Ugo Santamaria
Ecco papà Catrame seduto sul barilotto, colle gambe incrociate alla maniera dei turchi, e circondato da tutti i marinai i quali sbarrano tanto d'occhi e aguzzano per bene gli orecchi per non perdere una sillaba dl quanto egli sta per narrare.
Finch’era durata la mezza stagione, nessuno aveva fatto caso di quell’erba piú tenera e piú alta del solito, ma adesso che i crepuscoli si allungavano e la gente usciva per le strade a prendere il fresco, la cosa saltava agli occhi. Il grano sarebbe diventato ancora piú alto e giallo e frusciante, e magari qualche papavero, e un bel giorno il vecchio avrebbe voluto mieterlo e fare i covoni e parlarne nelle strade e nei negozi. Forse avrebbe cercato di venderlo.
Di quel ch’ero allora non resta piú niente: appena uomo, ero ancora un ragazzo. Lo sapevo da un pezzo, ma tutto avvenne alla fine dell’inverno, una sera e un mattino. Stavamo insieme, quasi nascosti, in una stanza che dava su un viale. Silvia mi disse, quella notte, che dovevo andarmene, o andarsene lei – non avevamo piú niente da fare insieme.
C'era una volta una regina, la quale mise al mondo un figlio, così brutto e mal fatto che si stentò un pezzo a crederlo un essere umano. Una Fata, presente alla nascita, assicurò nondimeno che il bambino sarebbe stato amabile lo stesso, visto che avrebbe avuto molto spirito; soggiunse anzi che in virtù del dono da lei fattole, egli avrebbe potuto comunicare tutto il proprio spirito alla persona che avesse amato.
C'era una volta un uomo, che avea belle case e belle ville, vasellame d'oro e d'argento, mobili ricamati, carrozze tutte dorate; ma per disgrazia quest'uomo avea la barba blù; e ciò lo rendeva così brutto e terribile, che non c'era donna o ragazza che non scappasse in vederlo.
Un mattino entrai prima di giorno nel caffè della stazione e, poiché il mio treno non partiva subito, sedetti accanto a due giovanotti circondati da sacchi da viaggio.
Sentii un giorno la cassiera che diceva: – Ecco, sembra un malato: com’è odioso, – e mi voltai tutto stupito. Parlavano proprio del mio collega, che sbucava lentamente dalla scala con una bracciata di libri. Nel momento che mi volsi, emergeva dal pavimento solo il suo capo calvo …
L’Osservatorio di Avu, a Borneo, è posto in cima al monte, non lungi da un vecchio cratere profilantesi nell’ora vespertina sul cupo del cielo infinito.
Dalle basi del piccolo edificio circolare, dal tetto a calotta in forma di fungo, il pendìo del monte è brullo e roccioso, e rapidamente scende scosceso ed orrido, perdendosi nelle nere profondità misteriose della foresta tropicale.
“Lascia andare!”, fece Blesio, vedendo impallidire tutt’a un tratto il suo amico Raimondo Palli, che aveva cessato di parlare quasi interrotto da un groppo di singhiozzi. “Mi racconterai il resto un’altra volta”.