In quel nostro villaggio di montagna, arrampicato a quasi ottocento metri di altezza, Evelina era la ragazza più bella. Era diversa dalle altre ragazze, sembrava avere qualcosa di esotico. In effetti lei e la sua famiglia le consideravamo straniere, anche se venivano da Porto Santo Stefano, una cittadina lontana da noi poco più di una cinquantina di chilometri. Mi ero innamorato di lei fin da quando l’avevo vista e mi ero convinto non solo che profumasse di mare, ma che dal mare avesse ripreso tutta la sua vitalità e bellezza.
Evelina la potevi riconoscere da lontano per la cascata dei suoi capelli nerissimi, per la sua corporatura agile e snella, per il suo modo di muoversi. Da vicino poi era una gioia, occhi neri e vivaci, labbra rosse e sorridenti per mostrare, sembrava, i denti regolari e bianchissimi. Era venuta ad abitare vicino a me, una casa ai margini del villaggio, oltre la quale si snodava una strada polverosa non asfaltata, transitata soprattutto da cavalli, asini, muli e qualche bicicletta. Ogni tanto passava da lì anche qualche camion sollevando una fastidiosa nuvola di polvere.
Mi piaceva vederla e parlare con lei quando mi era possibile. Avevo diciannove anni, meno di un anno più di lei e sognavamo insieme il nostro futuro. Un futuro diverso, io quello di partire, di andare via da lì, lei di tornare al suo pase sul mare. Ci incontravamo al viale degli olmi, ci sedevamo su una panchina da cui era possibile ammirare un bel panorama, il degradare dalle colline fino alla pianura. E, in lontananza, quando non c’era foschia, si vedeva fino al mare.
Mi aveva raccontato della sua infanzia durante la guerra, del padre morto sotto le bombe, della sorella che appena dopo la liberazione del suo paese si era innamorata di un soldato americano di pelle nera, ed rimasta incinta mentre lui era partito per il fronte ed era morto in Piemonte in uno scontro con i tedeschi. Ragazza madre, si era sposata con Marcello, il pescivendolo. Lui aveva anche dato la paternità al bambino, che nel frattempo era nato ovviamente con la pelle scura. Evelina stimava molto Marcello, per il suo coraggio–perché ci vuole coraggio per sposare una ragazza madre, aggiungeva–e per la cura che mostrava per la famiglia e il lavoro.
Da parte mia, forse per timidezza, non le avevo rivelato a pieno i miei sentimenti. Poi Evelina mi aveva preceduto, dicendomi che era legata a un ragazzo del suo paese. Con lui si scriveva tutte le settimane e ogni tanto si incontravano, quando andava con Marcello, il cognato, che una volta alla settimana scendeva con la sua auto giardinetta fino al mare per comprare il pesce. Così, pur non nascondendoci la reciproca simpatia, avevamo regolato il nostro rapporto sulla base di un affetto amicale.
Non essendoci al mio villaggio scuole oltre a quelle di base, studiavo per corrispondenza, volevo conseguire un diploma e naturalmente passavo molte ore in casa a studiare. Era ormai più di una settimana che non incontravo Evelina. Quella mattina però me la sentii prima bussare e poi entrare in casa: all’epoca nel nostro villaggio le case non venivano chiuse, accostavamo solo la porta d’ingresso, anzi siccome era estate l’avevo lasciata semiaperta. Entrò chiedendo semplicemente permesso, mi disse che dalla strada mi aveva visto attraverso la finestra seduto dietro la scrivania.
– Ti ho chiamato da fuori, ma… – disse.
– Forse non ho sentito, ero immerso nella lettura – spiegai.
– Posso sapere che leggi?
– Beh, un romanzo…
– Un romanzo? Ma leggi o studi?
– Insomma… In verità leggo per studiare. Vedi? – chiusi il libro e le mostrai la copertina – Si tratta de I Malavoglia, è un romanzo dell’Ottocento.
– Bravo te! In casa mia non ci sono libri e io mi limito a leggere qualche foto romanzo che compra mia sorella. Ma sono qui per chiedere un favore. Non c’è tua madre?
– Mia madre è in campagna col babbo. In questi giorni stanno partorendo le capre e loro non tornano a casa prima di sera. E non so a che ora.
– Forse allora posso chiedere a te. Ecco…in famiglia siamo in difficoltà, ci manca la farina per il pane. Dice Marina che voi la vendete!
Eravamo nel 1948, la guerra era finita da qualche anno, ma molti generi alimentari, come il pane e la pasta, ancora scarseggiavano. La invitai a sedersi e lei si sedette mentre le rispondevo.
– Per la verità di farina di grano ne abbiamo poca anche noi, abbiamo molta farina di granoturco. Ma…
– Ma?
– Ma sono dispiaciuto che…
– Che siamo difficoltà? I soldi non ci mancano, mio cognato guadagna bene, però la farina di grano non si trova. E siamo stufi di mangiare sempre polenta e gnocchi di patate, credo che non mangerò più gnocchi per tutta la vita!
Rise e il suo riso mi andò dritto al cuore. Avere in casa quella ragazza così bella e vivace, di cui ero innamorato e che ora mi si presentava con una richiesta tanto concreta, mi dava un senso di straniamento.
– A me gli gnocchi piacciono invece – dissi ridendo a mia volta – Ma ora, se aspetti un attimo, salgo in soffitta e ti porto un sacchetto di farina di grano. Pesa una decina di chili, va bene no? Se poi ne avrete bisogno di altra sarà meglio che parli con mia madre o anche con mio fratello più grande. Io mi occupo poco di queste cose.
Dopo pochi secondi ero già sceso con un sacchetto sotto il braccio. Trovai Evelina al suo posto ma nel frattempo si era alzata in piedi e aveva tirato fuori di tasca un rotolo di banconote.
– Ecco – dissi – questo è un mio regalo. È pesante questo sacchetto, ti accompagno a casa, così saluto anche Marina.
– Un momento – fece lei decisa – Non sono venuta qui per avere alcun regalo. E poi ti ho detto che il denaro non ci manca. Dimmi il costo, voglio pagarti.
Era arrossita violentemente. Non volevo farla sentire in imbarazzo.
– Ascoltami bene – replicai a mia volta un po’ imbarazzato mentre mi avviavo con una certa fretta verso la porta di uscita – tu e la tua famiglia siete miei vicini di casa, avete bisogno di una sciocchezza e io voglio aiutarvi. Spero che me lo consentirai.
Marina ci aspettava sulla porta. Quando le dissi che questo era un regalo non mi parve affatto imbarazzata, si limitò ai più sentiti ringraziamenti.
– Parlerò con tua madre – aggiunse – So che voi avete difficoltà a reperire il sale mentre Marcello di sale al porto ne trova quanto vuole. Saprò contraccambiare il grosso favore che mi fate.
Mia madre si mostrò favorevole al fatto che avessi regalato un sacchetto di farina alla famiglia di Evelina. Mi parlò mentre preparava la cena ed era presente anche mio fratello.
– Tante chiacchiere e poi… Sono brave persone in quella famiglia, ecco cosa sono. E anche generose. Già l’anno scorso ci hanno regalato dei pacchi di sale, è grazie a loro se non abbiamo mangiato sciapo!
– Chiacchiere di che genere? Non capisco – chiesi.
– Quando Marcello sposò Marina tutti gridarono allo scandalo. Un bravo ragazzo e un bravo lavoratore come lui che sposava una ragazza madre e per di più con un bambino di pelle nera! E invece si è trovato bene, Marina è una donna seria e… sì, onesta. Più di tante altre.
Mia madre tacque e come presa da un dubbio si passò una mano sugli occhi, poi si rivolse verso me chiedendo: – Di te piuttosto mi dicono che ti vedono spesso con Evelina? Non sarà che…
– Che?
– Che ti ci vedi troppo spesso?
Non mi aspettavo quell’osservazione.
– Ma mamma – dissi con un tono di disapprovazione – perché questa domanda? Evelina è un’amica!
– Amica? Può esistere amicizia tra un ragazzo e una ragazza?
– Certo! Evelina è un po’ diversa dalle altre. Voglio dire che è una ragazza intelligente e anche…bella. E anche…Tacqui.
Capivo che più parlavo e più mia madre si metteva in sospetto.
– Attento che non sia troppo bella – concluse infatti lei in tono acido.
Insomma mia madre, mentre per certi versi si era mostrata aperta, si era sentita in dovere di intervenire per proteggermi. Ma proteggermi da che? Mio fratello maggiore, che era stato durante la guerra partigiano e sapevo che lui aveva un atteggiamento diverso su queste cose, mi chiamò da parte e mi domandò a bruciapelo: – Ma tu non dici sempre che vuoi andartene da questo paese?
– Sì, ma che c’entra? E poi dove vado? Ho fatto e sto facendo dei concorsi…
– Spero che tu lo vinca uno di quei concorsi. Mamma è buona, ma… Sai che si dice di Marina in paese? Che solo un cretino come Marcello poteva raccattarla. Raccattarla, capisci? Dicono così. Il fatto è che gli uomini vogliono sposarsi con ragazze giovani, remissive e illibate!
– Illi… che? – risposi stupito. Non conoscevo il significato di quella parola.
– Illibata, cioè vergine, cioè che non abbia mai scopato con altri!
– Ma che c’entra tutto questo con Evelina?
Lui non rispose, ma si allontanò facendo sì con la testa. Era un invito a pensarci.
Sarà stato un segno del destino? Il giorno dopo ricevetti la comunicazione ufficiale che ero vincitore di un concorso per allievo specialista nell’Aeronautica Militare. Dovevo partire da lì a pochi giorni. Decisi di accettare subito. Mia madre volle fare una cena con i vicini di casa per festeggiare l’evento e invitò naturalmente anche Evelina, oltre che Marina e il marito.
– Farò gli gnocchi – disse decisa.
– No, gli gnocchi no! – le urlai quasi.
– Perché? Cos’è questa novità?
– Non te l’ho mai detto mamma, ma a me gli gnocchi non sono mai piaciuti.
Qualche giorno dopo, viale degli olmi, stessa panchina. Evelina stava lì seduta accanto a me. Domattina all’alba partirò per Caserta, scuola allievi specialisti AM che significa Aeronautica Militare.
– Pericolo scampato – disse lei a un certo punto.
– Che pericolo?
– Che io te ci fossimo fidanzati e forse sposati.
– Ma dai, non scherzare. Quando ci siamo incontrati tu avevi già il fidanzato!
– Non è vero!
– Che dici?
– Non avevo un fidanzato, ti assicuro!
– Ma smetti!
– Smetti niente! Era una bugia!
– Una bugia? E perché mi hai raccontato una bugia?
– Perché volevo che ti guardassi bene bene dal dirmi che eri innamorato di me. Perché capivo che lo eri!
– Non volevi che…
– No!
– Ma perché?
– La nostra amicizia è stata così bella! Quando stavo con te mi sembrava di stare non con un ragazzo ma con un’amica. I miei sentimenti per te forse erano diversi. Non capisci?
– Non capisco.
– Ma sì, anche io ero innamorata di te, ma forse in modo diverso.
– Eri o sei?
– Ero e sono.
– Ma insomma spiegati!
– Me lo avevi detto che volevi partire. E fai bene, forse io ti avrei trattenuto e non volevo.
– Ah!
– Che vuol dire ah?
– Che ti sei permessa di scegliere per me!
Non rispose. Iniziò invece un lungo discorso sui suoi precedenti amori, che a soli diciotto anni erano stati molti, ma proprio molti. Amori con ragazzi della sua età e con uomini più grandi di lei. Io l’ascoltavo, non sapevo se mi stava raccontando altre bugie, anzi dal modo in cui parlava avevo il sospetto che fosse proprio così. La bella Evelina era in fondo una gran bugiarda?
– Mi sento confuso – dissi a un certo punto.
– Ora ti chiarisco tutto. Lo so e lo sanno tutti che voi uomini volete una ragazza giovane, remissiva e illibata…
Le stesse parole di mio fratello! Le idee mi si confusero di più. Rimasi in silenzio.
– Le ho lette sui fotoromanzi di mia sorella queste parole! Lo sai che cosa significa illibata vero? – insisté.
A me nel frattempo era venuto in mente che anche mio fratello leggeva i fotoromanzi, anche lui se li faceva prestare da Marina. Ma si poteva credere a quello che si scriveva sui fotoromanzi? No, però il fatto era che nei fotoromanzi si dicevano le stesse cose che diceva la gente.
– Certo, illibata significa pura…
– E che non ha scopato con altri, cioè è vergine. Ebbene io non sono vergine!
Rimasi indifferente. Mi importava se era vergine o no? Non ci avevo mai pensato. Certo nei Promessi sposi Manzoni racconta che Lucia fa un voto di castità, ma non avevo mai pensato al fatto fisico della verginità. Glielo dissi come la pensavo.
– Forse queste cose le pensano solo qui, in questo paese di montagna. Io non credo di pensarla come gli altri! – conclusi.
Sorrise e parlò anche lei in tono conclusivo.
– Ma no, la pensano così anche a Milano e a Palermo, te lo assicuro. Cavolate! – Poi cercando di cambiare discorso aggiunse: – Chissà se ci rivedremo. Domani parto anche io, mia madre è a Porto Santo Stefano, vive sola e io vado a stare con lei. Invece Marina e Marcello non hanno più bisogno di me. Marina è incinta e il bambino è contento che presto le arriverà un fratello o una sorellina per giocarci insieme. Il mondo è tanto bello e loro pensano a certe cavolate! Cavolate, cavolate, cavolate!
Si alzò e pensai che forse aveva ragione. Mi abbracciò e mi diede un bacio, un bacio vero.
In effetti non l’ho più vista Evelina. Ma ho rivisto invece, dieci anni dopo, Marina. L’ho incontrata per caso a Roma, in un posto quasi romantico, a piazza di Spagna. Sta con Marcello e vive non più al mio villaggio, ma in un altro paese della costa. Ci siamo riconosciuti subito e ci siamo abbracciati. È pieno inverno e ci rifugiamo in un caffè. Seduti a un tavolo, prima ci siamo detti tante cose. Poi ho chiesto di Evelina, come anche loro si aspettavano. Tutto normale, è sposata ed ha figli, il marito lavora nel commercio della legna e del carbone, vivono bene a Porto Santo Stefano. A bassa voce, quasi come se non volesse farsi sentire da Marcello, Marina mi dice che lei mi pensa ancora perché le parla spesso di me. Anche io, le dico, la penso spesso, e sto dicendo la verità. Racconto poco della mia vita, se non che vivo solo, che ho fatto carriera militare e sto partecipando a un concorso per ufficiale.
Prima di salutarli lascio loro il numero di telefono di casa mia. È quasi una formalità, immagino che non mi chiameranno mai.
Invece la sera stessa il telefono squilla. È Evelina. Inutile nasconderlo, il cuore sobbalza, mi sento avvampare, la voce svanisce. È davvero una cosa meravigliosa della vita il fatto che i sentimenti si conservino così a lungo in qualche parte nascosta del cervello e riaffiorino anche quando altri sentimenti importanti sembrava che li avessero sostituiti.
Ha il tono della voce chiaro, solare, veritiero Evelina. Come sempre. Mi dice che è in casa con il marito, mi fa capire che il marito sa di questa telefonata, che anzi è contento di questa tenue dolcezza dei suoi ricordi. È brava Evelina a condurre le discussioni, difatti a un certo punto mi domanda se mi ha disturbato.
– Oh, no! – la rassicuro – stavo vedendo la tv.
– Anch’io ho visto fino a poco fa la tv. C’è il festival di Sanremo. Secondo te chi vincerà il festival quest’anno?
– No… Non saprei – balbetto.
– Io invece lo so che tu lo sai!
– Che dici?
– Sei sensibile, ti conosco! Non ti puoi sbagliare.
Non ci avevo pensato a chi potrebbe vincere il Festival quest’anno, ma ora che Evelina mi parla di sensibilità un nome mi viene alla mente: Domenico Modugno con Volare. Glielo dico.
-Se vince davvero Modugno ti telefono – dice allegra – Sai? Anch’io credo che vincerà lui. Te l’ho fatto dire apposta!
E Modugno vince davvero. Tutti cantano Volare! ma Evelina non mi ritelefona. Penso che sia perché, conoscendola anch’io, so che non le piace sentirsi dire brava. Come non le piaceranno gli gnocchi immagino.
Sento di nutrire per lei un indefinito affetto, se non altro per avermi regalato giornate solari nel buio del mio povero paese montano. Voglio ricordarmela sempre così, compresi i suoi imbarazzi e compresa qualche bugia (non ho mai creduto alla storia dei suoi tanti amori!) resa quasi necessaria da pregiudizi antichi. E so che così mi ricorderà anche lei.
Fine.