Ciò che vide il portalettere
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Attendere una lettera! quanti pensieri, quanta gioia e quanti dolori si racchiudono in queste parole!…
E nessuno può giudicarne meglio di un umile portalettere, quale son io, che ha veduto dei volti impallidire, o farsi raggianti nel ricevere quella missiva attesa da giorni e giorni, coll’angoscia di un’anima amorosa o coll’ansietà d’un corpo privo del necessario. Sono un vecchio ora, poichè quanto vò a narrare accadeva nel 59 durante e dopo quella memorabile campagna: e ricordo ancora come il mio cuore gioiva o si desolava a seconda delle notizie che sospettavo d’aver recate: un portalettere non è poi quella macchina giornaliera che taluni credono.
Era addetto da un anno ad una certa via, e mai avevo portato lettere in una certa casa: eppure giorno per giorno vedevo una testa di giovane donna sporgere fuori dalla finestra del pianterreno; una volta suonai alla porta con un plico in mano e la vidi impallidire e portar la mano al cuore, ma prima che m’avesse aperto, rilessi l’indirizzo ed accortomi d’aver sbagliato il numero me ne andai: povera donnina essa pure «attendeva».
Ma le giornate sanguinose e fatali di Magenta e Solferino passarono e quelli cui la sventura non avea colpiti nei loro cari, cominciavano a dimenticare.
La guerra era finita, ma la giovane donna attendeva ancora: io m’impietosiva per essa, comprendendo che non aveva nè parenti nè amici.
E il mio interessamento divenne tanto grande che cominciai a sorridere graziosamente alla sua fantesca, e siccome questa vi corrispondeva, presto entrai in conversazione.
Un mattino mi chiese se non avevo lettere per la sua padrona e mi narrò che era malata.
— Povera signora – diss’io con uno sguardo affascinatore – sembra ch’essa abbia dei dispiaceri e sospirai come se io pure avessi il cuore gonfio.
La servetta arrossì, tacque, ma poco dopo mi lasciò capire quanto sapeva.
— Alessandro Grisi, il marito della sua padrona era soldato volontario dell’esercito garibaldino: alla vigilia della battaglia di Solferino egli aveva ancora scritto alla moglie una lunga lettera…. d’amore, soggiunse la ragazza, ma annunciando che stava per ricevere il gran battesimo del fuoco all’indomani, che un brivido di terrore lo invadeva al pensiero del sangue che sarebbe andato versato.
— Oh, ed è perito sul campo di battaglia – interrruppi – povero giovane!
— No – rispose essa scuotendo la testa – od almeno lo ignoriamo. La mia padrona sembrava uno spettro quando lesse la lista dei morti, con una mano sul cuore – il dottore dice che poteva morire sul colpo – ma quando trovò il suo nome tra i mancanti, sorrise e sclamò: Dio sia lodato! E dopo di ciò attese pazientemente, trasalendo ad ogni passo d’uomo che ode avvicinarsi.
— Egli può venire un giorno, Maria – mi va dicendo mentre ogni sera preparava la stanza per lui – niuna nuova è buona nuova.
— Ma può essere prigioniero, signora – diss’io una volta.
— No – rispose essa sorridendo – non lo è. Il tono della voce mi fece impressione e in quell’istante compresi che essa suppone….
— Ebbene, che cosa?
— Che egli non abbia combattuto…. e sia fuggito! Pensate ch’essa è una debole donna, che non vedeva altro che l’adorato suo sposo di fronte alle palle o soccombente ad esse; una povera giovane che non può altro se non implorare Dio di lasciarle l’unico essere caro che abbia al mondo.
— Dunque non ha proprio nessuno? – chiesi, mentre la ragazza si asciugava gli occhi col lembo del grembiule.
— La sua famiglia la ripudiò perchè volle sposare un giovane povero e borghese, mentre suo padre è un personaggio d’importanza. Ed è scusabile se essa, quasi una fanciulla allorchè egli partì per la guerra, speri ch’egli si sia salvato…. magari fuggendo.
E son passati tanti mesi: essa scrisse lettere sopra lettere, ma nessuno seppe darle notizia e così….
— Egli è fra i mancanti, soggiunsi, mentre davanti ai miei occhi appariva una rozza croce sulla fatale pianura di Solferino.
— E così – continuò la servetta, indovinando il mio pensiero, così essa attende e dice ogni giorno alzandosi
— Oggi riceverò notizie, e la sera si corica rinnovando la speranza.
⁂
Una settimana era appena scorsa che un mattino tra le mie lettere, ve ne trovai una per la signora Grisi, via tale, tal numero. Mi prese un tremito nervoso nel vedermela fra le mani, mi sembrava escisse da una tomba!
Sbrigai il mio giro sollecitamente, e quando mi apparve la nota testina tra le cortine della finestra, non potei trattenermi dall’accennar la lettera che tenevo in mano: mi pareva di sentire il sussulto di quel povero cuoricino angosciato.
— Spero che siano notizie buone – sussurrai a Maria – domani me lo direte.
Ma l’indomani e molti altri giorni la mia curiosità doveva rimanere insoddisfatta, poichè l’astuta fantesca mi sfuggiva.
Finalmente giunse un’altra lettera, e nel consegnarla guardai la giovane con tenero rimprovero.
— Erano buone nuove quelle che vi portai l’altra volta? – osai chiederle.
— No – rispose – eppure…. era una lettera di un colonnello il quale annunciava alla mia padrona che un soldato austriaco morendo all’ospedale avea consegnato alla suora un orologio, delle carte ed un ritratto di donna che egli avea trovati in una giubba insanguinata sul campo di battaglia. Le carte portavano bensì il nome di Grisi, ma egli l’avea serbate insieme all’orologio di gran valore.
— E dunque fu ucciso quel povero giovane? E l’infelice sua sposa come sopportò la tremenda notizia?
— Essa rimase come impietrita per alcuni istanti, poi volgendosi a me disse sommessamente:
— È morto, Dio non m’ascoltò! Il mio tesoro, il mio Alessandro è morto!
E cadde svenuta fra le mie braccia.
— E non diceva altro quella lettera? – chiesi colla voce strozzata.
— No, solamente il colonnello diceva che sarebbe venuto lui stesso a portarle quegli oggetti e le faceva tante proteste di devozione, e così via, roba inutile affatto.
E dal suo gesto compresi che la ragazza intendeva farsi capire da me.
Ammalai e passarono due mesi prima ch’io la rivedessi: il primo giorno che riassunsi il servizio c’era una lettera per la signora Grisi: quando la fantesca m’aprì, il suo volto espresse chiaramente una delusione.
— Ah, benissimo – pensai – il vento soffia di là! – Ma dissi solamente: – E come sta la vostra padrona?
— Benissimo – rispose arrossendo – perfettamente bene.
— Così presto?
— È tutto merito di quel colonnello – soggiunse ridendo – che le portò di ritorno le carte e il ritratto. Gli è che un uomo così non si trova facilmente, e somiglia al povero signor Grisi: gli stessi occhi bellissimi, la stessa voce armoniosa. È venuto varie volte, e quando non viene, scrive. Ah mio Dio, ecco la sua lettera ed io perdo il tempo in ciarle! – e scomparve prima ch’io riaprissi la bocca.
I giorni seguenti invece d’un volto sparuto e triste vidi dietro alle tende una testina giovanile, colle guancie rose e gli occhi ridenti.
— A quando le nozze ? – chiesi un giorno a Maria.
— Presto, presto – rispose con furbo sorriso – prima di Natale forse.
Mancavano pochi giorni a Natale: faceva un freddo asciutto, frizzante, che gelava le ossa e nel mentre camminavo frettolosamente, osservai un uomo dall’aspetto malaticcio, miseramente vestito che sembrava mi pedinasse. Quando mi fermavo a consegnare una lettera si fermava dietro a me, o di fianco alzando i suoi grandi occhi, infossati, alle finestre d’ogni casa.
— Non è la sua – mormorava scuotendo il capo – avanti buon uomo, facciamo presto.
— Poveraccio! – diss’io vedendolo tremare sotto le sue poche vesti, e lasciai che mi seguisse a suo bell’agio.
Avevo una lettera anche per la signora Grisi ed al mio avvicinarsi, vidi una manina bianca che sporgeva fuori dalla finestra.
— Sarà l’ultima forse che riceverà prima delle nozze – pensai, mentre mi avvicinavo alla porta.
— Portalettere! – gridò essa sporgendo fuori anche la testa – date pure a me qui.
Un urlo rauco mi fece volgere il capo verso il mio uomo.
— Virginia! – gridò delirante di gioia – Virginia, sposa mia!
Lo sguardo incerto si era mutato in uno di serena gioia. Il volto della signora Grisi invece era d’una pallidezza terrea, i suoi begli cechi dilatati d’orrore.
— Virginia! – replicò egli stendendole le braccia – mia adorata Virginia!
La giovane donna non si moveva e solamente quando l’uomo rapidamente s’avviò alla porta, si udì un gemito: la vidi vacillare e cadere all’indietro.
— Signor Grisi – esclamò Maria aprendo, oh perchè siete rimasto tanto tempo fra gli assenti? – indicando il corpo irrigidito della sua padrona.
— Assenti! – ripetè egli passandosi una mano sulla fronte – assenti!
— Ed ora è perduta anch’essa – gemette la fantesca, componendo pietosamente le vesti e le braccia della povera sposa.
L’ultimo raggio d’intelligenza si spense negli occhi del povero esule ed un riso raccapricciante eruppe dalle sue labbra:
— Olà, udite le trombe, il cannone…. e fuggì via come respinto da un demone.
Poco mi rimane a narrare: a quanto sembra il povero uomo era stato trovato qualche giorno dopo la battaglia da alcuni contadini, vagante per la campagna, mezzo nudo: una ferita nella testa dimostrava la ragione del suo sguardo folle e quella povera gente impietosita, lo raccolse e lo curò.
La ferita cicatrizzò ed egli, immemore del suo nome, della sua patria e del passato andò ramingando di paese in paese soccorso dalla carità pubblica.
Un giorno, essendo caduto, quella scossa gli ridonò in parte la memoria e cioè rammentò il volto della sposa, una città, una via…. Era meglio per lui che la memoria non gli fosse ritornata!
Fine.
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TRATTO DA: Le avventure di Sherlock Holmes : romanzo illustrato. - Milano : Tip. Edit. Verri, 1895. - 160 p. : ill. ; 20 cm.
SOGGETTO:
FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti
FIC022000 FICTION / Mistero e Investigativo / Generale