Titolo: I demoni di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo, 2008
Con: Miki Manojlovic, Carolina Crescentini, Roberto Herlitzka, Anita Caprioli, Filippo Timi, Patrizia Sacchi, Sandra Ceccarelli, Giovanni Martorana, Giordano De Plano, Emilio De Marchi, Enzo Saturni.
Montaldo torna al lungometraggio dopo 18 anni (Tempo di uccidere, 1989) e rafforza il senso del proprio impegno culturale e politico contro le soluzioni violente dei problemi sociali, siano delitti di Stato (Sacco e Vanzetti, 1970) o attentati terroristici contro lo Stato. I demoni di San Pietroburgo si apre proprio con l’uccisione di un membro della famiglia dello Zar ad opera di una pattuglia di rivoluzionari. E’ il 1860 e le idee di Bakunin hanno in Russia una circolazione sempre meno sotterranea. Fjodor Mikhajlovic Dostojevskij (Manojlovic), che ha conosciuto i lavori forzati in Siberia dopo essere stato graziato dalla condanna a morte, viene a sapere dal giovane Gusiev (Timi), ricoverato in manicomio, di preparativi per altri attentati contro la famiglia imperiale. Lo scrittore, stretto dall’angoscia di dover consegnare all’editore il manoscritto de Il giocatore entro 5 giorni, sente anche di dover ad ogni costo cercare di convincere Aleksandra (Caprioli), la borghese che ha scoperto essere a capo dei terroristi, a non proseguire nell’azione: «Il popolo non vi capirà». Tormentato dai dubbi e dai fantasmi della sua dolorosa esperienza – «demoni» che a volte si manifestano in attacchi di epilessia – Dostojevskij continua a dettare ad Anna (Crescentini), la stenografa che poi sposerà, il romanzo, il primo dei suoi capolavori, con quella sensibilità e passione che quasi fa credere persino all’ispettore Pavlovic (Herlitzka) che «un giorno la rivoluzione vincerà». Nel passaggio dal rivoluzionario al maturo grande scrittore, nel cui animo viene prevalendo a scapito delle astratte teorie l’interesse per la complessità dell’uomo, s’intuisce che ha dovuto essere la spinta centrale di Montaldo a realizzare il film già da molti anni pensato e progettato (scritto da Paolo Serbandini da un’idea di Andrei Konchalovsky). Non a caso i momenti cruciali sono nei colloqui tra Dostojevskij e Pavlovic, ossia tra Manojlovic e Herlitzka, i due attori che, proprio in quei momenti, sanno rendere l’articolazione drammaturgica e insieme il profondo turbamento che li coinvolge in un unico discorso al di là della contingenza politica: una complessità che resta estranea alle pur giuste «didascalie» di cui si nutre la narrazione, con «chiarimenti» forse utili ad uno spettatore «a luce accesa» (televisivo), ma che poco aggiungono all’arte del film. «Mi ispiro alla vita», dice Fjodor Mikhajlovic ad Anna che vuole sapere quale sia la fonte del suo racconto. Niente di meno semplificabile e di più attuale.