Tratto da una edizione del 1879, questo volume raccoglie quattro racconti dello scrittore toscano Roberto Sacchetti. Mentre gli ultimi tre racconti non sono mai stati ripubblicati, è abbastanza recente una riedizione a cura di Francesco Lioce del primo di essi, Candaule.
In questo lungo racconto, è protagonista la vita famigliare del barone di Ruoppolo, napoletano, e della bellissima moglie Vittoria. Di carattere fiero, la donna è stata offesa nell’onore dal marito, di fronte ad un giovane capitano: a quest’ultimo, che vorrebbe essere perdonato, fa promettere di venire l’indomani a trovarla. Comincia così una frequentazione, che si snoda fra gli sbalzi d’umore di lei e la garbata ma ferma presenza del barone, che vista l’assiduità del capitano fa in modo di essere spesso presente alle sue visite. Ma la baronessa è donna intelligente ed anticonformista, consapevole della società e dei rapporti ineguali tra uomo e donna che si instaurano; anzi, ne è una vittima essa stessa, e sogna senza speranza la conclusione del suo matrimonio.
«Quando quest’essere superiore, che per lunghi anni non vi bada affatto, un bel giorno, vedendovi le gonnella lunghe, si accorge che siete una donna e vi fa l’onore di credervi matura ai suoi desideri; e si degna rivelarvisi ‒ che rivelazione!…. lo sentite meschino, cupido e più ancora, vano; desideroso non tanto di possedervi quanto del vanto di possedervi. Le sue parole sono nobili talvolta, i suoi desideri mai.» (cap. VI)
Non sveleremo la drammatica conclusione della vicenda, che richiama quella del Re della Lidia Candaule e del suo ministro Gige, conclusione a cui con l’evolversi dei personaggi del dramma, il Sacchetti conduce passo passo il lettore.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
La cosa è nata in questo modo.
Il barone di Ruoppolo stava giocando coll’avvocato Varriale.
Dietro a lui, seduto sul divano, Attilio Carminati, giovane pittore siciliano che veniva al Club Sebeto per la prima volta, discorreva col marchese Jomelli, con don Primicile Assante, e col figlio di Rocco Campoluongo.
Il barone si voltava qualche volta e s’intrometteva nei loro discorsi. Si sa che non era possibile parlare in presenza sua di una cosa bella, preziosa ‒ sopratutto costosa ‒ senza ch’egli venisse fuori a vantarsi d’averne una dello stesso genere infinitamente più bella, più costosa: ‒ egli faceva venire i suoi tappeti da Smirne e da Teheran, le sue sete da Yeddo, i suoi cavalli dall’Holstein o dal Magreb, ‒ gli aranci da Milis, le carte da Londra e i fiammiferi da Moncalieri. Le sue millanterie erano spasso inesauribile della società e prova gustosissima a cui si cimentava di solito la pazienza dei nuovi, ignari della sua bizzarria. Quando essi cominciavano ad irritarsi li si avvertiva e si rideva insieme. Ma quella sera la scena era andata un po’ troppo in là. Il barone quando perdeva, beveva ‒ e quando beveva diventava più loquace del solito. Egli aveva già interrotto tre volte il Carminati: e questi senza scomporsi l’aveva rimbeccato così lepidamente che quei piacevoloni ci avevano preso gusto.
Scarica gratis: Candaule. Vigilia di nozze. Riccardo il tiranno. Da uno spiraglio di Roberto Sacchetti.