Una storia meravigliosaIl suo vero nome era Armando Simonetti (Roma, 13 ottobre 1903 – Firenze, 8 febbraio 1995), la sua città d’azione Lucca, da cui proveniva sua madre, e dove è sepolto in un piccolo cimitero nelle colline circostanti. A Lucca donò tutti i suoi libri e a Lucca ha la sua sede la Fondazione a lui intitolata.
Trasferitasi, lui ancora piccolo, la sua famiglia a Parigi, respirò l’aria dei movimenti artistici che vi facevano le nuove esperienze sia nella pittura che nella letteratura. Affascinato in special modo dal Futurismo ebbe interesse per le avanguardie, sotto la cui influenza compose i suoi primi scritti: «L’amico dell’angelo», 1927 e «Ioni», 1929. Se ne allontanò nel 1933 con il romanzo «Metamorfosi». Attirò su di sé l’attenzione di critici e artisti come Marinetti, Tilgher, Ungaretti, Bassani, Pampaloni, Moravia, Alvaro, Zavattini. Fu collaboratore di «Solaria», che gli consentirà di conoscere e frequentare Eugenio Montale. Scrisse molto. Tra le tante sue opere, vanno citate anche: «Anima e corpo», 1934; «La pietra di David», 1946; «Gli Inquieti», 1956; «Le buone intenzioni», 1959; «Una storia meravigliosa», 1964; «La fortuna e il momento», 1970; «L’inatteso», 1973.
Scrisse per il teatro: «Il Faustino», 1952; «La coda santa» 1953; «La vedovella» 1956; «Carambola», 1957; «La collana», 1962.

Attraverso una prosa riflessiva (mi viene in mente Giorgio Saviane, anche se differenze ci sono e importanti), Terra ci tiene per mano e cerca di aiutarci a capire la vita.
Riccardo Tessin è un professore che per dedicarsi ai suoi studi si è trasferito a Ginevra, vendendo una azienda chimica ricevuta in eredità. Va a trovare ogni tanto la figlia Nucci, che vive a Roma e non ha mai perdonato al padre la vendita dell’azienda, che l’avrebbe fatta vivere nell’agiatezza. Il marito Piero è invece più conciliante. Tra i due, Riccardo nota degli screzi. Le solite scaramucce tra coniugi. In casa ospitano anche un’amica, Agata Cardini, che si sta godendo la sua bellezza e la sua gioventù.

Uno degli assunti del romanzo viene esplicitato abbastanza presto, in modo che il lettore possa meglio seguire la storia: «L’innocenza dell’uomo antico era l’innocenza animale. Un’innocenza, quindi, sanguinaria, avida, spietata, feroce».

Dunque, avremo a che fare con la natura umana, quella, però, che si nasconde dietro la maschera.

Terra ci abitua alla maschera. La sua scrittura la sostiene. Ci pare di vedere dame imparruccate e cicisbei imbiancati e azzimati. Riccardo è in questo modo che osserva gli altri, quasi divertendosi. Il suo è un occhio che sorride perché penetra la scorza del mascheramento: «Con quale stile portavano i bocconcini in bocca, come sapevano masticarli leggermente spremendone indifferenti gli elaborati sapori, e come riuscivano a far la conversazione più raffinata fra un boccone e l’altro. Talmente bravi tutti che a momenti li avrebbe applauditi.»
Si ha perfino la sensazione che Dino Terra si identifichi con Riccardo.

Ogni capitolo si avvia con una considerazione di carattere generale attinente alla natura e alle consuetudini degli uomini. Come se il susseguente svolgimento fosse l’esemplificazione concreta di essa: «Al derby della felicità vi corrono tutti, perfino quelli che restano seduti, giovani e vecchi, storpi e artritici, gente per bene e gente disonesta, con l’alta pressione o con la bassa, tutti slanciati verso il premio; o per lo meno a un pezzetto di premio.»

Questi assunti talvolta tingono di un pizzico di sarcasmo il capitolo, aiutati in ciò dall’uso di certe parole cariche di una speciale sonorità: pappata, invelata, amàsio, abbracciamenti, addarsi, accuscinati, assonnito, chicchere, barbugliò, face, poma, indovinamento, infrenando, maestrevole; così che l’intera storia diviene un’amara ironia sulla vita, rappresentata al modo di una specie di infrangibile automatismo dell’adattamento e della trasformazione.

Agata, la venticinquenne che vive in casa della figlia, intreccia un’amicizia con Riccardo, che li porta a discutere e ad approfondire i temi dell’esistenza. Agata è la donna che vuole avere risposte, capire; Riccardo, anziano professore, è lo scettico: «mi sono accorto che è rotto il telefono per reclamare col signor direttore del Cielo.»

Il rapporto che si stringe tra i due mescola simpatia intellettuale e desiderio sessuale («l’alta magia del sesso che li aiutava a conoscersi meglio.»), e confronta due generazioni diverse e distanti. Agata, sebbene non più ragazzina, non ha ancora scoperto il mondo, vi si lancia con la gioia impressa dalla curiosità e dalla sfida («Non mi conosco ma faccio quello che sento, come sempre, e la vita mi appare stranissima e meravigliosa.»), trovando in Riccardo l’uomo che, più anziano di lei, si trova frastornato da tanta vivacità e freschezza: «L’attrazione del letto è argomento remoto, non c’è amante normale, a qualsiasi razza appartenga, che non sia portato a mescolarsi all’amata.»

Tuttavia, Riccardo continua a provare di fronte agli altri un certo imbarazzo.
Il rapporto mette in risalto un fermento contraddittorio: due pulsazioni si fanno la guerra: l’attrazione sessuale e la differenza generazionale.

Può essere amore quello che provano l’uno per l’altro? Agata sostiene di sì: «Fra me e te c’è una straordinaria somiglianza d’animo, uguali nel nocciolo; anche se abbiamo caratteri tanto diversi, anche se sono d’un’altra generazione, son faccende esterne, perfino trascurabili in confronto a tutto quello che ci unisce.»

Ma è una donna che deve maturare. Di famiglia agiata, ancora subisce le consuetudini borghesi. Qualcosa in lei vi si ribella, i suoi pensieri sono per una nudità dell’essere che si offra libero dal suo involucro, puro.

Le difficoltà ci sono tutte. Ciò che entrambi facilmente potrebbero fare, se fossero liberati da ogni fasciame sociale, in realtà li sottopone ad una inquietudine nella quale sono immersi alla stregua di prigionieri errabondi: «Riccardo, però, proprio in quei giorni più felici, collaudato di esperienza, cominciava ad aver paura.»; Agata «Con i suoi ventotto anni sentiva di non essere ancora adulta».

Si accentua così tra i due, a poco a poco, una diversità nel vivere il rapporto amoroso. Riccardo, pur immerso nell’entusiasmo, ne paventa il futuro; al contrario Agata, «solerte nel rassicurarlo».

Terra ci indica, dunque, che anche nel pieno della felicità, un’ombra si interpone a rendere misteriosa e problematica la vita.

In Agata, ad esempio, il sesso ha qualcosa a che fare, non solo con il suo rapporto con Riccardo, ma anche con il suo desiderio di «potersi spandere al di là dei proprio limiti, come in certe danze sfrenate dei selvaggi: riti religiosi per accostarsi alla vertiginosa realtà delle origini, le fonti della nostra presenza.»

La storia di Riccardo e Agata tocca la corda di un confine e la fa oscillare; è un tentativo di andare incontro ad una nuova conoscenza di ciò che potremmo essere allorché in simbiosi con qualcun altro interroghiamo la vita: «Io sono l’androgine ricostituito col tuo aiuto. Io sono te come tu sei me.»

Ma qualcosa: la fatalità, un destino già scritto, sono in agguato, pronti a frenare qualunque tentativo fuori della normalità, pronti a rompere qualsiasi intesa. Un incidente d’auto in cui Agata è stata coinvolta rompe l’incantesimo di un convincimento che era apparso indistruttibile. Tutto ciò che si era trasfuso dall’uno all’altra per farne un solo corpo ed una sola anima, si scinde nel tentativo di tornare alle origini. Riccardo non riesce a spiegarselo. Sa solo che quei lontani timori avevano un loro intimo e nascosto fondamento, e che l’entusiasmo di Agata era la conseguenza di uno stordimento.

Agata, dopo la convalescenza, gli scrive di non farsi più vedere e di dimenticarla, pregandolo di non raccontare mai la loro storia ad alcuno. Una precipitazione nel nulla. Difficile far accettare tutto questo a Riccardo, che aveva accolto dentro di sé quel legame come «una storia meravigliosa» ed ora se la vede «sospinta sull’orlo del luridume.»

Pagherà cara questa repulsione, questa resistenza all’accettazione, mentre Agata continuerà il suo viaggio dentro una vita disordinata, di cui ogni tanto avvertirà il gelo, «per non rammentarsi di una fanciulla ormai contaminata e dispersa.»