Quest’opera è un inventario etno-socio-gastronomico estremamente vario, parte di un viaggio quasi iniziatico che si snoda attraverso la penisola. Il narratore, un giovane arameo, cittadino dell’Isola degli Sperduti, guidato da un fiorentino della Terra di Utopia, sviluppa una chiara parodia della letteratura dei viaggi immaginari, seguendo le orme di Luciano di Samosata, e si concentra su tre categorie principali di soggetti: il cibo, gli uomini e infine le parole, a cui è attribuito un potere rivelatore.

Dall’incipit del libro:

Piu fiate havendo letto nelle antiche storie tante maravigliose cose dalli Italiani virilmente oprate, et essendomi da mio avolo molte volte detto esser l’Italia la piu bella parte, la piu ricca, & la piu civile che ritrovar si possi, nacquemi nel petto un’ardentissimo disio, & vennemi un istrema voglia non sol di vederla, ma di habitarla mentre vivessi: & al mio pensiero fu il cielo sì favorevole & propitio, che di piu osato non havrei di desiderare.
Volle adunque mia buona ventura, che nel paese nostro che si chiama il regno de Sperduti, capitasse spinta da contrari venti una nave, che dall’isola di Utopia carca di carote veniva, sopra dellaquale, fra molti, vi era un Fiorentino chiamato Tetigio, ottimo maestro di piantar carote, & perche oltre di questo, egli era faceto, motteggiatore, & piacevole molto, Lo chiesi se voleva rimanersi meco, & essermi guida nel viaggio d’Italia, ch’io li darei honesta, & al suo giuditio convenevole provisione, oltre che l’havrei sempre in luogo di carissimo fratello.

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