; venire dietro le pecore!
Il pecoraio, alla fine, era riuscito a persuaderli; prometteva che, al ritorno dal pascolo, avrebbe loro portato fiori di campo, o nidiate di uccelli, o bacchette lunghissime, o avrebbe raccontato una bella fiaba; così i padroncini lo lasciavano in pace.
Un giorno però essi volevano aspettarlo dentro il pagliaio, per non rifare due volte la strada dalla fattoria alla mandra.
— Dentro il pagliaio no!
— Perchè?
— Perchè no. Lì non ci può entrare nessuno.
I ragazzi parvero convinti di questa perentoria ragione. Ma appena stimarono che il pecoraio doveva essere con le pecore nella vallata dello Sgombo, tornarono addietro da sotto il carrubo dove s’erano fermati a mezza strada, e in due salti si trovarono davanti al pagliaio.
Avevan ordito una congiura. Sapevano che il pecoraio riponeva lì dentro la ricotta che poi la sera egli soleva portare alla fattoria; dovevano mangiarsi quella ricotta, per farlo disperare. E la mangiarono.
* * *
Il povero pecoraio strillò contro i contadini della fattoria; sospettava autore del furto uno di loro. Non gli era accaduto mai in vita sua che qualcuno avesse osato rubargli una goccia di latte; intanto, da due giorni, gli mancava un bel cesto di ricotta al giorno.
— Se me n’accorgo, rompo la testa anche al figlio di mio padre!
E i ragazzi che erano presenti alla sfuriata, stettero zitti e seri, un po’ impauriti della minaccia; ma appena il pecoraio andò via, di nascosto dei contadini, per non farsi scoprire, si diedero a saltare, a ridere, a battere le mani, applaudendosi per la prodezza fatta.
Non risero il terzo giorno. Tornavano quatti quatti alla fattoria rimpinzati della ricotta fresca rubata; quando proprio sotto il carubbo dovettero fermarsi.
Si erano guardati in viso, e si eran visti pallidi, bianchi come cenci lavati, e non avevano potuto dirsi neppure una parola, tanto si sentivano sconcertati di stomaco.
Il minore diè l’esempio il primo; poi lo imitarono gli altri tre, uno appresso all’altro, quasi invece di ricotta avessero ingoiato un violento vomitivo. Il minore piangeva, chiamando: — Mamma! Mamma! — Il maggiore voleva fare il coraggioso, ma non si reggeva in piedi. Si misero a piangere tutti e quattro, a gridare, a chiamare il fattore.
Un uomo accorse dal fondo vicino, e si spaventò vedendoli ridotti a quel modo. Ne prese in collo due, li portò alla fattoria, e tornò a prendere in collo gli altri sotto il carrubbo.
Le donne del fattore non sapevano che rimedio apprestare; volevano spedire un messo al paese per avvertire il padrone.
— Che avete mangiato, Signore Iddio? Uva agresta? Frutta immature?
— Abbiamo mangiato la ricotta!
Lo confessarono tutti e quattro insieme.
Ma nessuno gli credeva, vedendoli contorcere anche dai dolori di pancia; pensavano che il pecoraio non poteva poi avergliene data tanta, da produrre quello sconquasso.
Il pecoraio passava tra quei contadini un po’ per medico, un po’ per fattucchiere; perciò gli diedero la voce dall’alto; — Venite su, presto: venite! Lasciate le pecore. — Lui solo poteva consigliare, lì per lì, qualche rimedio per quei poveri bambini.
Arrivò trafelato; e appena li vide, si diè un colpo alla fronte:
— Madonna! Erano loro che mi rubavano la ricotta!
Per accertarsi che il ladro fosse stato uno dei contadini della fattoria, come gli era venuto il sospetto, quella mattina egli aveva messo nel latte certi succhi di erbe a lui note, che non facevano molto male, ma davano dolori di pancia e producevano vomiti.
— Non è niente, — disse. — Un po’ d’acqua bollita, con due stille di limone.
E il poveretto angustiandosi che il vomitivo fosse proprio toccato ai ragazzi, non finiva di ripetere, meravigliato e mezzo incredulo:
— Erano loro che mi rubavano la ricotta.
* * *
La lezione giovò. I ragazzi nei giorni appresso lasciarono in pace pecoraio e pecore, e non vollero neppur sentir nominare la ricotta.
Fecero anche meno chiasso, meno capestrerie. D’allora in poi, a ogni loro ritorno alla fattoria, se essi accennavano a riprendere un po’ di solito aire, bastava che il fattore dicesse: — Eh, padroncini, ci vorrebbe un po’ di ricotta! — perchè tutti e quattro si frenassero e anche stessero un po’ cheti.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: I padroncini
AUTORE: Capuana, Luigi
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Il drago e Cinque altre novelle pei
fanciulli / Luigi Capuana. - 2. ed. - Torino : G. B.
Paravia, 1907. - 95 p. ; 20 cm.
SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)