Questa raccolta di racconti venne pubblicata a Milano nel 1943, e nel novembre del 1944 era alla seconda ristampa. Se consideriamo la tumultuosità di quegli anni non si può negare che questo sia stato un importante successo letterario anche se probabilmente un po’ circoscritto al pubblico intellettuale e raffinato che in quegli anni apprezzava Savinio e la sua opera letteraria. Ma credo che sia ormai consolidata l’idea che Casa La vita rappresenti lo sbocco più originale e persuasivo dell’arte letteraria di questo autore; più lo leggo e più mi convinco che siamo di fronte, forse per distacco, al suo capolavoro; certamente a un vero e proprio gioiello letterario.

Da un punto di vista cronologico questo testo è il punto centrale del trittico che l’autore stesso denominò «ciclo della vita» il cui primo elemento è, del 1942, Narrate uomini la vostra storia e l’ultimo Tutta la vita, del 1945.

Savinio fa precedere alla raccolta – che inizia con una dedica “Alla città della mia infanzia” (Atene) la cui stesura è anteriore al 1930 – una prefazione che appare come una dichiarazione programmatica. Viene sottolineata la nevralgica centralità nell’ambito della propria ispirazione dei temi della morte e del tempo; nella sua scelta letteraria vi è la rinuncia a un rassicurante conosciuto a favore di un inoltrarsi in un inquietante estraneo e solitario. Questa rinuncia si materializza attraverso il sogno: nel sonno sembriamo morti ma è il momento nel quale siamo più vivi e l’autore opera una sintesi tra Hypnos e Tanatos per mettere a nudo al meglio chi siamo e cosa vogliamo.

La capacità di Savinio di costruire atmosfere surreali, grazie anche a una solo apparente leggerezza, traspare in quasi tutti i racconti, inframezzati, quasi per sottolinearne il gusto suggestivamente insolito, da nove “occhi”, bizzarri intermezzi che sembrano sottolineare il gusto appunto surrealistico della sua prosa. Nel volume sono anche presenti nove disegni – sempre scaturiti dal suo estro poliedrico – e un autoritratto con volto di civetta.

Anche quando la narrazione appare incentrata su biografie illustri e solidi riferimenti storici, non viene meno la sfumatura paradossale. Troviamo nell’ambiente parigino che ruota attorno ad Apollinaire il giovane napoletano Animo perdutamente innamorato della sfuggente baronessa Elena, che non riesce mai neppure a vedere, e della quale può solamente constatare la scomparsa dopo anni di costante ed eroica venerazione. Animo crede che Elena sia figlia dell’imperatore d’Austria e da ciò deriva il titolo Figlia dell’Imperatore. In Vendetta postuma incontriamo invece Schliemann, l’archeologo scopritore di Troia, soggiornante a Napoli, e l’intreccio con la notizia del bombardamento della supposta collina dove Troia sorgeva da parte della nave inglese Agamennon. Il tutto tra ipotesi nuove confermate e smentite. Gli scavi per la metropolitana a Roma fanno riemergere una processione che porta il cadavere riesumato di papa Formoso (che dà il titolo al racconto) e tra i fantasmi antichi irrompenti improvvisamente in scena il narratore incontra anche Raffaello che cerca affannosamente Leonardo. Fantasmi anche in Nuove metamorfosi di Ovidio e, soprattutto, in Flora, nel quale il macabro soprannaturale è trattato con un garbo e una spontanea naturalezza che non ha uguali nella storia di questo “genere” letterario. Marco, deluso nelle sue esperienze sentimentali, si innamora di una statua dando nuova vita al mito di Pigmalione.

Ma il sentimento di Flora, anche se “di marmo”, è forte abbastanza da diventare gelosa vendetta e definitiva presa di possesso. Elementi che oggi potremmo definire di “fantasy” li troviamo anche in Trololò, innocuo cagnetto benvoluto da tutti nella famiglia alla quale è approdato, tranne dal capo famiglia che lo maltratta senza motivo. Trololò sceglie il suicidio nel canile ma tramite il suo collare ormai vuoto lancia un messaggio al padrone facendo l’elenco dei propri meriti ma insinuando in lui – innocentemente? – il sospetto sulla fedeltà della consorte. In Angelo si sviluppa invece con maggior decisione il tema del tempo, che sembra bloccarsi per il giovane soccorso durante il bombardamento di Roma del 1940. Nivasio Dolcemare (che è già protagonista in altra opera di Alberto Savinio) interviene in due racconti di questo libro, nel primo dei quali scopre che l’amico Messario è in realtà un mostro marino; lo segue nell’abisso del mare e scopre il mondo degli “ompisci”. Nel secondo invece Nivasio ritrova, durante una festa di fine d’anno, la madre morta, in una stanza buia e nelle vesti di una gallina sofferente. Ma ritrova soprattutto la propria infanzia e riesce a piangere.

Omero Barchetta è in attesa dell’esito di un intervento chirurgico al quale si è sottoposta la moglie. Prima che questa esca dalla sala operatoria i suoi stati d’animo suggeriscono inattese vie di percezione che assumono connotati tragicomici e inaspettati. Malino deve affrontare un improvviso intervento chirurgico e il suo percorso di ricovero, anestesia, risveglio è descritto in tono onirico confinante con l’incubo in maniera inquietante. Attraverso qualche altro racconto meno coinvolgente si giunge ai due che chiudono l’opera. Il signor Münster, quarantanovenne tranquillo borghese svizzero, supera l’incertezza e l’infelicità del futuro tramite la consapevolezza del suo percorso verso e attraverso la morte, durante il quale perde letteralmente i pezzi. Aniceto, nel racconto che chiude e dà il titolo alla raccolta, è un giovane in gita al lago Maggiore che penetra in una casa illuminata e deserta; affronta il percorso da una stanza all’altra guidato da un irreale suono di violino. La casa deserta è “la vita”, l’uscita da questa porta al mare oscuro dell’eternità solcato dalla nave della morte.

Gli aspetti pionieristici e decisamente anticonformisti delle opere artistiche e letterarie di Savinio hanno negli anni frapposto ostacolo al riconoscimento della dimensione della sua personalità certamente singolare ma di indiscutibile statura. La sua vicenda letteraria, all’interno della quale Casa La Vita segna un solido caposaldo, ha lasciato un segno profondo nella letteratura della prima metà del novecento, segno che rimanendo indelebile offre ancora oggi al lettore un notevole modello sia intellettuale che morale. Breton stesso “certificò” la presenza di Savinio tra i fondatori del surrealismo; surrealismo che nel ’45 Savinio chiamò “supercivismo”. La sua arte è, per così dire, rimasta in deposito ma è riemersa attraverso lo sperimentalismo degli anni sessanta che ha restituito a Savinio il riconoscimento della attualità e vitalità inesauribile della sua opera. E questo testo ci offre l’aspetto migliore di uno scrittore che ha optato per esprimersi con testi “frantumati”, per avere la possibilità di offrire a chi legge il senso di quel pluralismo culturale che è di per sé e in quanto tale decisamente in opposizione al fascismo con il quale ha dovuto convivere sempre ponendosi come un “diverso”.

Ortega y Gasset ha parlato di “ribaltamenti infrarealistici” e tramite questi Savinio ha capito meglio e prima abbandonando le stringenti dimensioni del realismo, come se volesse indicare come legittimo fare arte attraverso l’incubo, l’informe, le fantasie surreali, gli scandali logici. Per realizzare tutto questo niente può essere più adatto, in veste di racconto, di Casa La Vita come per il romanzo resta esempio insuperato Infanzia di Nivasio Dolcemare, Hermaphrodito per i frammenti autobiografici, Narrate, uomini la vostra storia per i ritratti, Scatola sonora per la critica musicale, e per tutto il resto Nuova enciclopedia. Contiamo nei prossimi mesi di presentare nell’ambito del progetto Manuzio l’edizione elettronica di tutte queste opere (e altre ancora) di Alberto Savinio.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del primo racconto Alla città della mia infanzia dico:

Nulla è tanto propizio all’animo appassionato e curioso dei bambini, quanto gli aspetti colmi e misurati quali amavano e produssero gli antichi della terra ov’io nacqui. Scorgo talvolta sui campi che spaventati fuggono al passare del treno, rupestri città armate di tutto punto, che a poco a poco mi scoprono la cinta della loro antica forza; e mentre quelle precipitano all’orizzonte, ombre vane di una età consumata per sempre, ogni volta si sovrappone a esse la dolce città della mia infanzia. Allora come di lei mi risovviene, che si lasciava cogliere intera dai miei occhi di bambino, posata come nido candidissimo di albatri nella selvosa conca della valle, ben fortunato mi reputo di essersi formata laggiù la mia ragione, fra i templi portatili, le colonne che girano assieme col girare del sole, le statue animate di serena magia, quando brillanti nella compagnia degli alberi, quando levate oscure di contro l’amorosissimo cielo.

Scarica gratis: Casa La vita di Alberto Savinio.