(voce di SopraPensiero)
Genere. Per una storia critica dell’uguaglianza, volume cardine dell’opera del sociologo austriaco Ivan Illich, appena pubblicato da Neri Pozza è una operazione editoriale di notevole rilevanza.
In primo luogo perché la precedente edizione italiana è fuori commercio da molti anni e si collocava fino ad oggi come la grande assente nell’ambito dei bestseller illichiani (si pensi ad esempio che classici come Nemesi medica o La convivialità sono appena stati ristampati da RED, dopo esserlo stati nel 2005 da Boroli). Ma soprattutto per la quantità di «rifiniture di pregio» che la caratterizzano, dalla scelta di pubblicare (per la prima volta in italiano) la Premessa alla seconda edizione tedesca del 1995, alla densa Nota finale al testo di Fabio Milana (studioso pluridecennale dell’opera di Illich), fino alla brillante Introduzione di Giorgio Agamben, direttore della collana «La quarta prosa».
Perché leggere oggi Genere di Ivan Illich? Certamente perché, in generale, l’opera del grande sociologo è tuttora misconosciuta, fraintesa, sottovalutata, strumentalizzata. Ma anche perché, in particolare – come evidenzia Agamben con le parole di Benjamin – è questa «l’ora della leggibilità» di Ivan Illich: fuori dai tanti irrigidimenti dottrinari che lo hanno voluto, alla bisogna, cristiano o marxista, iconoclasta o femminista. Oggi è possibile leggere Illich al di fuori delle polemiche che ne hanno fatto l’ideologo di un ritorno al passato, contrario alla scienza e al progresso; per apprezzarne finalmente l’attualità e l’utilità in ordine alla risoluzione di problemi che la nostra forma di progresso (che non è l’unica; né evidentemente la migliore, a giudicare dai problemi sociali e ambientali in cui ci troviamo immersi) ha in buona parte contribuito a generare. Un libro che parla della trasformazione dell’amore in mera sessualità – ennesima forma di riduzione operata dal capitalismo nella sua pretesa di espansione globale, che esorbita dalla sfera prettamente economica per invadere quella del modo in cui l’uomo vede il mondo e vi si colloca. Ma anche della perversione del cristianesimo e del mysterium iniquitatis, che lo sguardo acuto di un «archeologo della modernità» come Illich ci aiuta a illuminare. E forse, almeno un po’, a guarire.