Ciccillo
di
Gesualdo Police
tempo di lettura: 6 minuti
Di fuori pioveva, pioveva…
Carmela seduta presso il grosso letto maritale, ad un canto del quale giaceva il bambino ammalato, agucchiava alacremente al fioco chiarore della lucerna di creta posata sul comodino. Il troppo lavorare di notte le indeboliva sensibilmente la vista, ma a lei non importava ciò, le bisognavano denari per comprare le medicine al suo Ciccillo, e lavorava il giorno, lavorava la notte, fintantochè il sonno non le facesse abbassare la testa e addormentarsi là, sul suo lavoro, seduta sulla sedia, accanto alla sua creaturina.
Intanto vedeva che, nonostante i suoi sforzi e le sue cure, il ragazzo peggiorava sempre; lo vedeva sempre più debole, sempre più magro… e si sforzava per fare maggior quantità di lavoro, per guadagnare di più e chiamare un medico migliore, e comprargli le necessarie medicine. Quella mattina aveva dovuto farsi prestare dieci lire, da una comare del vicinato, a cui dopo tre giorni doveva restituirne quindici: e pensava di lavorare tutta la notte, tanto più che il medico le aveva raccomandato di avere maggiori attenzioni pel piccolo malato….. Di tanto in tanto alzava gli occhi dal lavoro e li posava sul figliuoletto, ne osservava lo sguardo languido sotto le palpebre quasi del tutto abbassate, ne osservava l’ansia del respiro, vedeva quel piccolo petto alzarsi ed abbassarsi con un moto lento e affaticato… e quando ritornava al lavoro una lagrima le rigava le guancie e cadeva sul lino bianco che ella cuciva.
Quel bambino era l’unica gioia della sua vita: l’aveva visto nascere malaticcio e l’aveva tirato su per cinque anni con quelle attenzioni e quelle cure che solo una madre sa prodigare; era lui, quell’angioletto, che alleviava le sue pene, che le faceva sembrare men dura la vita che il marito le rendeva così triste: quante volte per consolarsi delle busse di quel bruto, si gettava su quel ragazzo, che a cinque anni era ancora grande come un poppante, e lo abbracciava, e lo baciava, e lo ribaciava, e lo copriva di lagrime!… e così, senza parlare, era a lui che confidava le sue pene: ed egli spalancava i suoi occhioni neri, e la guardava, la guardava con uno sguardo mesto e penetrante che la confortava tanto!…
Il vicino orologio della Vicaria suonò le dodici: mezzanotte, e suo marito non ritornava… Ah! quell’uomo non aveva cuore pel frutto delle sue viscere!… Era buono ad ubbriacarsi, a bastonarla, ed a farla tanto soffrire!…
— Mammà – chiamò il fanciullo con un fil di voce.
Ella lasciò l’ago ed accorse premurosamente:
— Che hai, carino mio?
Il ragazzo non rispose e spalancò i suoi occhi neri, in cui pareva si riconcentrasse tutta la sua vita, la guardò un tantino, indi stirò le braccia, contorse le labbra e fu preso da una di quelle convulsioni che le trafiggevano l’animo.
— Ciccillo, Ciccillo! – chiamò lei con voce disperata.
La convulsione cessò tosto: parve come se il malato avesse compreso lo strazio della madre, che amorosamente gli porse un cucchiaio di quella pozione calmante che gli faceva tanto bene; ma il cucchiaio non poteva entrare in bocca, perchè il ragazzo aveva i denti stretti stretti, ed ella dovette aprirglieli por forza, onde versargli in gola la bevanda.
— Come ti senti, angelo mio?
Il malato non rispose, restò cogli occhi spalancati, collo sguardo fiso sulla mamma: mentre dalla bocca gli usciva pian piano la bevanda che Carmela vi aveva versato.
— Rispondimi, Ciccillo mio, rispondi alla tua cara mammina.
Ma il ragazzo non poteva parlare e seguitava a guardarla con uno sguardo più mesto del solito; poi pian piano chiuse gli occhi. Ella credette che si addormentasse e cheta cheta ritornò al lavoro.
La pioggia infuriava sempre più e si sentiva il rumore dell’acqua che sbatteva con violenza contro i vetri del finestrino posto in alto della stanza.
Assieme allo scroscio del tuono, suonò l’una all’orologio.
L’una, era tardi, il suo figliuoletto soffriva tanto e Beppe non ritornava; chi sa in quale bettola era a buttar via in cattivo vino quel po’ di danaro che aveva guadagnato nel giorno. Ah! quell’uomo era stato la rovina sua e del figlio: chi sa se fin dalla nascita quel ragazzo non fosse stato tanto maltrattato da suo padre, chi sa che non sarebbe venuto su un po’ più forte?… E scoppiò in forti singhiozzi… ma li rattenne subitamente per paura di svegliare il malato; si alzò di nuovo e si accostò al letto: il volto di Ciccillo pareva più pallido che mai fra la massa bruna dei capelli; ella lo contemplò un tantino, trovò che anche così macilento era sempre bello, era sempre il suo amore, la sua vita… e si chinò per baciarlo sulla fronte… ma si ritrasse subitamente: quella fronte era fredda come il marmo.
— Ciccillo – chiamò ella con voce dapprima fioca e poi sempre più alta e straziante – Ciccillo!
Ma il miserello non poteva più rispondere.
Gli toccò la faccia, il petto, le mani: freddo, era tutto un gelo.
Ella gettò un urlo.
Dunque era morto?… Morto?… No, non era possibile; Dio non poteva darle quel dolore… Morto?… Ciccillo, l’angelo suo?… no, no…
E lo baciava sulla bocca, e lo baciava negli occhi, nei capelli…
Ma dunque era morto davvero?… Davvero?…
Non voleva crederlo, non poteva convincersene.
— Ciccillo, Ciccillo….
Ed ella cadde in ginocchi presso il letto coprendo dei suoi baci e delle sue lagrime quella cara testina.
Povera mamma!..
L’acqua veniva sempre giù con un rumore fitto ed assordante, mentre un vento furioso entrava fischiando attraverso le imposte sconnesse.
Dalla strada si udì in lontananza il suono d’una voce rauca, che si faceva sempre più distinta e vicina; poi cessò ad un tratto e fu seguita da un borbottamento sotto la porta di casa.
Infine Carmela udì un passo pesante salire le scale.
Un forte calcio fu assestato contro la porta, ed essa si scosse sbigottita e istupidita sul cadavere del figlio.
— Ehi, Carmela, apri – risuonò bruscamente la voce di fuori.
La donna parve non avesse inteso: ma alla seconda chiamata si levò penosamente e andò ad aprire la porta.
Entrò un uomo barcollante, immollato d’acqua.
— Eh! che ci vuole per aprire, chiamo da mezz’ora.
E si appoggiò al muro per non cadere.
Carmela senza parlare gli indicò il letto dove il piccolo cadavere rigido e freddo pareva dormire.
Egli guardò senza capire. Poi scrollò le spalle borbottando:
— Oh! non temere, non te lo mangio, io, il tuo cocò….
E si gettò bello e vestito, tutto bagnato com’era sul letto, a due passi dal piccolo morto…
Pochi minuti dopo russava, mentre la lucerna di creta rischiarava fiocamente il volto del povero Ciccillo, mentre Carmela, sempre inginocchiata a piè del letto, piangeva silenziosamente, pregando il buon Dio di farla morire così, di farle raggiungere presto, nel Paradiso, il suo figliuolo adorato….
E di fuori pioveva, pioveva….
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Ciccillo
AUTORE: Gesualdo Police
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Le avventure di Sherlock Holmes : romanzo illustrato. - Milano : Tip. Edit. Verri, 1895. - 160 p. : ill. ; 20 cm.
SOGGETTO:
FIC022050 FICTION / Mistero e Investigativo / Brevi Racconti
FIC022000 FICTION / Mistero e Investigativo / Generale