È possibile essere felici in una città dopo avere abitato per tutta la giovane vita in campagna? Sembrerebbe di no, secondo l’autrice, che in questo romanzo si esprime attraverso le vicende di Isa, giovane orfana rimasta povera, ed accolta da una gretta parente, la zia Gemma, in una stanzuccia sui tetti. Sempre le vicende di Isa, ci mostrano come nemmeno la religione, e la vita in monastero, può combattere l’infelicità di chi si trova a studiare e lavorare, costretta dal bisogno e sopraffatta da sentimenti di rancore ed orgoglio, che impediscono di veder chiaro nei propri sentimenti.

Isa sente la mancanza di una persona di fiducia a cui aprire il suo cuore, e si trova vittima di equivoci e maldicenze quando un giovane nobile ufficiale inizia a corteggiarla. La sola persona che prova per lei affetto sincero è Cecco, il vecchio servitore di famiglia che l’ha vista nascere e che giace infermo in ospedale. Sarà proprio al capezzale di Cecco che si opererà il miracolo di riunire Isa a Nardo, che l’ha sempre amata ma era stato allontanato dalla fanciulla per orgoglio quando era caduta in miseria.

Articolo di Gabriella Dodero

Dall’incipit del libro:

Come il vecchio medico si fu sodamente addormentato su ’l giornale, Isa uscì in punta di piedi dal salottino, infilò l’uscio che rispondeva su la campagna e prese per il viottolo tra i fossatelli, che battevano il sasso, gorgogliando.
Prima di partire voleva salutare la vecchia casa ov’era nata e vissuta felice; abbracciare dello sguardo quel caro angolo accucciato in fondo alla valle folta di piante; riudire il famigliare scroscio, quasi riso spensierato e giocondo, del torrente su ’l greto irto di pietre.
Il viottolo era ingombro di foglie vizze e secche, che scricchiavano di sotto i piedi; prati e campi, falciati e mietuti, avevano un aspetto d’abbandono; i lunghi filari di viti, dai tralci sporgenti in disordine e spogli di pampani, macchiavano del color della ruggine la deserta campagna.

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