Il trasferimento a Roma della sede della capitale del regno d’Italia, proclamato nel 1861, avvenne in pratica nel 1871, quando vi si trasferì la corte savoiarda. L’impegno e le illusioni di tanti protagonisti della storia risorgimentale vennero presto frustrati dal provincialismo corrotto, alimentato per secoli dal clericalismo vaticano, sul quale era riuscito a inserirsi prontamente e brillantemente il gusto per l’intrigo, l’inutile sfarzo, il clientelismo fine a se stesso della monarchia. In questo quadro alcuni autori, che rientrano certamente nel novero dei “disillusi”, hanno intessuto le trame dei loro romanzi.
Giustino Ferri, che in quegli anni si era trasferito a Roma, dedicò a questo ambiente e alla passione per l’intrigo che si era sviluppato al meglio tramite la mirabile sintesi tra clero e aristocrazia, una trilogia di romanzi dei quali questo Gli orecchini di Stefania è il primo. Pubblicato in appendice al “Capitan Fracassa” col titolo Un dramma all’Alhambra, nel 1884 fu ripreso dall’editore Sommaruga che modificò il titolo mantenendo tuttavia lo pseudonimo Leandro per l’autore.
I tre romanzi furono accomunati da un “pre titolo” posto tra parentesi Roma gialla. Giallo è infatti il colore della bandiera vaticana. Ferri stesso anticipa programmaticamente il filo comune di questa trilogia: «Gli orecchini di Stefania sono istoriati di tutti gli intrighi, le trame, gli avviluppamenti più ingarbugliati della sottigliezza gesuitica, della astuzia clericale, aiutata dalla ricchezza e dalla potenza patrizia.» L’intrigo, in questo primo romanzo della trilogia, verte sul tentativo di “incastrare” un giovane nobile incolpandolo di furto, per mezzo di una diffamazione accuratamente studiata e congegnata nel tempo. Il personaggio sul quale si impernia questo tentativo calunnioso appare sotto vesti che sono ben lontane dall’essere le sue, ma il mistero sulla sua identità si dissiperà solo all’epilogo del romanzo.
Primo impegno narrativo di ampio respiro del Ferri, presenta tutte le caratteristiche tipicamente negative del romanzo d’appendice, sia per lo sviluppo della trama che per la scrittura spesso un poco arruffata, svelando la non ancora compiuta padronanza da parte dello scrittore sullo svolgersi della narrazione. Ebbe comunque vasto successo al momento della pubblicazione e segna senza dubbio uno dei tentativi letterari più interessanti di mettere a nudo le piaghe più purulente dell’ambiente che si era venuto a costituire nelle prime fasi di sviluppo di Roma capitale sovrapponendo alla Roma vaticana la nuova Roma “umbertina”.
Già si intravede comunque la potenza d’intuito che ha poi consentito al Ferri di disegnare in opere successive la vita intima di un certo ambiente e i suoi umori più nascosti e inconfessabili. Volendo tracciare un parallelo con un altro scrittore che nella stessa epoca cercò di mettere a nudo la corruzione dell’ambiente, viene inevitabilmente alla mente Gaetano Carlo Chelli che contemporaneamente al Ferri pubblicò, in appendice al “Fanfulla” e poi in volume ancora con l’editore Sommaruga, La colpa di Bianca : I drammi della vita romana. Quest’ultimo ha però una nuova edizione nel 2006 mentre l’unica riedizione della trilogia Roma gialla è stata operata dall’editore Apollon nel 1944 con adattamenti e manomissioni indirizzati a epurare la vicenda narrata da ogni sfumatura satirica e scandalistica; i risultati sono addirittura paradossali e grotteschi, basti pensare alla figura non certo edificante del cardinale Marescalchi che nell’edizione Apollon diventa “conte” e alle variazioni assurde operate nel finale. Una riedizione contemporanea è stata annunciata ma mai realizzata.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
La luce fioca, tremula, azzurriccia della lampada d’oro e di vetro di Murano, sospesa alla vòlta, non giungeva oltre le punte luccicanti del fogliame esotico che correva su per il cielo e le piccole pareti della stanza pentagona, a forma di mitra. Quel fogliame pareva il capriccio ornamentale di un artista, che, invece di dipingere rabeschi vegetali, li avesse ritagliati con le forbici e si fosse divertito a disporli qua e là in cespugli a rilievi.
Il resto era come perduto nell’ombra, salvo in un punto solo, dove s’intravvedeva, in un pallido riflesso, lo sforzo di uno specchio per richiamare un po’ di luce sulla sua spèra.
Tratto tratto, saliva dall’ombra alla luce un suono ora argentino, ora sguaiato di acqua smossa: piccole onde di un mare microscopico, agitato da una tempesta infinitesimale.
C’era nell’aria un profumo acutissimo, odore minerale, qualche cosa d’ingrato, che inebriava deliziosamente e faceva male.
S’udì il suono soffocato di una pendola lontana, e l’acqua si agitò laggiù nel buio un po’ più forte: qualcuno mandava di là un profondo sospiro: poi – nulla.
Ma, quando, dopo qualche minuto, la pendola ripetè le sue ore, una portiera fu sollevata, fra i due angoli che chiudevano la base della mitra, e una freccia di luce bianca guizzò rapidamente sui disegni gialli e rossi della stuoia, che copriva il pavimento.
Scarica gratis: Gli orecchini di Stefania di Giustino Ferri.