Con gli stessi personaggi del dialogo precedente – L’anima e la danza che può essere scaricato in questa stessa biblioteca Manuzio – Valery valuta, in Eupalinos o l’architetto, la possibilità di accedere, una volta superata la soglia della vita mortale, a una conoscenza più vera, autentica.

Questi dialoghi furono concepiti nel 1921 e formano in realtà una trilogia: intermedio tra i due già citati troviamo infatti l’incompiuto e molto poco conosciuto Peri tôn tou theou – Dialogue des choses divines. Eupalinos ou l’Architecte – Dialogue des morts era stato parzialmente pubblicato nel n. 90 del 1921 di “La Nouvelle Revue Française” e subito dopo – nel settembre 1921 – nella sua versione completa all’interno del volume Architectures. Recueil publié sous la direction de Louis Suë et André Mare, comprenant un dialogue de P. Valéry et la présentation d’ouvrages d’architecture, décoration intérieure, peinture, sculpture et gravure contribuant depuis mille neuf cent quatorze à former le style français.

Nel loro dialogo Fedro e Socrate cercano di addentrarsi sulla riflessione di che cosa sono realmente i morti. Valery è interessato alla condizione umana dopo la morte, che dovrebbe assurgere alla funzione di fattore essenziale per la vita stessa, cessare di essere un «mistero sconvolgente», e aprire alla riflessione sul rapporto tra la condizione successiva alla morte e quello che siamo stati in vita.

Quando Valéry compose questa trilogia di dialoghi attraversava una situazione personale che lui stesso definisce come stato emotivo di «devastazione»; questo stato, che va visto in rapporto alle vicende biografiche dell’autore delle quali ho parlato nella nota biografica, lo allontana dalle idee positiviste e lo riconduce a una riflessione attenta sulle caratteristiche e implicazioni dell’affettività, della sensibilità, dell’interiorità.

La prima condizione che riscontrano Fedro e Socrate nella loro attuale condizione di ombre di defunti consiste nell’impossibilità di provare emozioni. Tuttavia provano profonda ammirazione per certe manifestazioni architettoniche e si pongono quesiti su che tipo di sensibilità entra in gioco nell’atto di costruire. Quindi Fedro introduce la figura di Eupalino. C’è da specificare che non si tratta dell’Eupalino «storico» – quello che costruì l’acquedotto sotterraneo dell’isola di Samos – ma assume invece i connotati di «nome collettivo» come spesso accade per i personaggi famosi che Valery porta all’interno delle sue opere. La prima indicazione di Eupalino si concreta nell’idea che nell’esecuzione di un’opera non esistono particolari. Ne segue da parte di Socrate una riflessione sull’importanza dei particolari ad esempio nel linguaggio e nella medicina. Da queste riflessioni scaturisce poi la considerazione di come i particolari siano decisivi in ogni campo, fatta eccezione per la filosofia. Il susseguirsi dei ragionamenti tra Fedro e Socrate porta poi ad ammettere che costruirsi e conoscersi sono azioni in sostanza equivalenti. Eupalino vuole catalogare gli edifici in tre categorie: quelli muti, quelli che parlano e quelli che cantano. Questo concetto introduce anche il ragionamento su come classificare le arti, per cui la discussione porta a concludere che abbiamo musica e architettura separate da tutte le altre arti. Esse entrano in profonda simbiosi con l’uomo e non richiedono interpretazioni mediate da intermediari.

Il fulcro del dialogo lo abbiamo quando Socrate narra l’evento accidentale (rinvenimento di un oggetto) che lo portò a non essere architetto: tale oggetto venne trovato accidentalmente in riva al mare ed era una conchiglia, «un povero oggetto, una certa cosa che trovai camminando, fu l’origine d’un pensiero che si spartiva fra costruire e conoscere.» Fedro comprende quindi «come tu abbia potuto esitare fra costruire e conoscere.» E Socrate risponde: «Bisogna scegliere tra l’essere un uomo ed essere uno spirito.»

Questo conduce a meditazioni che portano a una delle sintesi più interessanti che la letteratura ci abbia offerto tra teoria e prassi. Fedro porta una mirabile esemplificazione parlando del navigatore fenicio Tridone che, secondo lui, è l’uomo che impersona al meglio l’incontro tra teoria e prassi.

Che la sintesi operata da Valéry in questo dialogo rappresenti davvero un «unicum» o quasi nella storia del pensiero è idea corroborata dal fatto che questo dialogo abbia suscitato entusiasta consenso da artisti e pensatori così differenti come, ad esempio, Walter Benjamin – «una delle cose più belle scritte da Valéry» – e Rainer Maria Rilke che ne fu incondizionatamente ammirato. Credo che il lettore attento non potrà non vedere che in questo dialogo troviamo probabilmente la sommatoria svolta nella maniera più completa e nello stesso tempo complessa del pensiero di Valéry.

Questo e-book è basato sulla riedizione del 1988 della prima traduzione italiana del 1932.

Del libro uscirono tre edizioni, con nota dell’autore e commento di Giuseppe Ungaretti: nel 1931 e 1932 uscirono le prime due edizioni per l’editore R. Carabba, facenti parte della collezione “Antichi e moderni in versioni scelte da Giuseppe Antonio Borgese”. Nel 1933 uscì la terza edizione, facente parte della collezione dei “Quaderni di Novissima”, che incluse anche la Lettera su Eupalino scritta dallo stesso traduttore e stampata autonomamente in edizione fuori commercio l’anno precedente. Siamo particolarmente lieti di poter oggi riproporre in questa biblioteca Manuzio questo scritto di Contu.

Questa traduzione – elogiata dal Valéry stesso nella nota scritta appositamente per l’edizione italiana – è opera del giornalista scientifico Rafaele Contu, che fu indotto a intraprendere questa traduzione dal poeta Ungaretti, il quale fa seguire al testo il suo commento che, purtroppo, siamo stati costretti ad omettere per ragioni di diritti d’autore che, nel caso di Ungaretti, non sono ancora scaduti. Ungaretti è particolarmente colpito, leggendo questo dialogo, da «l’affanno per la morte e l’immortalità, questo grande affanno umano non “trova corpo” se non nella trasparenza di una memoria purificata». Infatti se Fedro non ode e non scorge nulla, Socrate risponde «forse non sei morto abbastanza». Il segreto dell’arte di Valéry, dice quindi Ungaretti, è di «svolgere le sue riflessioni come se avesse già superato la vita». Per questo Socrate può concludere dicendo:

«Laggiù, immortale; relativamente ai mortali!… Ma qui… Non v’è qui, e tutto ciò che abbiamo detto può essere il giuoco naturale del silenzio di questi inferni, come la fantasia di qualche retore dell’altro mondo che ci avesse scambiato per marionette! In ciò rigorosamente consiste l’immortalità.»

Ungaretti d’altra parte è colpito e affascinato dal fatto che per Valéry lo strumento principe per l’interpretazione della realtà sia sempre il proprio corpo. La civiltà è una «somma di opere» ed «una tensione a nuova arte». Ma l’opera dell’uomo è sempre un «disordine» rispetto al prodotto della natura; il suo fabbricare per «astrazione» rende in ogni caso l’opera dell’uomo «di gran lunga inferiore a quella della natura».

Da segnalare, tra le traduzioni più recenti, quella di Barbara Scapolo che contiene anche lo scritto di Valery del 1891 Il paradosso dell’architetto e alcune lettere di Valery a proposito di Eupalinos.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

FEDRO
Che fai costì, Socrate? Ti cerco da tanto e percorrendo il nostro pallido soggiorno ho chiesto di te ovunque: qui tutti ti conoscono, ma nessuno ti aveva visto. Perché allontanarti dalle altre ombre? Quale pensiero t’ha raccolto l’anima, appartata dalle nostre, presso i confini di quest’impero delle cose trasparenti?
SOCRATE
Aspetta: non ti posso rispondere. Sai anche tu che per i morti la riflessione non si può dividere e che in questa nostra semplicità dobbiamo pur subire fino all’ultimo il corso d’un’idea; mentre ai vivi, che hanno un corpo e son come bugno ed ape, è dato uscire di conoscenza e rientrarvi.
FEDRO
Ottimo Socrate, taccio.

Scarica gratis: Eupalino o dell’architettura di Paul Valéry.